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Fondi comuni e Millennials: due mondi sempre più distanti

I Millennials non investono (più) in fondi: lo dice uno studio Assogestioni, secondo cui  i sottoscrittori di 26-35 anni sono calati dal 15% del 2002 al 7% del 2015. In aumento invece gli ultra 75enni.

Non solo tendono a ignorare il problema della pensione: i giovani italiani si sono allontanati tout-court dal mondo degli investimenti: e lo dicono i numeri. Da un recente studio di Assogestioni sulla domanda di fondi comuni di investimento nel Belpaese è emerso che i sottoscrittori di un’età compresa tra i 26 e i 35 anni sono calati bruscamente tra il 2002 e il 2015: dal 15% al 7% sul totale di chi investe in fondi comuni in Italia.

La stessa dinamica ha riguardato anche i 36-45 enni, che sono scesi dal 20% al 14%. Al contrario sono aumentati vertiginosamente gli investitrori ultra 75 enni – dal 9% al 18% e sono cresciuti – ma a un ritmo inferiore – anche i 66-75 enni, saliti dal 15% al 19%. Nel complesso, l’età media del sottoscrittore di fondi in Italia è aumentata all’incirca di 7 mesi ogni anno ed è passata dai 51 anni del 2002 ai 59 del 2015.

Ora, sicuramente questa dinamica è spiegata in parte dal fatto che le nuove generazioni tendono ad entrare nel mondo del lavoro più tardi e a farlo spesso in modo abbastanza precario, per cui ci vuole del tempo prima che inizino ad avere dei risparmi da investire – del resto questo stesso motivo viene citato per motivare lo slittamento dell’età media in cui i giovani lasciano la casa dei genitori e mettono su famiglia. La crescita dell’età media del sottoscrittore-tipo è certamente legata anche all’allungamento delle aspettative di vita – però i sottoscrittori dei fondi italiani invecchiano in misura più rapida e accentuata rispetto alla popolazione italiana nel suo complesso.

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Al netto di queste considerazioni, non si può ignorare un messaggio che emerge dai dati in modo lampante: il mondo del risparmio sta perdendo presa sulla fascia dei “Millennials”, che saranno i prossimi depositari di gran parte del risparmio in Italia. Perché? Forse perché non parla la loro lingua. Una generazione nata nell’era del digitale, abituata ad utilizzare servizi digitali come Amazon, Netflix, Uber, non si trova a proprio agio con un settore come quello dei servizi finanziari, che sul fronte della rivoluzione tecnologica sta muovendo solo ora i primi (incerti) passi.

Invecchiamento a parte, l’indagine pubblicata da Assogestioni evidenzia nel complesso una crescita nel numero di sottoscrittori nell’ultimo triennio: tra il 2012 e il 2015 sono passati da 5,3 milioni a attuali 6,4 milioni – anche se sono ancora lontani i circa 9,5 milioni rimasti pressoché costanti tra il 2002 e il 2005.

Nel corso di oltre un decennio poi, l’industria è profondamente cambiata nella composizione del portafoglio dei sottoscrittori di fondi comuni, complici anche i grandi trend macroeconomici registrati. In particolare è cresciuta sensibilmente la quota di fondi flessibili, che oggi rappresentano la scelta principale per il 36% dei sottoscrittori (4,3% nel 2002), superando per la prima volta i fondi obbligazionari. Questi ultimi hanno perso terreno, pur continuando ad avere un ruolo rilevante (34,2% nel 2002, 37,1% nel 2005 e 33,5% nel 2015), mentre si è registrata una progressiva erosione degli investimenti nei comparti azionari (dal 23,9% del 2002 all’8,3% di fine 2015) e bilanciati (dall’8,8% al 4,3%).

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Quanto infine alla modalità di sottoscrizione dei fondi, anche se il 70% del campione continua a preferire il versamento unico (PIC), è in forte aumento la percentuale di chi sceglie il Piano di Accumulo del capitale, o PAC (qui per approfondire).  Questa forma di sottoscrizione è passata infatti tra il 2002 e il 2015 dal 9,2% al 18%. Rimane invece predominante il ruolo del canale bancario nella distribuzione dei fondi italiani: 93% nel 2015 dal 77,3% del 2002, a fronte di un progressivo calo di chi decide di rivolgersi a un promotore finanziario (dal 22,7% del 2002 al 7,1% del 2015).

Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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