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Chi ha paura dei crash di Borsa?

Lo dico sempre: se non siete in grado di sopportare un crash di Borsa, state lontano dalle azioni. E, in generale, state lontano dagli investimenti finanziari. Però, non pretendete nemmeno di guadagnare: sarà già un insperato successo se riuscirete a proteggere i vostri risparmi dall’erosione dell’inflazione e delle corrosive commissioni di chi vi promette garanzie e sicurezze che non esistono.

Perdonate la brutalità, ma è così.

 

L’ineluttabilità del crash di Borsa

In linea di massima, gli investitori si dividono in due categorie: quelli che sono passati attraverso un grande crash di Borsa, e quelli che stanno per farlo.

Non si scappa facilmente.

Perché i crash – quei momenti di puro panico in cui pare che il mondo finisca e tutto scende violentemente ad eccezione di pochissime asset class (oro e obbligazioni governative a breve termine di Paesi considerati sicuri, come USA e Germania) – sono una caratteristica intrinseca dei mercati finanziari. Questo perché dal punto di vista matematico-statistico i mercati sono sistemi complessi1 – al pari di clima, traffico metropolitano, ecosistemi, social network, cervello umano e molte altre cose – e, come tali, sono soggetti a eventi estremi. Ciò significa che i mercati passano rapidamente da situazioni di relativa quiete a stati estremi: come quando una sostanza passa dallo stato solido a quello gassoso, oppure a quello liquido – quelle che in fisica si chiamano transizioni di fase.

Credo pertanto sia istruttivo mostrarvi, aiutandomi con un grafico, che i crash di Borsa sono inevitabili come i temporali in primavera, e che saper gestire emotivamente i crash è ciò che rende differenti gli investitori di successo da quelli che “si bruciano” (da soli).

Il grafico seguente riporta, per varie durate di un investimento azionario, due grandezze che toccano i nervi dei risparmiatori:

  • la probabilità di trovarsi, in qualche momento della storia dell’investimento, con il capitale eroso per oltre il 50% (ossia un drawdown pari o peggiore al 50% – per esempio, avendo investito 10 mila euro per un tot di anni, ritrovarsi a un certo punto con gli investimenti che valgono 5 mila euro, o meno);
  • la probabilità che il capitale al termine dell’investimento sia inferiore a quello investito (shortfall probability).

Ho effettuato 10.000 simulazioni Monte Carlo utilizzando ipotesi realistiche, corrispondenti al comportamento storico dei mercati azionari dall’inizio del XX secolo ai giorni nostri – non sarà la verità assoluta, ma (quasi) 120 anni sono un bel po’ di storia carica di significato.

 

grafico_1_crash | amCharts

 

Il messaggio del grafico è duplice.

  1. Più è lungo l’orizzonte temporale, più è probabile che a un certo punto vi troviate nel “bel mezzo del cammin” con il valore dei vostri investimenti dimezzato, o peggio. Addirittura, su un orizzonte temporale lunghissimo, di 100, 200 anni (n.d.r. 200 anni non è follia, è solo che per capire bene un fenomeno è utile studiarne il comportamento agli estremi, cioè nei casi limite), si è praticamente sicuri di ritrovarsi con un drawdown pesantissimo.
  2. D’altro canto, più è lungo l’orizzonte temporale, più la shortfall probability si riduce, fino a diventare piccolissima per orizzonti temporali pluri-decennali. In altri termini, più a lungo si investe, più è improbabile che il capitale finale sia inferiore all’investimento iniziale. Tuttavia, su durate brevi, la shortfall probability è elevata e rappresenta un rischio più che tangibile (ecco perché un orizzonte d’investimento lungo è sempre preferibile, se le circostanze lo consentono).

Si tratta di messaggi che possono apparire contrastanti. Ma non è così: semplicemente, i drawdown capitano (ndr: una sfortunata conseguenza del Lemma di Borel-Cantelli2, base concettuale delle discussioni intorno alla c.d. Legge di Murphy), e fanno male, ma i mercati hanno un’elevata capacità di recupero e quindi gli investimenti tornano a fruttare.

Il corollario di tutto ciò è che chi si fa prendere dal panico durante un drawdown e vende tutto, “uscendo” dal mercato per lungo tempo (o per sempre), perde la possibilità di recuperare. Invece, chi tiene duro ha elevatissime probabilità di recuperare. Questi risultati sono robustissimi, nel senso che cambiando le ipotesi della simulazione (rimanendo però in un mondo realistico, nel quale gli investimenti a lungo termine offrono una remunerazione reale positiva, ma sono soggetti a violenti crash, cioè fat tails), cambiano un po’ i livelli delle curve del grafico, ma le conclusioni nella sostanza restano le stesse.

