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Arrivano i robot, 10 milioni di posti di lavoro in meno?

L’innovazione tecnologica e la sempre più rapida diffusione dei robot potrebbero pesare sul mercato del lavoro, anche in Italia. Quanto è reale la minaccia? Abbiamo provato a stimarlo, dati alla mano.


In questo momento l’innovazione tecnologica non gode di una brillante reputazione tra il grande pubblico (startuppers esclusi, ovviamente).

Il World Economic Forum stima infatti che l’innovazione tecnologica in corso possa ridurre l’occupazione mondiale di circa 5,1 milioni di unità entro il 2020[1]. In una situazione occupazionale già piuttosto precaria in molti Paesi, la tecnologia ha dunque tutte le armi per fare paura.

Il dibattito sull’innovazione tecnologica è animato da due visioni ben distinte del fenomeno: c’è chi guarda alla storia e sostiene che nel lungo termine il saldo tra i nuovi posti di lavoro e la perdita di quelli vecchi sarà più che positivo[2]; e c’è chi invece pensa che questa rivoluzione sia diversa dalle altre, e che gli Stati non siano assolutamente attrezzati per reggere al cambiamento (pensate solo all’eventuale maggior carico legato ai sussidi di disoccupazione). Ahimè, solo il tempo ci dirà chi ha ragione.

Quel che è certo fin da subito è che la digitalizzazione può colpire l’occupazione su diversi fronti. Recentemente si parla soprattutto del rischio di automatizzazione del lavoro, specialmente dopo che l’innovatore Bill Gates si è detto favorevole alla tassazione sui robot.

Ma quali lavori saranno maggiormente a rischio? E soprattutto, com’è messa l’Italia in termini di automazione del lavoro? Detto in altri termini: considerando le attuali tecnologie e la composizione del mercato del lavoro, quanti posti sono messi a rischio dalla robotizzazione?

I lavori più a rischio

Per prima cosa, non tutti i lavori hanno lo stesso grado di automazione. Secondo McKinsey, il grado di automazione potenziale, ovvero in base all’applicazione delle tecnologie attualmente disponibili, dipende dal tipo di industria e dal tipo di attività svolta[3]: ogni macro tipologia di lavoro può essere divisa in 7 micro attività, ognuna della quali con il suo specifico livello di robotizzazione. Ad esempio, in tutti i settori analizzati, in media l’attività che sembra avere il più alto livello di robotizzazione è il cosiddetto “lavoro fisico prevedibile”, seguito dalla raccolta e analisi dei dati e dall’interazione con gli stakeholder (ossia con uno o più soggetti coinvolti nell’attività aziendale, dai fornitori agli azionisti).

robotizzazioni

Tuttavia, il tempo impiegato nelle sette attività non è uguale per tutti i settori. Ad esempio, chi lavora nel settore dei servizi di alloggio e ristorazione spende la maggior parte del tempo in attività da lavoro fisico prevedibile (ovvero quello con il più alto grado di robotizzazione), mentre chi svolge attività professionali, scientifiche o amministrative e di supporto spende la maggior parte del tempo in pianificazione e decision making. Perciò, ogni settore ha il suo grado di robotizzazione, che dipende dal tempo speso su ogni singola attività.

E in Italia?

La ricerca di McKinsey è ovviamente incentrata sul mercato statunitense ma, ipotizzando che in Italia il grado di automazione del lavoro per settore e per branca di attività sia uguale al mercato americano, è possibile stimare il costo della robotizzazione in termini di posti di lavoro, partendo dalla più recente ripartizione della forza lavoro per branca di attività offerta dall’ISTAT (dati del 2015).

Tralasciando per un attimo i possibili benefici dell’automazione sull’occupazione, ecco cosa emerge.

A fine 2015, il numero di occupati ammontava a circa 24,5 milioni di unità; ora, applicando il potenziale massimo di automazione stimato da McKinsey, risulta che circa il 44,7% dell’occupazione potrebbe essere “sostituita” dall’applicazione delle nuove tecnologie.

L’industria potenzialmente più automatizzabile è quella manifatturiera, con oltre due milioni di posti di lavoro “a rischio”, seguita dal commercio all’ingrosso e al dettaglio (con 1,57 milioni di posti di lavoro a rischio), dalla sanità e assistenza sociale (850 mila occupati a rischio) e dai servizi di alloggio e di ristorazione (con 800 mila occupati a rischio).

In Italia, peraltro, l’automazione dei processi produttivi è già iniziata e non siamo neanche messi così male: in Europa siamo secondi solo alla Germania, rispetto al resto del mondo siamo in decima posizione, ben al di sopra della media mondiale.

robotizzazioni_mondo

Tuttavia, per quanto il rischio robotizzazione possa risultare davvero pesante in termini di occupazione, va ricordato che il processo di automazione ha un costo, sia in termini di investimenti che di competenze. La sostituzione degli uomini con le macchine non avverrà dall’oggi al domani, ad esempio se l’Italia riuscisse a mantenere il tasso di sviluppo europeo, ci vorrebbero poco meno di 10 anni prima di raggiungere la densità attuale di robot tedesca. E la Germania non è ancora un paese fatto di soli robot.

Oltre ai fattori demografici che potrebbero condizionare il processo di sostituzione macchina-uomo,  c’è da considerare poi che l’automazione, aumentando la produttività, è anche in grado di contribuire positivamente all’occupazione, creando “nuova occupazione”[4]. Infatti, secondo l’International Federation of Robotics[5], tra il 2010 ed il 2015 il processo di robotizzazione dell’industria automobilistica negli Stati Uniti (+230 mila) e in Germania (+93 mila) è riuscito a creare un beneficio netto di circa 323 mila occupati in più.

Con tutti suoi limiti, la nostra stima “fatta in casa” sul costo occupazionale dell’automazione del lavoro suggerisce che la tecnologia può avere un importante impatto sull’occupazione in Italia. Tuttavia, a fare la differenza saranno i modi e tempi di questo cambiamento strutturale. In ogni caso sindacati, governi e imprese devono essere pronti a gestirla.


[1] http://www3.weforum.org/docs/WEF_Future_of_Jobs.pdf

[2] https://economics.mit.edu/files/11563

[3] http://www.mckinsey.com/business-functions/digital-mckinsey/our-insights/where-machines-could-replace-humans-and-where-they-cant-yet

[4] Secondo l’ultimo rapporto del Word Economic Forum sull’occupazione circa il 65% dei bambini che attualmente frequentano la scuola primaria faranno un lavoro che oggi non esiste.

[5] https://ifr.org/downloads/press/02_2016/Presentation_market_overviewWorld_Robotics_29_9_2016.pdf

 


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Scritto da

Segue tematiche economiche e finanziarie per il team financial strategies group di Advise Only. Dopo aver conseguito una doppia laurea in Management all’Università di Torino e all’ESCP Europe, ha deciso di proseguire i suoi studi con un master in Economia Internazionale a Paris Dauphine. Dopo 4 anni di vita parigina ed esperienze lavorative come economista e strategist, sbarca in Advise Only con l’obiettivo di sviluppare la parte di analisi economica e congiunturale.

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