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Gestione patrimoniale: il caso (reale) di Luisa

Goodwill Asset Management investimenti

Non tutte le gestioni patrimoniali sono uguali. Vi raccontiamo un episodio tratto da una storia vera in cui una buona gestione ha fatto la differenza e ha risolto una situazione difficile.


Che il mondo del risparmio gestito non sia trasparente, be’, ne siamo perfettamente consapevoli. È quello che abbiamo provato a raccontarvi con l’ultimo post, mettendo nero su bianco tutti i costi legati ad un servizio di consulenza.

Il nostro settore, quello della gestione dei risparmi, sta profondamente cambiando. Da un lato la regolamentazione sta riscrivendo le regole del gioco con la MiFID II, dall’altro la digitalizzazione e l’esplosione degli strumenti a gestione passiva stanno ridefinendo il ruolo del consulente e della gestione attiva.

Perciò è assolutamente legittimo chiedersi: ha ancora senso un servizio d’investimento personalizzato come la gestione patrimoniale?

Per noi di Goodwill Asset Management la risposta è affermativa. Ma prima di spiegare le motivazioni che ci spingono ad offrire un servizio di questo tipo, differenziandoci peraltro da tante gestioni patrimoniali che si vedono in giro, vogliamo raccontarvi la storia di un nostro cliente: meglio di mille parole può farvi vedere la differenza tra un servizio personalizzato come il nostro ed uno generico.

Una tipica storia di mala gestione italiana

Luisa ha perso da poco il padre. L’azienda con cui è cresciuta non è più della sua famiglia. La sua unica fonte di reddito è il patrimonio lasciato in eredità dal padre, patrimonio da sempre amministrato dal consulente di famiglia. Di questo patrimonio Luisa non s’è mai curata, fino a quando non è rimasta sola: aprendo il vaso di Pandora scopre che il suo patrimonio è stato prevalentemente investito in azioni e obbligazioni di banche italiane. La crisi bancaria italiana ne ha ridotto drasticamente il valore: dei due milioni di euro di patrimonio investito ne rimangono poco più di 700 mila. Luisa ha perso fiducia sia nel consulente di famiglia, che nella tenuta delle banche su cui ha appoggiato quel che resta del suo patrimonio, non sa più cosa fare e ci chiede aiuto, perché con quei soldi Luisa ci deve anche vivere.

Che cosa abbiamo fatto noi di Goodwill Asset Management? Per prima cosa, ottenuto il mandato della cliente su conto svizzero, tutelato al 100% dallo Stato, abbiamo gradualmente variato la composizione del portafoglio per sostituirla con una composizione maggiormente diversificata, con 40 titoli azionari in 10 valute diverse, preservando il credito fiscale sulle minusvalenze pregresse. Un vero caso di portfolio transition management. I titoli azionari sono stati scelti accuratamente, in modo da rispettare le esigenze principali: preservare il capitale e generare reddito grazie allo stacco dei dividendi. I criteri con cui abbiamo selezionato i titoli azionari sono solidamente basati sui fondamentali e sulla visione di lungo termine: crescita del fatturato, dividend yield non inferiore al 3% (ma sostenibile), cash flow positivo e svariati altri parametri di bilancio, in modo da non avere problemi di indebitamento.

Sul fronte dei costi ci siamo messi in gioco, partecipando alla condivisione dei rischi della nostra cliente. Abbiamo abbassato la management fee, cioè la commissione di gestione annuale, allo 0,5% e poi abbiamo fissato la perfomance fee al 25%, ma con High Watermark assoluto. E questo, giusto per essere chiari, vuol dire che non basta andare bene un anno per essere remunerati, ma bisogna andare bene sempre, perché nella metodologia di remunerazione che abbiamo scelto vengono considerate anche le perdite passate. In sostanza, se facciamo bene il nostro lavoro nel tempo, preservando il capitale allora partecipiamo ai guadagni, altrimenti nulla (come riteniamo sia giusto per un asset manager).

Come lavoriamo?

In Goodwill Asset Management, la prima cosa che chiediamo ad un nuovo cliente è: quanto sei disposto a perdere nella tua gestione patrimoniale? È una domanda secca, brutale. Ma è l’unico modo per capire veramente il profilo di rischio di una persona. Secondo noi, chi non ha il coraggio di chiederlo e di professione fa l’asset manager non sta facendo un buon servizio ai suoi clienti.

Ci è capitato di avere un cliente che all’inizio era convinto di essere in grado in sopportare anche grandi fluttuazioni di mercato. Ma è bastato un 5% di potenziale perdita per fargli capire che il rischio che pensava di riuscire a sopportare non lo faceva dormire la notte. Perciò, nel tempo ci siamo adeguati alla sua personalità. Perché il nostro ruolo non è solo quello di accompagnare i clienti nella scelte, ma di conoscere meglio le sue esigenze più recondite, costruendo una relazione che funzioni a lungo termine.

Questo è possibile perché siamo flessibili; il nostro servizio si declina in più livelli di personalizzazione. Perciò, il cliente sceglie tra sei linee d’investimento:

  1. 100% obbligazionaria;
  2. 100% azionaria;
  3. 100% speculativa;
  4. 25% obbligazionaria;
  5. 50% obbligazionaria;
  6. 75% obbligazionaria.

Una volta stabilita la generica linea d’investimento, scendiamo nel dettaglio e insieme al cliente definiamo l’universo investibile: ad esempio, investire in soli titoli High Yield perché si ha bisogno di cedole e si accetta il rischio. Oppure no. O, ancora investire in titoli semi-speculativi o in titoli azionari di un certo tipo. Insomma, ogni scelta è ragionata, studiata e condivisa con chiarezza sul perché e sui rischi connessi.

In questo modo cerchiamo di offrire una gestione patrimoniale che va oltre la classica (finta) consulenza che prende i fondi della casa madre e basta, ma personalizziamo fino al minimo dettaglio la linea del cliente in base alle sue esigenze. Il tutto condividendo rischi e opportunità.

In questo modo ci guadagniamo la fiducia dei nostri clienti con onestà e trasparenza. E, secondo noi, così le gestioni patrimoniali hanno senso. Eccome se hanno senso.


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