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Il risultato elettorale italiano farà male ai vostri investimenti?

Circa un italiano su due ha espresso un voto populista ed euroscettico e non ci sono maggioranze di governo certe: con quali effetti sui vostri soldi? Vediamolo.

L’Italia si è svegliata trovando come primo partito il Movimento 5 Stelle e una Lega vigorosamente cresciuta. Il centrodestra è la coalizione più votata, mentre tracolla il PD. Come non è sfuggito alla stampa estera, circa un italiano su due ha espresso un voto populista ed euroscettico. Non ci sono maggioranze di governo certe.

Al di là delle analisi e degli scenari politici, che lasciamo ad altri, la domanda chiave per i lettori di questo blog è: tutto ciò può fare male ai vostri risparmi investiti?

Analizziamo la questione con calma.

La reazione dei mercati finanziari al voto italiano

I mercati hanno reagito pacatamente, per ora. Bloomberg è uscito come sempre con titoloni roboanti tipo “I rendimenti dei titoli di Stato italiani schizzano verso l’alto per il risultato elettorale”. Ci pare una melodrammatica esagerazione, visto che al momento della stesura di questo post il rendimento del BTP decennale è 2 punti base (0,02%) più elevato rispetto a una settimana fa.

Fuffa giornalistica, dunque.

Lo spread tra BTP e Bund, tradizionale indicatore di rischio del sistema Italia, è addirittura più basso (sì, avete capito bene, più basso: e ciò significa meno rischio) della media storica a cinque anni e a un anno, peraltro in modo non statisticamente significativo, quindi siamo in una situazione del tutto normale.

Il cambio tra euro e dollaro USA è grosso modo dove era una settimana fa; oscilla esprimendo la sua normale volatilità, né più, né meno.

Le Borse mondiali sono in fase di spurgo e correzione, sì, certo, ma lo sono da circa un mese. A livello mondiale. Ed è una situazione del tutto fisiologica.

In breve: i mercati finanziari se ne sbattono – per ora – del risultato elettorale italiano. Di conseguenza, voi risparmiatori potete pure rilassarvi. Per ora.

L’evoluzione del quadro politico

Ci vorrà un po’ per formare un governo, ammesso che se ne formi uno. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella avrà il suo bel da fare per tentare di trovare un accordo tra le parti, visto che nessuno schieramento politico ha, da solo, la forza di governare.

In termini di “dispendio temporale”, considerate che dal 1992 ad oggi il tempo medio per formare un governo è stato di 51 giorni (fonte: J.P. Morgan) e che il nuovo Parlamento dovrebbe riunirsi per eleggere i presidenti di Camera e Senato il 23 marzo. Entriamo quindi in una sorta di limbo fatto di ipotesi e chiacchere: i mercati staranno a guardare, valutando l’evoluzione della situazione.

Quello che si può dire con relativa certezza è che l’ipotesi che più potrebbe mandare in pappa i mercati è una coalizione tra M5S e Lega: il mix di euroscetticismo, forte critica verso riforme introdotte dai governi precedenti e demagogia populista potrebbe far schizzare veramente verso l’alto i rendimenti delle obbligazioni italiane e creare preoccupazioni per il sistema bancario, mandando all’aria la Borsa.

Ma questo è il worst case, lo scenario peggiore. E, a oggi, appare abbastanza improbabile che M5S e Lega possano trovare un accordo di governo: sono una coppia politicamente scombinatissima. Dal punto di vista dei mercati, si tratta di un “rischio estremo” (tail risk). Che, tuttavia, non si può completamente escludere. Resta il fatto che un governo a “larghe intese” o “di scopo” per una nuova legge elettorale è ipotesi assai più probabile di una coalizione M5S/Lega.

Se anche il tentativo di formare un governo andasse per le lunghe, difficilmente sarebbe un problema: il peso delle questioni domestiche nel contesto europeo, piaccia o no, è molto cambiato negli ultimi anni, a tutto vantaggio della politica comunitaria.


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Uno sguardo d’insieme

In sintesi, le ragioni per cui per ora non c’è da preoccuparsi troppo sono le seguenti:

  • il quadro economico, sia a livello globale che italiano, è benigno, almeno a livello congiunturale (a livello strutturale, invece, l’Italia ha enormi problemi di produttività e competitività, ma non si tratta certo di una novità);
  • le banche centrali, nonostante il lento cambio di politica monetaria in atto, sono ancora estremamente attente a fornire supporto a un’economia mondiale in buona salute, ma con vari elementi di fragilità;
  • la politica domestica, in questo caso la nostra, conta molto meno che in passato;
  • a livello strutturale, il sistema bancario e finanziario dell’Eurozona (incluso quello italiano), pur con tutti i suoi problemi strategici e reddituali, è più robusto e resiliente di una decina d’anni fa, ed è quindi in grado di sopportare shock più violenti;
  • i mercati finanziari sono in una situazione che possiamo definire “ordinaria”, cioè non sono particolarmente eccitati.

Per dirla tutta, il risultato elettorale italiano preoccupa i mercati molto meno della politica estera statunitense e del delirio su dazi e tariffe partorito dall’amministrazione Trump, con il potenziale ingente danno all’economia globale.

Per quanto riguarda la nostra penisola, dunque, manteniamo la calma.


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Scritto da

Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

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