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Tutto quello che dovete sapere sui costi nascosti del risparmio gestito

Quando investiamo i nostri soldi, spesso non ci rendiamo conto di tutti i costi che sosteniamo. Succede perché nel mercato del risparmio gestito è stata tollerata finora una certa opacità. Con la MiFID2 le cose potrebbero cambiare.


 Cosa succede con la MiFID2?

L’avvento della MiFID2 è una bella occasione per portare trasparenza in un mondo che è stato finora caratterizzato da opacità e poca attenzione sostanziale da parte dei regulator, fin troppo attenti, invece, agli aspetti formali. Forse, sta per volgere al termine il tempo delle vacche grasse per chi bada poco agli interessi dei clienti per seguire meglio i propri: ovvero spacciando come “migliori” i prodotti finanziari a più elevato carico commissionale, quando si tratta semplicemente dei più remunerativi per chi li colloca. Questo è il grande conflitto d’interesse del risparmio gestito.

Per mettere in prospettiva concreta l’opportunità della MiFID2 , vi ricordiamo le dimensioni del conflitto d’interesse che grava sul mondo del risparmio gestito italiano: ammonta più o meno a 23 miliardi l’anno (1,5% del PIL).

Dal nostro punto di vista, la MiFID2 ha il grande vantaggio di far emergere il vero valore della consulenza finanziaria (…quando c’è, ovviamente), ma attenzione: il diavolo si nasconde nei dettagli.

Costi visibili e costi nascosti

Fateci caso: recentemente, le gestioni patrimoniali sono tornate di moda anche tra chi di solito non è particolarmente affine a questo tipo di servizio . Il sospetto è che, anziché fare una scelta di campo ben precisa, ovvero quella di aumentare la qualità dei servizi, la gestione patrimoniale venga utilizzata come escamotage per scavalcare la trasparenza imposta dalla MiFID2 , “nascondendo” nel carico commissionale voci di costo non sempre… eque. Tra l’altro in un Paese che già non gode di un trattamento commissionale (costi di gestione, spese amministrative e operative) particolarmente vantaggioso, specialmente se paragonato alla Svizzera[1].

In uno studio del 2014, del Pensions Institute della Cass Business School è stato chiesto agli asset manager di fare una stima dei costi visibili e nascosti sostenuti effettivamente dagli investitori[2]. Volete sapere che cosa hanno risposto? Ebbene, fatto 100 l’ammontare complessivo dei costi, circa l’80% rientra nella categoria dei costi nascosti. Perciò, siccome la trasparenza è la nostra missione, ecco una lista dei costi che in un modo o nell’altro dovreste chiedere che siano ben esplicitati.

Partiamo dai costi cosiddetti visibili.

  1. Le commissioni di gestione. Sono le commissioni legate alla gestione professionale degli investimenti. Un grande calderone nel quale, oltre ai costi legati alla ricerca e all’analisi dei mercati finanziari, ricadono anche i costi legali, di marketing, quelli legati alla banca depositaria e di struttura che andrebbero esplicitate separatamente.
  2. Commissioni di consulenza. Sono i costi legati al servizio di consulenza, quelli che con l’entrata in vigore di MiFID2 dovranno essere dettagliati in maniera puntuale.
  3. Commissioni di performance. Sono le commissioni legate al successo della gestione, quando si superano gli obiettivi stabiliti con il consulente. Ogni prodotto e gestore ha i suoi meccanismi, che è bene comprendere a fondo, perché anche qui si nascondo meraviglie degne di Machiavelli, ad esempio le commissioni water mark mensili o trimestrali che alcune case applicano, portando a caricamenti annui a doppia cifra, ovvero anche superiori al 10%. Pretendete lo standard più elevato del mercato, ovvero l’high water mark assoluto senza reset annuale. In questo modo non pagherete mai due volte (o più) la performance realizzata e non pagherete mai un consulente o un prodotto che perda i vostri soldi.
  4. Le imposte. Sono i costi legati alla fiscalità degli strumenti finanziari. Fate attenzione alle gestioni ibride, in cui minusvalenze e plusvalenze non si compensano ed evitate chi non abbia una competenza fiscale adeguata.

Poi ci sono anche i costi nascosti, quelli che in un modo o nell’altro il cliente rischia di pagare senza saperlo. Vediamo i principali.

  1. I costi legati al differenziale domanda-offerta (o spread Bid-Ask). Sono i costi che pesano sull’operatività di Borsa, ovvero il margine che un intermediario market-maker chiede per eseguire una determinata operazione. Tanto più un titolo è illiquido, tanto più lo spread Bid-Ask è elevato. Perciò fate attenzione ai titoli illiquidi che avete in portafoglio, soprattutto se vengono comprati e venduti spesso (generando un elevato turn-over di portafoglio).
  2. I costi di collocamento dei fondi. Quando un gestore patrimoniale decide di comprare/vendere un fondo comune (o strumento analogo), i costi legati alla transazione possono non essere rendicontati, ma vengono comunque detratti dal patrimonio gestito. Cioè: paga il cliente finale. In epoca di tassi bassi crearsi una rendita dal capitale diventa sempre più difficile. È facile farsi ingolosire da fondi comuni che staccano una cedola. State molto attenti perché potrebbe intaccare il capitale versato o addirittura nascondere un principio di schema Ponzi.
  3. Non tutte le entrate vengono dichiarate. A volte, il gestore potrebbe beneficiare del prestito dei titoli in portafoglio, oppure degli interessi sulla liquidità in eccesso, senza che voi clienti lo sappiate: in realtà quei soldi sono vostri e invece vi ritrovate a correre rischi di cui non siete consapevoli e su cui altri vengono remunerati.
  4. Market impact. In questo caso parliamo dell’impatto sul mercato in caso di operazioni di grandi dimensioni, specialmente quando i titoli sono illiquidi. Quando un operatore esegue un ordine consistente di vendita senza controllare i volumi, il prezzo può risentirne. Può avvenire lo stesso in caso di acquisto.

Noi vediamo la MiFID2 come un’interessante opportunità di business, perché nel lungo termine metterà in risalto la trasparenza e la professionalità delle gestioni patrimoniali come quella di Goodwill Asset Management.

Guida pratica

Per evitare fregature, fate sempre al vostro gestore/promotore/consulente le seguenti domande:

  • Quali sono i TER degli investimenti che mi proponi?
  • Qual è il GAV (Gross Asset Value) dei fondi nel mio portafoglio? Il NAV (Net Asset Value) è pubblico, la differenza tra NAV e GAV è l’unico parametro in grado di spiegare l’entità dei costi realmente applicati, costi che è vostro diritto conoscere.
  • Hai valutato bene anche l’impatto fiscale delle gestioni che mi proponi?

Prodotti disomogenei tra loro possono generare spiacevoli sorprese fiscali. Come già accennato, minusvalenze e plusvalenze non possono compensarsi per strumenti diversi e il rischio è di restare incastrati su uno strumento in attesa di vederlo tornare in utile, sempre che questo avvenga.

Approfondiremo questa tematica e riporteremo casi concreti nel prossimo post che tratterà proprio gli aspetti fiscali.


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[1] http://media.morningstar.com/uk%5CMEDIA%5CResearch_Paper%5C2016_Morningstar_European_Cost_Study_17082016.pdf

[2]http://www.pensions-institute.org/workingpapers/wp1407.pdf

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