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Ma che cosa sono questi ETF? Parte II

La volta scorsa, nella prima parte di questo post, abbiamo visto sinteticamente che cosa sono gli ETF (vai al post). E’ ora di approfondire altri concetti essenziali per investire in modo consapevole. Andiamo quindi a conoscere i parenti degli ETF: ETC e ETN. E apriamo la scatola per vedere come sono fatti dentro.

Innanzitutto, ETC sta  per Exchange Traded Commodities: sono strumenti finanziari che consentono di investire in materie prime. Non sono fondi passivi come gli ETF, bensì titoli senza scadenza emessi da una società (detta “società veicolo”). Come gli ETF sono negoziati in Borsa e replicano passivamente il prezzo di una materia prima o di un indice di materie prime. Con gli ETC si può investire in moltissime materie prime: ad esempio oro, petrolio, gas, zucchero, soia, zinco, palladio, bestiame vivo e via dicendo.

Vediamo ora gli ETN: l’acronimo sta per Exchange Traded Notes. Sono titoli senza scadenza come gli ETC, dai quali differiscono solo per la natura del sottostante: quando è una materia prima si parla di ETC, mentre in tutti gli altri casi si tratta di ETN. Gli ETN attuano, ad esempio, strategie su divise.

Per comodità, ETF, ETC e ETN vengono riuniti nella categoria degli ETP, cioè Exchange Traded Product. Quindi quando leggete ETP non spaventatevi, è solo un modo per raggruppare questi prodotti sotto un unico nome.

Ora apriamo la scatola e vediamo più da vicino come sono fatti dentro questi strumenti. Sappiamo che gli ETP hanno tipicamente come obiettivo quello di seguire un indice. Per farlo, devono comprare (o vendere) qualche strumento finanziario. Se, per esempio, un ETF intende replicare l’S&P 500 (indice azionario USA), può ottenere il suo obiettivo acquistando i titoli dell”indice stesso: questo è il metodo tradizionale, quello della replica fisica con titoli (cash-based). Metodo comprovato, solido e sicuro: come per qualunque fondo comune con il bollino blu UCITS III, non il gestore, bensì una banca custode detiene fisicamente i titoli – ne abbiamo parlato nella parte I di questo post.

Ma non è l’unico metodo. Immaginate, per esempio, un ETC che ha l’obiettivo di replicare le performance di una materia prima come il bestiame vivo (Lean Hogsqui trovate, ad esempio, quelli quotati su Borsa Italiana).  A prescindere da questioni normative, sarebbe poco pratico acquistare intere mandrie di bestiame… Quindi in questi casi la società che gestisce il prodotto ricorre ad una soluzione alternativa, usando un contratto derivato: lo swap. E allora si parla di ETP swap-based. Con lo swap il gestore dell’ETP paga ad una controparte (di solito una banca d’investimento) un tasso prestabilito, fisso o variabile, mentre la controparte esegue pagamenti al gestore corrispondenti al rendimento di un sottostante – nel caso in esame il bestiame (che si apprezza o deprezza come qualunque altro bene). In questo modo il gestore dell’ETF non deve detenere il bestiame, gli basta sottoscrivere un contratto con una banca.

Andiamo dritti al punto: cosa succede se la controparte dello swap smette di effettuare i pagamenti e fallisce? Senza entrare troppo nei dettagli giuridici, sintetizziamo dicendo che nella maggior parte dei casi questo evento si ripercuoterebbe sull’investitore finale. Cioè con gli ETP swap-based il risparmiatore corre un rischio di default. Rischio che spesso è davvero bassissimo, perché, i migliori gestori utilizzano solo controparti solide e stipulano diversi contratti, per diversificare i rischi di fallimento (cioè evitano di mettere tutte le uova in un solo cestino). Inoltre nel caso degli ETF swap-based conformi a UCITS III l’esposizione della controparte nell’operazione di swap non può superare il 10% del totale del denaro investito. Infine alcuni presentano garanzie accessorie: in pratica qualcuno che mette i soldi nel caso la controparte dello swap fallisca.

Tenete presente che, oltre al caso di materie prime di difficile detenzione, lo swap è per il gestore una scelta obbligata anche nel caso in cui voglia attuare:

  • strategie “a leva”, con le quali si ottiene una performance N-volte superiore all’indice sottostante (nel bene e nel male…);
  • oppure “short”, grazie alle quali si ottiene un rendimento di segno opposto rispetto all’indice sottostante – per esempio, se l’indice fa -10%, voi fate +10% e viceversa.

In conclusione: gli ETF, gli ETC e gli ETN possono avere strutture diverse. Quindi è bene capire la differenza esistente fra tali strutture prima di eseguire un investimento, in modo da essere sicuri di utilizzare lo strumento giusto per i propri obiettivi finanziari e i rischi che si intendono affrontare. Come si è detto nello scorso post, nella maggior parte dei casi si tratta di strumenti facili da utilizzare, trasparenti e piuttosto liquidi. Ma ci sono delle eccezioni.

In pratica, occorre leggere bene il prospetto informativo, che è pubblico (per gli ETF basta andare qui, per gli ETC e ETN qui). Poi è meglio utilizzare strumenti con buoni volumi di negoziazioni in Borsa (dati che trovate sul sito di Borsa Italiana, link), che replicano fisicamente indici ben conosciuti e corrispondenti a classi d”investimento liquide, evitando i prodotti troppo complessi (tra questi includerei quelli “a leva” e  short). E affidarsi alle case di gestione più solide e serie. Infine, potendo, meglio farsi consigliare da un consulente finanziario: scegliere un ETF non è difficile, ma è meno banale di quel che sembra.

>> Vai a “Ma che cosa sono questi ETF? Parte I

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