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#ABCFinanza: PIC vs PAC, meglio investire tutto e subito o con gradualità?

PIC vs PAC: meglio investire gradualmente nel tempo o tutto subito?

Per evitare che l’integrità del vostro sonno risulti compromessa per sempre, vi dico subito chi è il “colpevole”, e poi procediamo a ritroso con gli indizi: investire gradualmente, con un PAC, è tendenzialmente meno rischioso che investire tutto in una volta, con un PIC. Quanto al risultato mediano delle due strategie d’investimento, bè, è simile e ora vediamo come siamo arrivati alla soluzione del caso.

Prima però è d’obbligo fare un minimo di chiarezza terminologica. Perché queste due possibili modalità d’investimento, cioè PIC e PAC, hanno nomi al limite del ridicolo, che vanno spiegati a beneficio di chi non ha dimestichezza con il discutibile gergo finanziario.

 

PIC: Piano di Investimento di Capitale

Questa formula corrisponde ad un investimento in un’unica soluzione: il PIC è quindi particolarmente indicato per il risparmiatore che dispone di una certa somma fin da subito. Il suo obiettivo tipico è accrescere il capitale.

Chi si trova in questa situazione? Ad esempio chi è appena andato in pensione (e ha a disposizione il TFR o la liquidazione), chi ha ereditato un capitale, chi riesce a risparmiare somme consistenti e ha già accumulato un bel gruzzolo, chi ha ottenuto una vincita, ecc.

 

PAC: Piano di Accumulo di Capitale

Questa seconda formula consiste nell’investimento di somme nel tempo, con regolarità (ad esempio mensilmente, trimestralmente e via dicendo). Può trattarsi anche di somme molto piccole (sul mercato sono presenti PAC da 5-10 euro di versamento minimo). L’obiettivo tipico è, nel medio-lungo periodo, raggiungere un capitale maggiore della somma dei risparmi periodici effettuati.

Chi si trova in questa situazione? Gran parte delle persone. Chiunque riesca a risparmiare qualcosa ogni mese (o settimana, o bimestre, o trimestre…), una volta affrontate le spese correnti come l’affitto, il cibo, i viaggi, il tempo libero.

Il PAC equivale a mettere somme di denaro risparmiato, anche piccole, in una sorta di salvadanaio. Un salvadanaio costituito da strumenti finanziari.

 

 

Chi vince tra PIC e PAC?

Su PIC e PAC ho sentito tutto e il contrario di tutto. Sintetizzerei così le opinioni prevalenti:

 

“Meglio investire tutto insieme, aspettando il momento giusto, perché il PIC massimizza la performance.”

 

Oppure ancora:

 

“Cogliere l’attimo giusto è quasi impossibile, il market timing perfetto non esiste, quindi conviene investire un po’ alla volta con il PAC, così rischi meno e vedi crescere il capitale un po’ alla volta.”

 

Aggiungo che molti collocatori di prodotti finanziari (cioè consulenti finanziari e private banker) amano il PAC perché fidelizza il cliente. Come dicevo prima, varie società ormai offrono PAC a condizioni vantaggiose, anche investendo somme molto piccole (pochi Euro alla volta). Sicché, a veder “spinta” questa modalità d’investimento, di riflesso, alcuni risparmiatori diventano sospettosi.

Va detto anche che spesso PIC e PAC non sono in contrasto: un grande classico è che uno inizi ad investire con un capitale precedentemente accumulato e poi, mano a mano che risparmia, investe somme inferiori tramite un PAC. Questa combinazione è generalmente la strategia migliore, se si ha già un capitale a disposizione.

Credo però che sia utile guardare ai PIC e ai PAC con approccio scientifico, analizzandoli separatamente per capirne il funzionamento in vitro. Senza lasciar spazio a preconcetti e superficialità.

Confrontiamo quindi il risultato di un investimento azionario internazionale con un PIC e con un PAC. Per effettuare il confronto ho dato in pasto ad un algoritmo di simulazione la storia dei mercati finanziari degli ultimi cinquant’anni circa (è una particolare simulazione Monte Carlo che, per i curiosi, si chiama block-bootstrap) e gli ho lasciato “immaginare” migliaia di ipotetici percorsi d’investimento. Tutti realistici, perché tratti dalla storia vera, a tratti burrascosa. Il fatto che i percorsi di investimento siano molteplici rende i risultati statisticamente robusti, vale a dire piuttosto attendibili, anche se la verità assoluta ovviamente non esiste.

