a
a
HomeECONOMIA E MERCATIECONOMIA, POLITICA E SOCIETA'Sharing economy, un mondo ancora tutto da esplorare

Sharing economy, un mondo ancora tutto da esplorare

Parola d’ordine: condivisione

Il concetto alla base del fenomeno è tutt’altro che nuovo – la pratica della condivisione affonda le radici negli albori dell’umanità – eppure è solo negli ultimi anni che la cosiddetta sharing economy si sta diffondendo a macchia d’olio in tutti i settori della vita quotidiana: dalla mobilità ai viaggi, dalla finanza al lavoro, dalla ristorazione alla cultura. Stiamo parlando di servizi come BlaBlaCar, che consente a milioni di utenti di organizzarsi per condividere viaggi in macchina, prestiamoci.it, una piattaforma di prestiti tra privati, Airbnb, un vero e proprio sistema di “homesharing” o la chiacchieratissima Uber, solo per citare qualche esempio.

Ma allora cosa è cambiato oggi rispetto al passato? La risposta suona ormai come un ritornello: è arrivata la tecnologia a sparigliare le carte. L’innovazione tecnologica ha moltiplicato il potenziale dell’economia della condivisione, abbattendo i confini geografici e ampliando all’infinito le reti di contatti, anche tra sconosciuti: una cosa fino a poco tempo fa totalmente impensabile.

I numeri del fenomeno iniziano a essere significativi anche in Italia. Secondo quanto emerge dalla mappatura del settore presentata all’evento Sharitaly, a novembre 2015 le piattaforme italiane di economia collaborativa (comprese quelle internazionali con sede in Italia) erano in tutto 187, con un incremento del 35,5% rispetto allo scorso anno. Di queste, 118 sono piattaforme di sharing, 21 in più del 2014, mentre quelle specializzate nel crowdfunding sono 69, 28 in più dello scorso anno. Quanto ai settori, quelli in cui si concentrano maggiormente le aziende dell’economia collaborativa italiana rimangono i trasporti (19%), lo scambio di beni di consumo (15%), il turismo (15%) e l’alimentare (9%).

Un territorio ancora inesplorato

La crescita dunque è stata talmente rapida e incontrollata che oggi la sharing economy è sulla bocca (e negli smartphone) di tutti. Ma i contorni del fenomeno sono ancora incerti e la regolamentazione è di fatto assente.

Tanto per cominciare, almeno in Italia manca del tutto un ecosistema capace di far decollare questi servizi. L’81% delle piattaforme di sharing e il 65% di quelle di crowdfunding oggetto dell’indagine di ShareItaly ha dichiarato di aver utilizzato prevalentemente risparmi personali per lanciare il servizio. Anche perché il concetto di sharing economy non è stato ancora completamente analizzato dal punto di vista delle norme legali e comportamentali da applicare: sotto certi aspetti si tratta di un territorio inesplorato.

Del resto c’è ancora alla base di tutto un problema di definizione: che cosa si intende esattamente per sharing economy? Nell’accezione più ampia possibile, la risposta potrebbe essere “un accesso democratico al consumo collaborativo”. Un sistema insomma, dove non è necessario possedere qualcosa, perché è possibile utilizzare beni e servizi “on demand”, solo quando servono, pagandoli “a consumo”. Le definizioni del fenomeno sono innumerevoli, molte anche d’effetto. Ma non colgono la caratteristica essenziale che distingue questa nuova dinamica – in grado di stravolgere il modo di pensare l’economia – da pratiche molto meno innovative e più collaudate come il noleggio di un’auto o un soggiorno in albergo. E questa caratteristica consiste nel legame indissolubile con tecnologia e big data, utilizzati come volano per creare mercati e meccanismi di assegnazione che permettono l’incontro tra i compratori e i venditori più disparati.

Un altro punto ancora da definire è se con sharing economy vogliamo indicare un nuovo approccio sociale, un nuovo modo di fare business fra pari, o se sono inclusi anche i business model delle aziende che “affittano” beni per brevi periodi di tempo. Quanto alle ragioni che spingono verso questo nuovo modo di fruire di beni e servizi, esse attengono alla solidarietà o all’attenzione per l’ambiente? O a una questione prettamente economica? Insomma, le domande in attesa di risposta sono ancora molte. Ma una cosa è certa: la sharing economy scalda gli animi, con molti entusiasti sostenitori e altrettanti critici agguerriti. Basta citare un esempio su tutti, quello del servizio di car sharing Uber, per capire a che livello sia arrivato il confronto.

Aspetto economico

Al netto di tutte queste considerazioni semantiche, la domanda cruciale, almeno dal nostro punto di vista, è questa: la sharing economy ha un senso a livello economico-finanziario? A questo tema è dedicata una recente ricerca a cura del Global Investor del gruppo Credit Suisse, intitolata “The sharing economy – new opportunities, new questions”, che valuta l’impatto dell’economia della condivisione sul Pil. Prima di vedere nel dettaglio i risultati dello studio però, va ricordato che – sebbene sia senza dubbio un indicatore utile – il prodotto interno lordo non basta da solo a dare una misura del reale stato di benessere di un Paese (ne abbiamo parlato qui), tanto che l’ONU ha iniziato a utilizzare l’Indice di Sviluppo Umano (HDI), elaborato alla fine degli anni Ottanta dal Programma per le Nazioni Unite dello Sviluppo (UNPD), mentre la Commissione europea ha cercato di contabilizzare lo sviluppo umano sia in termini economici, sia in termini sociali lanciando nel 2007 l’iniziativa “Beyond GDP”.

Tornando allo studio di Credit Suisse, gli analisti ammettono che la sharing economy offre vantaggi indiscussi agli utenti: minori costi, flessibilità senza precedenti, efficienza e comodità e disintermediazione. Ma l’altra faccia della medaglia mostra il rischio di salari più bassi e minori protezioni, riflesso della scarsa regolamentazione. Quanto alle potenzialità strettamente economiche, gli esperti di Credit Suisse sono arrivati alla conclusione che, al momento, la sharing economy dia un contributo ridotto al Pil, perché la condivisione spesso comporta dei pagamenti modesti. “Offrire a uno studente un alloggio gratuito per una notte o un passaggio gratuito può essere una buona cosa e ridurre le emissioni di CO2, ma può potenzialmente portare a una riduzione del Pil, perché in altre circostante lo studente avrebbe avuto bisogno di prendere una camera in un hotel e di viaggiare col treno” si legge nel report.

Secondo noi di AdviseOnly però il fenomeno va letto in un’ottica più ampia: l’economia della condivisione che vola sulle ali della tecnologia sta cambiando profondamente la mentalità degli utenti e il loro modo di concepire l’utilizzo di beni e servizi. E il processo sembra inarrestabile. Il futuro fa sempre più rima con tecnologia e condivisione.

Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

Nessun commento

lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.