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HomeECONOMIA E MERCATIECONOMIA, POLITICA E SOCIETA'Inizia per “f” ed è essenziale (anche per i mercati): che parola è?

Inizia per “f” ed è essenziale (anche per i mercati): che parola è?

Lo sappiamo, qualcuno ha già iniziato a lavorare di fantasia. Ma no: la parola che inizia per “f” e della quale vi vogliamo parlare oggi non ha proprio nulla di sconveniente. La “f” sulla quale vogliamo soffermarci, però, è forse la più determinante per i mercati: ci riferiamo alla fiducia.

La fiducia è da sempre il vero motore dei mercati finanziari. Si tratta di una variabile imprevedibile, fluida e potente, un bene difficile da produrre, ma – purtroppo – facile da distruggere. Non la possono creare gli Stati nazionali o altre autorità, la si può solo “stimolare”. E certamente, non si può comprare.

 

Alla base del rapporto tra fiducia e mercati

I mercati finanziari poggiano su convenzioni generalmente accettate e sulla condivisione di regole comuni.

Ma quanto più difficili sono da capire i fattori e le regole su cui poggia il funzionamento di un mercato, tanto più importante è la fiducia. Dopotutto, chi mai vorrebbe giocare a un gioco nel quale le regole possono inaspettatamente cambiare nel corso della partita?

La fiducia è quindi uno strumento potentissimo e forse, per noi risparmiatori, questa può essere una buona notizia: formichine nel sistema finanziario, abbiamo il potere di influenzare il destino ultimo dei mercati.

 

Fiducia, un esempio su tutti: il caso Lehman

L’importanza del fattore fiducia è altissima anche nella vita di tutti i giorni. Pensateci. Tornereste mai dal negoziante che vi ha “fregato” rifilandovi un prodotto di scarsissima qualità, e magari a un prezzo da top di gamma? E come ne parlereste ai vostri amici, parenti e conoscenti? Quel negozio, a lungo andare, sarebbe costretto a chiudere se la gente del quartiere smettesse di andarci.

Questo effetto a catena si amplifica sui mercati a causa della rapidità dei meccanismi di trasmissione. Pensiamo al caso Lehman Brothers, che abbiamo ricordato di recente ricostruendo la vicenda Evergrande1: al di là di quanto fosse realmente compromessa la sua situazione finanziaria, la Lehman fallì per la mancanza di fiducia che portò le altre banche a smettere di prestarle denaro per operare.

La paura di non riavere più indietro i soldi precluse alla Lehman ogni via d’accesso alla liquidità. Il che accelerò, se non addirittura causò, la sua fine.

 

 

La sfiducia, quando c’è, si moltiplica

L’effetto “moltiplicativo” della sfiducia nel sistema bancario è potentissimo. Le banche detengono i nostri risparmi e prestano denaro ad altre banche che, a loro volta, prestano soldi alle aziende. Se il meccanismo della fiducia si inceppa, lo stesso fanno il credito e il risparmio.

L’ultimo gradino del panico è il cosiddetto “bank run”, ovvero quel meccanismo che, quando si rompe la fiducia tra banca e correntista, fa sì che i risparmiatori si precipitino di corsa agli sportelli per ritirare tutti i loro soldi, nel timore di non rivederli mai più indietro. Accadde anche nell’autunno del 2007, con la banca inglese Northern Rock.

Insomma, la spirale della sfiducia che si innesca nel mondo finanziario può estendersi con rapidità all’economia reale e avere effetti dirompenti sulla vita di milioni di persone.

 

Altro esempio: la crisi del debito del 2011

Ve la ricordate la crisi del debito sovrano del 2011? Credete che la situazione dei conti pubblici italiani, quando prese il via la crisi, fosse tanto peggiore di quella di due anni prima, quando ci sollazzavamo beati parlando di calcio e pensavamo che i Bot fossero l’investimento più sicuro del mondo?

No, non lo era. Eppure, nell’estate del 2009, la differenza di rendimento tra Btp e Bund era appena sotto i 100 punti base e il Btp decennale rendeva il 4%.

Ma allora perché, se la “salute finanziaria” dell’Italia non era cambiata un granché, nel 2011 arrivammo ad avere uno spread con i titoli di Stato tedeschi superiore ai 500 punti base e un decennale che rendeva il 6,60%?

Perché nel frattempo la situazione finanziaria dei nostri “cugini” greci – compagni di avventura e di sventura del famigerato club Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) – era andata precipitando e d’altra parte il nostro governo, preso forse da altre vicende, perse molta credibilità.

Risultato: sfiducia, paura e cambio di percezione della nostra situazione. I conti italiani non erano peggiorati più di tanto, e neppure il rapporto debito/Pil (passato dal 115% al 119%). Il nostro problema fu solo quello: la sfiducia.

Basti pensare che 10 anni dopo la crisi del debito sovrano, agli inizi di ottobre 2021, con un rapporto debito/Pil proiettato verso il 160%, abbiamo potuto toccare con mano una differenza di rendimento tra Btp e Bund poco sopra i 100 punti base.

Merito delle circostanze – con le munizioni di banca centrale e Next Generation EU che fanno decisamente la differenza e le regole europee allentatesi per poter meglio contrastare gli effetti della pandemia di Covid-19 – ma anche della reputazione internazionale del capo del governo in carica (e con questo esponiamo un dato di fatto, non una nostra personale simpatia).

 

Morale della favola: tutto ruota intorno alla “f”

Non c’è Stato o entità che possa reggere la forza d’urto di un’ondata di sfiducia. Se il mercato decidesse che anche la Germania non è più affidabile, nonostante la sua quasi proverbiale solidità, perfino la “locomotiva d’Europa” verrebbe trascinata nelle spire di una previsione “autoavverantesi”.

E la fiducia non è mai facile da riguadagnare. Quindi, meglio non perderla proprio.

 



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