 

Metodologia

Ecco che cosa ho fatto:

  1. ho considerato le serie storiche da gennaio 1970 a fine ottobre 2017 dei vari indici azionari mondiali (S&P500 per gli USA, DAX per l’Europa, Nikkei per il Giappone, insomma gli indici con la storia più lunga);
  2. ho combinato le serie, equipesandole, per formare un portafoglio azionario internazionale;
  3. ho ipotizzato PIC e PAC di durata 5 anni e 10 anni, che investono in tale portafoglio;
  4. immaginando di versare 100€ al mese nel PAC, ho calcolato l’ammontare finanziariamente equivalente del PIC (in pratica tengo conto del fatto che 100€ oggi valgono in linea generale più di 100€ nel futuro; quindi ho fissato il valore del PIC pari al valore attualizzato ad oggi dei versamenti nel PAC);
  5. dalla storia di ciascun indice azionario ho estratto casualmente – con il block-bootstrap – 10.000 “strisce” di quotazioni della durata ipotizzata (5 o 10 anni), ricavando così 10.000 “mondi possibili”;
  6. ho ipotizzato un costo associato a ciascun versamento del PAC pari a zero (una stima ragionevole, visto che sono diversi gli operatori che adottano questa politica di costo);
  7. per ognuno dei 10.000 “mondi possibili” ho calcolato il risultato del PIC e del PAC.

In questo post, per questioni di brevità, prendo in considerazione solo i risultati più significativi, utilizzando dati aggiornati. Chi volesse approfondire la questione può leggersi un mio articolo tecnico. Direi comunque che la storia dell’azionario mondiale dagli anni ’70 ad oggi, ricca di cicli borsistici ed economici, oltre che di varie drammatiche crisi finanziarie, è sufficientemente rappresentativa per giudicare il comportamento di PIC e PAC.

 

Risultati

Partiamo con un orizzonte temporale difficile: 5 anni. Difficile perché investendo nell’azionario è un arco temporale non poi così lungo, e i rischi di perdita sono relativamente elevati – sul punto vi suggerisco questa lettura. Diventa interessante vedere come si comportano PIC e PAC su questo terreno difficile. Ecco allora la gamma dei possibili risultati (asse orizzontale) di PAC e PIC di durata quinquennale, corrispondenti ad una somma totale versata di 6000€, e della loro probabilità di accadimento (asse verticale):

 

PIC PAC 2 | amCharts

 

In breve, il grafico ci dice che il PAC è meno rischioso: la probabilità, dopo 5 anni, di finire con un capitale inferiore a quanto versato (ndr: si chiama shortfall probability) è pari a 17%. Che, per un investimento quinquennale è un valore molto buono. Con il PIC, questa probabilità è 27%, cioè nettamente più elevata (del 59%, per l’esattezza).

Peraltro, con il PAC si ottengono con elevata probabilità risultati buoni (in due terzi dei casi il capitale finale si colloca tra 7000€ e 10.000€ circa), attenuando però il rischio di pessimi risultati, anche su un orizzonte temporale non particolarmente elevato.

Con il PIC, il capitale finale medio risulta in linea con quello del PAC. Ma sono possibili (benché non molto probabili) risultati eccezionali: la “coda” della distribuzione dei risultati del PIC si allunga infatti a destra, anche se con probabilità basse. Il prezzo da pagare per questo maggiore potenziale di performance del PIC è un rischio più marcato, che corrisponde a una “coda” di sinistra più pronunciata di quella del PAC.

Allungando la durata di PIC e PAC, si smussano le differenze, come mostra il seguente grafico, che riporta i risultati di una simulazione del tutto analoga alla precedente, ma con orizzonte decennale. La shortfall probability scende nettamente in entrambi i casi, ma resta comunque nettamente a favore del PAC: 9%, rispetto al 15% del PIC.

 

PIC PAC 1 | amCharts

 

Un punto importante riguarda i costi associati ai singoli versamenti del PAC: al crescere  dei costi per singolo versamento, peggiorano le performance del PAC. Un costo fisso di 1€ su un versamento mensile da 100€ incide per l’1%: una mazzata. In simili casi vi conviene optare per un PAC con versamenti poco frequenti, ad esempio ogni tre/quattro mesi anziché ogni mese, aumentando nei limiti del possibile l’entità del versamento. Ribadisco però che sono diverse le case che offrono PAC con versamenti minimi bassi e costi nulli di versamento. Fate però anche attenzione ai dinosauri: vi sono in giro anacronistici PAC che costano anche il 5% a versamento e che sono – ovviamente – del tutto inaccettabili. Quindi guardatevi attorno e scegliete per il meglio.

