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“Il 2015 parte bene, ma è presto per dire ripresa”. Intervista a Cristina Tajani

Uber, la maggiore compagnia di taxi, non possiede alcun veicolo. Facebook, il media più famoso, non crea contenuti. Alibaba, il venditore al dettaglio più profittevole, non ha un magazzino e Airbnb, il maggior albergatore, non possiede immobili. Sta accadendo qualcosa di interessante

Tom Goodwin, senior vicepresident per la strategia e l’innovazione in Havas Media

Questo “qualcosa di interessante” si chiama sharing economy (economia partecipativa) e si sta diffondendo anche in Italia. L’Europa sta cercando di regolamentarla, nel contesto del mercato unico digitale (clicca per leggere la bozza della strategia UE sull’economia digitale). Una ricerca di Collaboriamo.org, in partnership con PHD Media, presentata al convegno Sharitaly 2014 conta 138 piattaforme collaborative operanti in Italia. Il crowdfunding fa la parte del leone (con il 30% delle piattaforme) seguito, nell’ordine, da beni di consumo (20%), trasporti (12%), turismo (10%) e mondo del lavoro (9%).

Su questo e sulla situazione economica e lavorativa del capoluogo lombardo abbiamo intervistato Cristina Tajani, Assessore alle politiche per il lavoro, Sviluppo economico, Università e Ricerca del Comune di Milano. L’abbiamo incontrata a margine dell’evento “Crowdfunding per Milano: città, cultura e territorio”, organizzato  il 23 aprile 2015 a Milano dalle piattaforme di crowdfunding Bookabook e BeCrowdy, in collaborazione con lo spazio di coworking TAG.

La sharing economy è sempre esistita e internet l’ha fatta esplodere, oppure ritiene che sia nata grazie al web?

Penso che forme cooperative e mutualistiche siano sempre esistite. Alcune piattaforme di sharing economy a mio avviso non sono molto distanti da modelli mutualistici e cooperativi presenti in Italia fin da fine Ottocento. Certo, le nuove tecnologie oggi ne danno maggiore diffusione e permettono nuovi modi di organizzarsi. Ma sono un’evoluzione di modelli passati.

Secondo l’Economist, la sharing economy è nata come risposta alla Grande Recessione. Lei è d’accordo?

Dal mio osservatorio milanese, posso dire che sicuramente i cambiamenti dovuti alla crisi hanno spinto verso piattaforme o modalità di condivisione di beni o servizi piuttosto che al possesso e alla proprietà. C’è forse anche un aspetto più culturale dietro alla sharing economy: una maggiore sensibilità, soprattutto delle generazioni più giovani, ai temi della sostenibilità. Il riuso e lo scambio sono senz’altro strumenti che consentono risparmi di energia, tempo e – più in generale – del consumo di ambiente. Una ricerca dell’Istituto Toniolo sui giovani rileva che il 60% dei giovani under 35 è propenso a usare servizi in condivisione. La maggioranza di loro non lo fa solo per risparmiare, ma anche perché crede nei valori della comunità e dello scambio di relazioni.  

Stando ai dati Collaboriamo.org – PHD Media, la maggior parte delle piattaforme collaborative opera nel crowdfunding. Pensa sia una conseguenza del credit crunch (se i fondi non si trovano in banca, tanto vale chiedere aiuto alla gente comune)?

Sì, questa è una possibile spiegazione. Del resto molte di queste piattaforme di sharing economy si pongono in maniera complementare rispetto a servizi tradizionali e hanno anche un aspetto positivo: immettendo nuove forme di concorrenza, possono spingere anche gli operatori tradizionali, compreso il sistema del credito, a migliorare la loro offerta sia in termini di tariffe, che di servizio. Per questo motivo l’immissione di proposte di beni e servizi nel mercato, erogate in alcuni casi con modalità alternative può servire anche agli operatori tradizionali.

Come si concilia la Milano teatro della Borsa italiana, degli affari e della finanza con lo sviluppo dell’economia collaborativa?

Queste due anime di Milano probabilmente derivano da una particolare dinamicità del tessuto socio-economico milanese, che è in grado di adattarsi ai cambiamenti e di trasformare in opportunità anche delle condizioni particolarmente difficili come la Grande Recessione del 2008. Non vedo una contraddizione tra queste due anime.

Qual è la posizione del Comune di Milano verso l’economia partecipativa?

Per quanto riguarda il crowdfunding civico, Milano si è mossa in modo diverso da altri comuni italiani, come ad esempio Bologna. Milano non chiede soldi ai cittadini con il crowdfunding per finanziare progetti di pubblica utilità, ma opera sia come fornitore di alcuni servizi condivisi (ad esempio la mobilità: car e bike sharing), sia come facilitatore. Nel dettaglio, abbiamo adottato una delibera nel dicembre 2014 volta a sostenere e incentivare la costruzione di piattaforme di sharing economy esistenti, anche attraverso la costruzione di albi o elenchi qualificati, così come abbiamo già fatto per il coworking (spazi per condividere gli ambienti di lavoro, ndr). L’iscrizione a questi albi è facoltativa e dà la possibilità di partecipare ad alcuni benefici economici. Abbiamo recentemente chiuso un avviso pubblico in cui si chiede agli operatori e agli esperti di economia partecipativa di autosegnalarsi per entrare a far parte di una rete di attori con cui il comune avvierà un confronto per pianificare azioni di formazione. Inoltre abbiamo adottato una delibera sul crowdfunding con un progetto che incentiva le startup che operano in ambito sociale a utilizzare questa modalità di finanziamento. Il Comune di Milano si impegnerà a contribuire con un finanziamento che ammonta a metà del capitale richiesto dalle imprese, se queste saranno riuscite a raccogliere l’altra metà in crowdfunding. Siamo attivi anche nel riuso degli spazi e nel crowdsourcing (un modello di business dove un’azienda affida la progettazione, la realizzazione o lo sviluppo di un progetto a un insieme indefinito di persone non organizzate precedentemente, ndr). A questo proposito, per Expo 2015, il Comune e la Camera di Commercio di Milano hanno lanciato la piattaforma Expo in Città, che raccoglie oltre 17mila eventi che si terranno nella città (fuori dal sito espositivo) in occasione del semestre di Expo 2015. Questa piattaforma è stata costruita dal basso con i contributi di associazioni, teatri e operatori di natura più economica.

Lei è Assessore al lavoro al Comune di Milano, quindi la domanda è d’obbligo: qual è la situazione occupazionale nel capoluogo lombardo?

Noi abbiamo registrato nel primo trimestre del 2015 un aumento del 9% degli avviamenti al lavoro. È la prima volta che si registra un dato positivo dopo lunghi mesi di difficoltà. Probabilmente questo dato è in parte dovuto all’effetto degli incentivi e della decontribuzione per i contratti a tempo indeterminato previsti dal Governo Renzi. Ma è ancora presto per dire se c’è un effetto Jobs act. Il monitoraggio che faremo nei prossimi mesi ci dirà in che direzione stiamo andando. Intanto possiamo dire che il 2015 si è aperto con qualche spiraglio di positività.

Quindi vede segni di ripresa a Milano?

La registriamo con questi dati sull’occupazione in leggera crescita. Gli osservatori di mercato indicano per la città di Milano un cauto ottimismo, anche in termini di ripresa dei consumi. I numeri del Salone del Mobile 2015 sono positivi anche per numero di compratori stranieri e presenze qualificate all’evento. Possiamo dire che c’è qualche elemento di flebile ottimismo. Ma non possiamo ancora cantare vittoria.

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