La resilienza dei dati sull’inflazione americana ha colto di sorpresa i mercati, frenando il rally di inizio anno sull’azionario. Un carovita persistente, infatti, implica una politica delle banche centrali con tassi più alti e per più tempo.
Circostanza indigesta per gli investitori, che stavano puntando su un rallentamento dell’inflazione più rapido e su uno scenario di “soft landing”: atterraggio morbido, quindi, con l’economia che mantiene una crescita positiva senza cadere in recessione.
E invece a gennaio l’indice Pce dei prezzi per i consumi personali negli Stati Uniti è cresciuto dello 0,6%: l’aumento più alto dal marzo del 2021. Su base annuale, i prezzi sono cresciuti del 5,4%, più del 5,3% registrato in dicembre e, soprattutto, molto più delle attese degli analisti, che si attendevano un 4,3%.
Insomma, una doccia fredda dopo che l’aumento da un quarto di punto operato dalla Federal Reserve a febbraio aveva alimentato le speranze di una politica monetaria un po’ meno aggressiva.
Inflazione: qualche incertezza sull’orizzonte del 2023
L’incertezza sul percorso dell’inflazione non renderà facile la navigazione degli investitori. La sensazione diffusa è che il 2023 sarà un anno con un’inflazione ancora alta e una crescita economica che potrebbe rallentare nella prima parte dell’anno per poi accelerare nella seconda parte. Con tempi però diversi per ogni regione del mondo.
In questo contesto, nell’obbligazionario potrebbero aprirsi alcune opportunità interessanti nel reddito fisso, con un netto vantaggio per chi riuscirà a comporre un portafoglio ben diversificato.
Infatti i rendimenti obbligazionari sono tornati a salire dopo essere scesi all’inizio del 2023, e risultano ancora interessanti rispetto alle opportunità in altre asset class.
Sebbene l’inflazione sia rimasta più elevata del previsto, è improbabile che il ritmo e la portata dei rialzi dei tassi da parte della Fed corrispondano a quelli del 2022.
In questo senso, Ubs conta nella sua gamma di Etf – fondi a gestione passiva che replicano l’andamento di un indice – prodotti che potrebbero essere particolarmente indicati nell’attuale contesto macroeconomico.
Bond governativi che strizzano l’occhio all’Esg
Il primo è il Global Govies Esg (LU1974693662 e LU1974694553 nella versione a cambio coperto). Il fondo replica l’indice Jp Morgan Global Government Esg Liquid Bond Index (Total Return), costituito dai titoli di Stato più liquidi a livello globale.
L’universo investibile è spalmato su 40 Paesi e 31 valute e copre economie sviluppate ed emergenti. L’indice è ponderato per la capitalizzazione di mercato. Inoltre, considera solo le società emittenti impegnate sui temi della sostenibilità ambientale, sociale e di buona gestione ambientale (Esg).
I Paesi sono classificati in dieci categorie, sulla base del punteggio Esg che riescono a ottenere, ma sono inclusi nell’indice solo quelli che si collocano nelle cinque migliori. Queste caratteristiche gli valgono la classificazione Articolo 8 secondo la normativa Sfdr, che appunto promuove caratteristiche di sostenibilità ambientale, sociale e di governance.
Il debito corporate di Usa, Regno Unito, Europa e Canada
Sempre nella categoria Articolo 8 si colloca il Global Corporate Esg (LU2099991536 e LU2099992260 nella versione a cambio coperto). In questo caso, le aziende da includere nell’universo investibile sono valutate secondo criteri Esg e devono ottenere almeno un rating BBB secondo il giudizio di una società indipendente.
L’indice di riferimento è il Bloomberg MSCI Global Liquid Corporates Sustainable Bond, che replica l’andamento delle obbligazioni societarie investment grade statunitensi, dell’area euro, del Regno Unito e canadesi in valuta locale e a tasso fisso.
Il prodotto applica criteri di liquidità aggiuntivi ai titoli di ciascuno dei quattro mercati, sulla base di un ammontare minimo in circolazione e del tempo intercorso dall‘emissione ed è ribilanciato su base mensile.
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