 

Morale della favola

Questo il succo:

  • l’evidenza empirica è che i PAC hanno un rischio inferiore ai PIC, soprattutto su archi temporali medi e brevi;
  • il risultato medio atteso è simile (tenete presente che si parla di investimenti, per i quali l’alea ha un ruolo importante);
  • il PAC distoglie l’attenzione dal market timing, aiutando dal punto di vista psicologico l’investitore a mantenere la rotta giusta;
  • il PAC si può tranquillamente combinare con il PIC;
  • bisogna stare attenti ai costi (come sempre);
  • in definitiva è un’ottima strategia che consente di costituire un capitale investendo i risparmi (anche piccoli) con gradualità e poco stress.

 


Scritto da

Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

Ultimi commenti
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    Ottima analisi, che ovviamente condivido. Aggiungo che, conoscendo i titoli in portafoglio, è sempre possibile migliorare le performance del PAC con uno “smart PAC”, cioè un piano di accumulo con versamenti non periodici e costanti, ma mirati e concentrati. Tra l’altro versando di meno (in termini di numero di operazioni), si tagliano sensibilmente i costi di commissione, il tutto a beneficio della performance.

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      Assolutamente sì. Margini di miglioramento al margine ce ne sono a go-go. La cosa importante è sposare il principio. Peccato che molti intermediari offrano ancora PAC a condizioni da ladroni.

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      Ho una domanda……secondo me il pac conviene quando ci sono oscillazioni di mercato sia a segno + che a segno meno -, ma se il portafoglio su cui ho costruito il pac e’ sempre in positivo non mi conviene più,e’ un’idea giusta o sono fuori strada?

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    Sui PAC non ho mai ben compreso come non impiccarmi con i costi di commissione. Faccio un esempio:
    – il mio portafoglio premium è composto di n° 7 diversi ETF azionari;
    – la commissione di trading online della mia banca è dello 0,19% con minimo €8/operazione,
    Per non impiccarmi sulle commissioni ho sempre acquistato/venduto pacchetti da circa 4000 euro.
    Come faccio ad adottare la strategia PAC sul pacchetto di 7 ETF?
    Grazie

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    Condivisibile, ma concentrare i versamenti pac in meno rate più corpose rischia di farti stare fermo proprio in momenti chiave in cui dovresti se possibile aumentare l’investimento e quindi richiede più attenzione per eventuali movimenti manuali da fare di volta in volta. Alcune sgr hanno un servizio che partendo da un pic su un fondo tranquillo (ammesso che ora ne esistano) effettua da solo switch periodici su fondi più rischiosi eventualmente aumentando l’importo se sussistono le condizioni statistiche per pensare che il fondo target sia particolarmente basso in quel momento. Mi pare un’idea furba, almeno su carta. Poi mah, 1€ di commissione per versamento mi sembra ancora nel range dell’accettabile, ben meno comprensibili sono le entry fee al 5%, specie ora.

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      Su un investimento a lungo termine effettuato con un PAC non bisogna essere stressati dalla ricerca del momento ottimale, quindi non mi preoccuperei troppo del passaggio dal mensile al trimestrale. Anche perché il momento ottimale è noto solo a posteriori.
      Comunque esistono diverse aziende che consentono l’acquisto di fondi a condizioni vantaggiose senza commissioni d’ingresso e uscita e con management fees basse (ne abbiamo parlato anche qui: http://it.adviseonly.com/blog/investire/guida-al-risparmio/come-investire-in-autonomia-piccole-somme-costi-bassi/).

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        Grazie, solo per capire da chi ne capisce di più: passare da ETF a FONDI comporta mediamente aumentare i costi di ingresso e di gestione, un po come cadere dalla griglia alla brace? Con i tempi che corrono, guardando da una posizione da risparmiatore e non da trader, significa lasciare i magri guadagni ai gestori… o no?

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        Io più che di stressarmi parlo di abbassarmi consapevolmente il prezzo medio di carico essendomi resa conto, ex post, di aver comprato un po’ a caro prezzo nei mesi precedenti (per questa finalità mantengo un fondo parcheggio per switch mirati da fare alla bisogna). Se, come auspico e pare plausibile aspettarsi, i mercati si rimetteranno in carreggiata, mi spiacerebbe non stare comprando nulla durante questi gennaio e febbraio disastrosi ad esempio (io li sto vedendo un po’ come i saldi invernali, anche se magari mi sbaglierò). Il timing perfetto è una felice utopia ma possiamo fare ragionevoli supposizioni. (Se invece continueremo nel gioco al massacro mi rimangio tutto)

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      Grazie Silvia, solo per capire … se faccio un PAC da 300 €/mese lascio ogni mese 8 € che equivalgono al 3% …. ne vale la pena?

