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Bye bye banca? I prestiti si fanno tra privati

come funziona social lending tassi d'interesse

Secondo il presidente della Consob, per le banche sono in arrivo tempi duri: la nuova frontiera Fintech del P2P è destinata a rubare la scena ai tradizionali istituti di credito.


Le banche saranno spazzate via dal fintech”: è questa l’affermazione con cui Giuseppe Vegas, presidente della Consob, prospetta uno scenario futuro in stile The Day After Tomorrow per le care e vecchie banche tradizionali. Nell’era in cui le start-up, innovative e tech (in questo caso fintech) la fanno da padrona, le banche si stanno spostando sempre più in una zona d’ombra.

Le banche hanno tempi burocratici lunghi, con tassi d’interesse e commissioni certo meno allettanti rispetto alle nuove soluzioni che la finanza tecnologica ha messo in campo. Un esempio? I prestiti tra privati: si tratta di prestiti che restano confinati tra soggetti privati, senza coinvolgere il canale bancario, e si chiamano peer-to-peer (P2P).

Gli italiani, lo abbiamo visto, hanno opinioni “confuse” riguardo le banche tradizionali e mostrano nei loro confronti una certa diffidenza. Più che mai i Millennials, molto attratti dall’innovazione e poco dal “vecchio”, sono piuttosto scettici sui canali della finanza tradizionale. Oggigiorno ciò che è social, piace.

Ebbene, anche il mondo della finanza lo è diventato, o per lo meno ci prova: parliamo in questo caso di social lending.

Cos’è il social lending (P2P)?

Con social lending (o peer-to-peer) si intende un prestito tra privati che passa per un canale alternativo a quello bancario: all’interno di comunità messe a disposizione dalle varie piattaforme P2P, si incontrano individui che prestano denaro ad altri individui. L’erogazione del prestito è gestito da un operatore terzo, che fraziona l’importo investito in piccole quote, puntando a minimizzare il rischio.

I pro e i contro

Cos’è che rende così allettante il social lending?

  • Possibilità di ottenere liquidità in tempi brevi: abbattendo i passaggi burocratici legati ai canali tradizionali, il prestito in concreto avviene mediamente in tempi molto più veloci.
  • Meno costi di gestione: le piattaforme online offrono prodotti a costi generalmente più competitivi rispetto a quelli delle banche tradizionali.
  • Livelli di sicurezza: la somma offerta dal prestatore non viene destinata ad un singolo individuo, ma suddivisa tra più clienti, aumentando la diversificazione dell’investimento.

Disintermediando la banca, i prestiti P2P garantiscono generalmente una riduzione dei tassi d’interesse applicati ai prestiti. Ma il social lending presenta anche altre caratteristiche:

  • L’assegnazione del rating: alla persona che fa richiesta del prestito viene dato un rating, cioè un livello di affidabilità. Minore è il rating, maggiore sarà invece il tasso di interesse assegnato al richiedente, per compensare il rischio che il prestatore assume.
  • La reputazione creditizia: viene tenuto conto della storia creditizia del richiedente, che ha influenza sul TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale); per esempio un richiedente più giovane pagherà tendenzialmente un tasso più alto;
  • Per l’erogazione sono richieste poche garanzie rispetto a quanto succede per il canale bancario tradizionale e, in caso di crediti insoluti, la gestione può dare diversi problemi.

E gli svantaggi? Sicuramente è da tener d’occhio il trattamento fiscale applicato al peer-to-peer lending. In termini di tassazione gli strumenti finanziari tradizionali sono sottoposti ad un’aliquota del 12,5% per quanto riguarda i titoli di Stato e del 26% per la quasi totalità degli altri prodotti. Nel P2P, invece, la tassazione degli interessi viene calcolata sulla base dell’aliquota marginale, che è sempre maggiore del 26% per chi ha un reddito che supera i 15mila euro all’anno. In poche parole, solo per chi rientra in una fascia di reddito bassa il P2P lending può rivelarsi una soluzione conveniente dal punto di vista fiscale.

Un ritorno al Far West?

Non solo Vegas, ma anche parecchi risparmiatori del Belpaese pensano che le banche potrebbero scomparire. Secondo una recente ricerca, a sostenerlo è un italiano su tre, anche se, tra l’entusiasmo generale con cui è stato accolto il mondo fintech, le preoccupazioni non mancano. In uno dei suoi interventi, infatti, il presidente della Consob ha detto di temere che la nuova frontiera della finanza possa rivelarsi una sorta di Far West privo di regolamentazioni.

Non è però proprio così: per esempio per accedere a una piattaforma di peer-to-peer lending, le documentazioni da presentare tra i privati sono comunque necessarie così come altri requisiti, sebbene l’iter sia semplificato. Il bisogno di regolamentazione del fintech resta comunque sotto i riflettori del prossimo incontro del G20.

Se per le banche sono in arrivo tempi duri, la reazione migliore è quella di cogliere nel cambiamento l’occasione di rinnovarsi e adattarsi ai nuovi metodi. La digitalizzazione che ha investito numerosi settori, finanza compresa, non deve spaventare, ma essere da pretesto per aprire un nuovo capitolo nel sistema finanziario. Il Fintech non è un ostacolo, ma un’opportunità.


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Ultimo commento
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    Ma rating, rischio, tasso di interesse da chi vengono gestiti? Ed è un soggetto terzo? C’è una normativa “matura” in merito o siamo proprio agli embrioni?
    Ricordo tempo fa che avevo “esplorato” una piattaforma di social lending ma il tutto mi sembrava ancora un po’ troppo approssimativo per metterci dei soldi…

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