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Spagna: un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro

Ricordate la Spagna del boom? Solo qualche anno fa tutti i giornali iberici parlavano del sorpasso del pil pro capite italiano e Zapatero prometteva di agguantare quello francese di lì a poco. Poi Lehman, la Grecia e il resto lo conosciamo.

Ma com’è la Spagna di oggi? Le ultime stime (al ribasso) del PIL spagnolo parlano del -1,8%. Fotografia di una situazione critica. Le prospettive, però, sono anche peggiori se si pensa all’alto livello del debito privato, alla crisi del sistema bancario e alle difficoltà di funding sui mercati finanziari che il Paese sta attraversando. A questo si aggiungono le miopi politiche di austerity imposte dall’Europa per tenere sotto controllo il debito pubblico.

Come ha fatto il Paese iberico a finire in questa trappola debitoria?

Iniziamo con riportare una frase di Wolf:

“le difficoltà di bilancio della Spagna sono una conseguenza della crisi, non la causa”.

Da dove nasce, allora, la crisi? Secondo De Grauwe, Krugman e Stiglitz il problema nasce nel Mercato, nella finanza privata e non nel debito pubblico. Tanto è vero che il debito pubblico di tutti i Paesi protagonisti oggi della crisi era in diminuzione prima dell’esplosione del caso Grecia (ad eccezione del Portogallo). La stessa Spagna, prima della crisi, mostrava un rapporto debito/PIL inferiore alla virtuosa e granitica Germania!

Era il debito estero, quello contratto verso i creditori esteri, che aumentava senza controllo nel Paese iberico. Ecco il grafico:

Il debito loro della Spagna con l’estero e quello complessivo (interno ed esterno)) del settore pubblico

La linea rossa rappresenta il debito del Governo spagnolo verso creditori nazionali ed esteri (debito pubblico lordo), la linea azzurra mostra la somma dei debiti che Governo, imprese private e famiglie della Spagna hanno contratto nei confronti del resto del mondo (debito estero lordo).

Dal grafico si intuisce come, gran parte del debito estero accumulato, è da attribuirsi al debito privato (cioè contratto da imprese e famiglie) più che al debito pubblico (cioè contratto dal governo spagnolo). In altri termini, il paese iberico si trovava nelle condizione di investire più di quanto risparmiava la sua intera economia, per anni.

La Spagna, quindi, per finanziare i suoi investimenti doveva indebitarsi con l’estero, più precisamente con Francia e Germania. Tali Paesi si trovavano in una situazione speculare: eccedenza di risparmio da investire rispetto agli investimenti. Quale occasione più ghiotta se non quella di far fluire la liquidità all’interno di un Paese il cui settore immobiliare stava esplodendo?

La genesi dei problemi spagnoli non è nella bolla immobiliare tout court, ma nella gestione del debito estero. Un eccesso di liquidità proveniente dai mercati esteri che le banche hanno prestato in maniera irresponsabile ed a buon mercato.

Le famiglie vedevano che l’economia spagnola si sviluppava velocemente (una crescita media reale del 4% tra il 1999 ed il 2006) che il lavoro non mancava e c’erano ottime prospettive di guadagnarsi da vivere in maniera onesta inoltre i tassi  a cui le banche prestavano la liquidità proveniente dai cugini esteri erano favorevoli. Allora perchè non avrebbero dovuto addossarsi un mutuo? In realtà, era solo un’illusione, creata da un boom artificioso del settore immobiliare. Le banche erano invece consapevoli del rischio che si stavano assumendo nel prestare i soldi (hanno maggiori informazioni), tuttavia continuavano a prestare denaro gonfiando la bolla immobiliare.

Avrete senz’altro sentito o letto che la crisi in Spagna è conseguenza dell’eccessivo indebitamento delle famiglie. Questo sarebbe un paradosso: vi pare possibile che le famiglie siano più coscienti del mercato? Si ribalterebbe il presupposto dell’asimmetria informativa tra banche e settore privato.

Indice dei prezzi delle case in Spagna

Conoscete il gioco delle “sedie musicali”? Quello in cui, quando la musica finisce, ci si deve sedere su una sedia. Le sedie, però, sono in numero inferiore al numero di giocatori e, uno di questi, resterà in piedi. Bene, i mercati funzionano un po’ così: ogni operatore pensa di riuscire a conquistare una sedia quando la musica smette di suonare.

L’interruzione della musica coincide con l’esplosione della bolla.

Conclusione: il mercato da solo non è stato in grado di allocare le risorse in modo efficiente e produttivo (si parla di fallimento del mercato). Nel 2008 il giocattolo si rompe e la Spagna non cresce più. Il Paese entra in una trappola debitoria da cui non riesce ad uscire da solo, generando un circolo vizioso difficile da interrompere.

  1. Il sistema bancario si trova in forte imbarazzo finanziario (si veda il caso Bankia): gli istituti si trovano in pancia sia titoli del debito pubblico che crediti immobiliari inesigibili.
  2. Il Governo cerca di salvare il sistema bancario, ma da solo non può essendo appesantito dalle misure di austerity imposte dall’Europa.
  3. Le misure di austerity non fanno che deprimere ulteriormente l’economia del Paese, rendendolo di fatto incapace di ripagare il proprio debito pubblico.
  4. In questo modo viene minata la fiducia dei mercati finanziari che, a loro volta, impongono sempre più elevati tassi per ottenere finanziamenti (lo spread spagnolo supera i 500 punti base).
  5. Il Governo spagnolo per salvare il sistema bancario, spinge alla fusione più istituti di credito all’interno di raggruppamenti in cui banche con bilanci più forti sostengono quelle con bilanci più deboli. Il risultato è l’ulteriore aggravarsi della situazione.

In conclusione, sorge la necessità di rivedere i trattati originari dell’UEM, che affidavano al mercato il compito di indurre comportamenti virtuosi e prendere coscienza che la crisi dell’Eurozona, della Spagna in primis, non dipende dal debito pubblico ma dall’eccesso di speculazione degli istituti bancari che hanno alimentato l’esplosione di quello privato.

I politici e le istituzioni europee riusciranno a spegnere la miccia? Diversi economisti pensano che in queste condizioni l’euro non è sostenibile… Staremo a vedere cosa ci riserva il futuro.

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