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        Direi che è soggettivo in una certa misura e dipende dal tipo di fondo (normalmente non si sceglie il pac per il fondo tranquillo, comunque, ma per fondi più aggressivi da cui aspettarsi un ritorno ragionevole smussando i rischi del pic). A me il 3% spingerebbe altrove. Vanno comunque distinte le entry fee (in percentuale e non presenti per ogni fondo) dalle commissioni di intervento fisse che ad esempio possono essere anche 50 modesti centesimi.

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          Ok, approfondisco. Grazie

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    Sorpreso da questa conclusione visto le ricerche accademiche sulla superiorita’ tra dollar-cost averaging’ (ovvero il PAC) e lump-sum (PIC) – alcune datate nel 1979 (es. Constantinides)

    Il PIC batte il PAC 2 volte su 3 per portafoglio diversificati (abbastanza intuitivo se il mercato tende a crescere su periodi piu’ o meno lunghi), quindi razionalmente (amesso che uno abbia un gruzzoletto disponibile ed un orizzionte lungo) conviene investire tutto e subito piuttosto che dilazionare l’investimento. Solo un investitore molto avverso al rischio dovrebbe preferire un PIC.

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      Ma infatti il punto non è se meglio investire tutto subito o aspettare e dilazionare: quello che si ha è meglio investirlo ASAP per avere un orizzonte temporale il più lungo possibile.
      Il punto chiave invece è: se investo gradualmente, sono molto svantaggiato/avvantaggiato? Dovrei aspettare forse di avere un gruzzolo prima di investire, oppure posso farlo gradualmente? Il risultatom è: andate avanti tranquilli con il PAC, che va benissimo, anzi tendenzialmente diminuisce i rischi, oltre ad avere benefici psicologici/comportamentali qui non esplicitati, ma rilevanti (si evitano tentativi di market timing, generalmente dannosi).
      Comunque, la metodologia simulativa adottata, non parametrica e perciò molto realistica per quanto riguarda il comportamento dei mercati, con dati aggiornati, è spero spiegata abbastanza bene nel paper (accademico), disponibile qui: http://ssrn.com/abstract=2341773.
      E la superiorità in termini di media del PIC c’è anche qui, seppur non vastissima; il problema è che è dovuta a relativamente pochi risultati eccellenti. In altri termini la distribuzione è molto skewed a destra. Sfortunatamente, la distribuzione dei risultati ha anche una coda che si allunga decisamente di più a sinistra. E questo si riflette in rischi maggiori del PIC rispetto al PAC, in molte situazioni.

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    Ottima analisi, grazie! Sarebbe interessante fare un’esercizio simile confrontando un portafoglio di obbligazioni (per esempio con scadenza a 10 anni) detenute direttamente e portate a scadenza, con un ETF obbligazionario (su titoli analoghi) che però mantiene fissa la duration del proprio portafoglio poiché modifica la sua composizione periodicamente.

    Che cosa succede nei due casi dopo 10 anni? E durante il periodo di detenzione dei due investimenti? La simulazione Montecarlo andrebbe naturalmente fatta su diversi scenari di evoluzione dei tassi d’interesse.

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    Io devo dire che consiglio sempre un PAC. Sicuramete meno performante nel tempo rispetto al PIC ma sicuramente meno volatile. Il PAC permette di armonizzare meglio l’andamento del fondo/sicav.

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    Io vorrei affrontare l’argomento dal lato della tipologia dell’investimento.

    Il risanamento ambientale, urgentissimo, è un campo di fatto ancora vergine. Parole tante, fatti niente.

    H VOLTA H ha brevettato in Europa un nuovo sistema di auto ad idrogeno a bombole intercambiabili, energia solare prodotta con un mega sistema senza uso di suolo.

    Quando si parla di rischio bisogna guardare agli obiettivi lontani

    Guido Francesco Vicario – guido.f.vicario.elvi@gmail.com

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    Bella analisi. Non sono esperto del settore, ma mi sono sempre piaciute le simulazioni Momtecarlo. Hai provato anche a vedere come si comportano i due tipi di investimento con indici singoli o di settore (quindi senza combinarli per fare un super indice)? Mi aspetterei un andamento più sbrodolato per entrambi, ma in qualche caso potrebbero anche esserci delle sorprese.

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