 

 

Aspettando Godot, ops, il Grande Crash

Il problema è che l’Homo Sapiens sembra disegnato da Madre Natura per essere un pessimo investitore. È la genetica a fregarci: il nostro cervello è ancora in larga parte tarato sul nostro stile di vita nel Cenozoico, o giù di lì. Sicché, come ci insegna la finanza comportamentale, la maggioranza dei risparmiatori ha comportamenti demenziali quando si tratta di investimenti (vi consiglio questo gustoso quadretto degli investitori italiani3). Spicca l’abitudine di vendere in pieno drawdown (quando ci sarebbe semmai da comprare a mani basse, come durante i saldi), in preda al panico, e non rientrare mai più, vittima di un blocco psicologico atavico. Ecco, quello è il modo perfetto per ottenere il peggio: cristallizzare le perdite, senza sfruttare il successivo recupero del mercato.

Oppure – e qui siamo già a un livello superiore di conoscenza finanziaria – l’investitore non investe in attivi rischiosi (ma remunerativi) se le valutazioni non sono più che scontate.

L’idea è valida, ma se applicata rigidamente può arrivare a essere disastrosa nella pratica: per esempio, utilizzando i dati di Robert Shiller4 (economista vincitore del Premio Nobel nel 2013) riportati nel grafico seguente, si può notare che, prima del crash del 2000, la Borsa USA era sopravvalutata dal lontano 1992, rispetto alla sua media di lungo termine. Da metà 1997, poi, lo era in modo vistoso: il rapporto tra prezzi e utili, il P/E, era superiore a 30. Eppure dal 1992 all’estate del 2000 l’indice S&P 500 ha guadagnato quasi il 257%. E, da quando le valutazioni erano considerate dai più “irrazionali”, cioè da metà 1997, la Borsa USA ha ancora guadagnato il 78%. Insomma, i mercati possono restare sopravvalutati (o sottovalutati) per anni e anni, mentre voi aspettate il momento magico e ci smenate. Ecco – per inciso – la ragione per cui in AdviseOnly ci basiamo sia su indicatori Value sia su indicatori Momentum5.

 

crash_2 | amCharts

 

In ogni caso, se pensate di cogliere perfettamente quell’attimo, di realizzare il market timing6 perfetto, be’, con elevata probabilità siete in errore: il crash, quando si materializzerà, non sarà sotto il vostro controllo. Non lo è mai (se non per pura fortuna). Quindi, non preoccupatevi troppo, accettate l’idea che investire vuol dire sopportare rischi in modo maturo, e preparatevi fin da ora a gestire le emozioni, tamponando la vostra inconscia e naturale abilità di danneggiare i vostri stessi investimenti.

 



1 – Che cos’hanno in comune la Borsa, Twitter, Facebook e il tuo cervello?
2 – Lemma di Borel-Cantelli, fonte: Wikipedia
3 – Online Data Robert Shiller
4 – Le 10 stravaganze dell’investitore medio italiano
5 – #ABCFinanza: Cos’è la strategia Momentum?
6 – Financial Brief | Il market timing: se lo conosci lo eviti

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Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

Ultimi commenti
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    Articolo stupendo ed illuminante.
    Nel grafico della probabilità di shortfall avete usato i total return dei mercati immagino? Ma sono real return? Cioè contando già l’inflazione.

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      Lusingato dell’interesse.
      I dati simulati sono da intendere come nominali, total return. La media della distribuzione è stimata a partire dalla media annua reale, aggiungendo l’inflazione attesa di lungo termine nella zona euro (2%). Diciamo che la sostanza non cambia granché se si fa tutto solo in termini reali: i rendimenti restano positivi in media nel lungo termine, e soggetti a eventi estremi (distribuzione di probabilità leptocurtica).

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    Raffaele, sottoscrivo a mani basse tutto quello che hai esposto.
    Certi contenuti andrebbero murati fuori dalle porte di banche, assicurazioni e ogni sorta di intermediario che oggigiorno propone investimenti di qualunque sorta.
    Soprattutto questo passaggio “Lo dico sempre: se non siete in grado di sopportare un crash di Borsa, state lontano dalle azioni. E, in generale, state lontano dagli investimenti finanziari. Però, non pretendete nemmeno di guadagnare: sarà già un insperato successo se riuscirete a proteggere i vostri risparmi dall’erosione dell’inflazione e delle corrosive commissioni di chi vi promette garanzie e sicurezze che non esistono.”
    Grazie per averlo scritto.
    Abbiamo bisogno di gente che lo ripeta all’infinito!
    Complimenti!!!

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    Grazie per i contributi lucidi e semplici che elargisci gratuitamente.

