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E se la Francia entra nel club dei paesi Periferici?

In Europa si parla spesso del solido asse franco-tedesco. Basta aprire un libro di storia, però, e ci si rende conto dell’atavica rivalità tra i due paesi, sfociata in tre guerre in ottant’anni. La fine del secondo conflitto mondiale vide la nascita del “Progetto Europeo” sotto la spinta di due politici francesi: Jean Monnet e Robert Schuman, i quali posero le basi per la creazione degli Stati Uniti d’Europa.

Tra le altre cose, il processo d’integrazione europea vedeva negli intenti dei suoi sostenitori francesi:

  • il rafforzamento dell’influenza della Francia nell’Unione Europea per bilanciare le aspirazioni egemoniche della Germania;
  • evitare conflitti intra-europei, spingendo verso l’unione politica formale che la moneta unica avrebbe permesso di conseguire insieme ad un senso di identificazione europea;
  • una riduzione dei poteri dei governi nazionali.

Numerosi furono i campanelli di allarme di illustri economisti relativamente al fatto che l’imposizione di una moneta unica ad un gruppo di paesi eterogenei avrebbe comportato problemi economici. Tuttavia, diverse ragioni  prevalsero e il progetto europeo fu portato avanti con tutti i suoi handicap.

L’inizio del processo di integrazione europea diede vita ad una speciale relazione tra Francia e Germania che si trovarono per cinquant’anni alla guida dell’integrazione europea.

Tutto sembrava funzionare e il processo di integrazione, seppur caratterizzato da numerosi stop & go, andò avanti. Nel 2008 scoppia la “Grande Crisi”, che ha fatto emergere politiche di maggiori egoismi nazionali  (come ha fatto notare De Cecco): per i cugini francesi  ha significato cercare mantenere il loro speciale legame con i tedeschi per  evitare di cadere nel club dei paesi periferici.

Per raggiungere tale scopo la Francia ha messo in campo una serie di misure di politica economica che hanno mantenuto lo spread sui titoli decennali francesi in linea con quello tedesco, a fronte comunque di elevati e persistenti deficit di bilancio del governo.

In particolare, come messo in rilievo dai funzionari del FMI, un elemento importante per preservare la fiducia dei mercati è stata la capacità da parte delle banche francesi di risanare una situazione particolarmente critica allo scoppio della crisi. La ricapitalizzazione delle banche francesi è, infatti, avvenuta con un pronto rimborso degli aiuti erogati dallo Stato e un successivo massiccio “deleveraging” del sistema bancario. Queste misure hanno consentito al paese di non incorrere in un “credit crunch”, permettendo quindi di finanziare le imprese in difficoltà ed evitare l’esplosione delle sofferenze come in altri paesi.

Attenzione alle dinamiche dei conti con l’estero

Nonostante ciò, anche la Francia (come mette ben in evidenza Alberto Bagnai) ha i suoi problemi: da qualche anno registra una progressiva inversione di segno nei suoi conti con l’estero da positivo a negativo. In altri termini: anche la Francia ha un forte problema di competitività!

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bilancio privato, pubblico e esteroIl grafico mostra l’andamento di tre settori:

  • Bilancio privato (linea verde): rappresentativo dell’andamento del risparmio netto di imprese e famiglie in aggregato,
  • Bilancio pubblico (linea rossa): entrate meno uscite del settore pubblico,
  • Bilancio estero (linea blu): attività finanziarie meno passività finanziarie con l’estero.

La somma delle entrate meno le uscite dei tre settori in termini di contabilità nazionale deve essere zero.

La logica è semplice: se le entrate superano le uscite il settore risparmia, se accade l’inverso si indebita. Ora, se uno dei due settori interni (pubblico o privato) non ha i soldi per finanziare l’altro, l’economia nazionale chiede soldi all’estero, cioè si  indebita.

Inizialmente il settore privato risparmiava tanto da poter finanziare il settore pubblico, mentre il settore estero registrava un surplus. Dal 1993 al 2008 il surplus del settore privato si riduce (la linea verde scende verso lo zero) prima a compensare il calo del deficit pubblico (linea rossa) poi, dal 2000, muovendosi in linea con quello estero. Questo vuol dire che la Francia nel periodo ha ridotto la sua posizione creditoria nei confronti dell’estero (presta meno soldi all’estero) perché il settore privato risparmiava di meno.

Nel 2005 il bilancio con l’estero passa in negativo, la Francia si indebita nei confronti dell’estero. Insomma la capacità di risparmio del settore privato si riduce (la linea verde scende ancora), mentre il settore pubblico continua a spendere (la linea rossa si trova tra il -2% e il -4%).

Nel 2008 scoppia la crisi e, a partire dal 2009, la Francia attua politiche fiscali anticicliche per cui il fabbisogno pubblico aumenta (la linea rossa ha un picco negativo) e il settore privato risparmia: imprese e famiglie sono costrette a stringere la cinghia per far fronte alla crisi (la linea verde registra un salto positivo). Cosa succede al bilancio con l’estero? La Francia continua a indebitarsi, quindi anche questo saldo continua a peggiorare (la linea  blu scende inesorabilmente).

Un déjà vu nei Paesi periferici?

In effetti, guardando l’intero periodo storico preso in considerazione, è evidente che la Francia stia sperimentando una crisi dei conti con l’estero indotta da una forte riduzione del risparmio privato, appesantito dal debito pubblico ed innescata da una perdita di competitività delle proprie merci sui mercati.

La politica fiscale anticiclica messa in atto dalla Francia ha portato il debito pubblico al 90% del PIL tale da giustificare, anche per la Francia, politiche di austerità. Insomma, anche la Francia dovrà praticare la c.d. “svalutazione interna”.

Nell’ultimo rapporto presentato al FMI i funzionari hanno sottolineato la necessità di intervento da parte del Governo francese di riformare il mercato del lavoro, apportando le riforme già affrontate dalla Germania e dai paesi del Mediterraneo.

Attuare queste riforme significa per il neo-presidente Hollande negare quanto promesso ai suoi elettori. Si chiede inoltre di eliminare le misure intraprese all’inizio del suo mandato, come l’aliquota del 75% sui redditi più alti o bilanciare tale intervento con un graduale aumento dell’imposizione indiretta. Il governo francese ha quindi annunciato un aumento dell’IVA e, per il prossimo anno, una riduzione degli oneri alle imprese, oltre al perseguimento della riforma del sistema pensionistico.

A questa situazione si aggiunge il recente downgrade da parte di Moody’s, che ha fatto perdere l’invidiabile tripla A da “prima della classe”.

Tutte queste vicissitudini hanno fatto sì che Francois Hollande perdesse parte del suo appeal e alcuni sondaggi parlano di un apprezzamento passato dal 53% dei Francesi all’attuale 35%.

In conclusione, la Francia ha intrapreso un sentiero che sembra ricalcare quello già intrapreso da Grecia, Portogallo, Spagna e Italia. Questa volta, però, le dimensioni non lascerebbero dubbi: sarebbe la disintegrazione dell’euro. Speriamo che la situazione cambi prima che il sogno di Monnet e Schuman di amicizia e di una politica comune sfumi del tutto.


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