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    Buongiorno Raffaele,
    ti ringrazio molto per l’esposizione del tema, come sempre chiara ed esaustiva.
    L’articolo si intitola “Chi ha paura dei crash di borsa”, ed io, non mi vergogno a dichiararlo, di paura che ciò accada ne ho molta. Mi rendo conto che ciò dovrebbe per me significare allontanarmi dagli investimenti finanziari (e quindi di perdere anche la possibilità di guadagno), ma io, che ho messo le risorse di una vita in queste attività (anche se cercando di diversificare e con una componente azionaria abbastanza contenuta), non riesco comunque a dormire sonni tranquilli.
    Statisticamente pare che le possibilità di recupero, nel caso avvenga il drawdown o simile, siano molte, ma ciò nonostante, dovesse accadere, forse non riuscirei a dare risposte ai miei dubbi, forse per il fatto che di risposte “certe”, non ce ne sono.
    Ad esempio, premesso che nessuno può sapere quando il crash accada, mi chiedo se in qualche modo si possa assumere un atteggiamento difensivo prima del più o meno probabile crollo, tanto da contenere le perdite; così come mi chiedo, in caso di forte perdita, in quanto tempo si possa pensare di recuperare: un anno, due, dieci? Credo che la capacità di rimanere tranquilli, ovvero investiti, dipenda anche molto dall’età dell’investitore, e dall’orizzonte temporale dei suo progetti di vita.
    Il problema é che quando ti trovi in queste situazioni ti senti sempre un po’ solo, non sai mai come muoverti e, spesso, presi dal panico, si agisce d’impulso. Lo so, é sbagliato, ma a me, temo, capiterebbe questo…:-(
    Ancora grazie comunque, leggerti mi rende più consapevole dei miei limiti.

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      Sì, uno può tranquillamente essere più difensivo, ad esempio acquistando un buon mix di titoli di Stato di vari Paesi, prevalentemente in divisa forte, con una componente inflation-linked (per coprire il rischio inflazione), e magari un po’ d’oro (es. ETC, senza farsi infinocchiare da strane monete invendibili, se non a forte sconto).
      Si può, certo.
      Ma con questi fondamentali economici e finanziari, con misure di rischio sistemico confortanti (nonostante la minaccia coreana), sarebbe una decisione non basata sui fatti e sui numeri. Insomma, i mercati potrebbero svoltare anche tra anni: in tal caso la performance del portafoglio difensivo sarebbe certo non esaltante rispetto a quella di un portafoglio un po’ più risk-on.
      Quindi, la risposta su che cosa sia giusto fare non ce l’ha nessuno, ex-ante. Noi ci pensiamo di continuo e stiamo monitorando attentamente la situazione. Solo che i numeri, le valutazioni, per ora ci dicono che è bene tenere duro. Le performance negative di molte asset class nele ultime settimane sono dovute prevalentemente all’euro “forte”, ma questo non è né un crash, né qualcosa che ha l’aria di essere un cambio epocale – le divise oscillano, e sono ancor meno rpevedibili di altre asset class…
      Resta il fatto che, se prevale la paura, è giusto mettersi al riparo con un portafoglio difensivo (senza poi pentirsene, però, se il crash non si materializzasse in tempi brevi).

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        Grazie per la risposta Raffaele.
        Chiedo ancora, se posso: nel caso io volessi mettermi “al riparo” con un portafoglio difensivo, su quale tra quelli da voi proposti mi devo orientare? Tra quelli a obiettivo, tematici o tattici? Non riesco a collocarlo…
        Infine, l’eventuale crash, o rischio sistemico, che dovesse capitare, statisticamente in genere quanto tempo recupera?
        Grazie.

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          1) Un portafoglio tattico difensivo e ad orizzonte medio-breve.
          2) Il tempo atteso di recupero (nell’accezione matematica di “atteso”) non lo so, dovrei calcolarlo, ma quello che posso dirti è che è molto molto variabile.

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    Tutto corretto.. l’unico parametro che forse non è stato preso in considerazione è quando, nella vita di una persona, questo crash avviene: se ho 40 anni è un discorso.. se ne ho 70 un altro!
    Vero che dovrei essere meno esposto all’azionario.. però..

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      Osservazione corretta, che però implica che l’orizzonte temporale dei due soggetti in questione è diverso. Cioè: rispetto al quarantenne, il settantenne ha un orizzonte temporale più breve – quindi ha una durata dell’investimento più breve, e minore probabilità di incorrere in un crash, ma più rischio di avere cattive performance. Di conseguenza il settantenne dovrebbe avere, a parità di altre condizioni rispetto al quarantenne, un portafoglio più difensivo, quindi meno esposto all’azionario.

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