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Value investing: alla ricerca dei titoli sottovalutati

Pare proprio che la volatilità sui mercati finanziari mondiali continuerà a regnare incontrastata per un po’ di tempo, almeno finché l’epidemia da covid-19 non sarà finalmente sotto controllo. Il mercato azionario statunitense, dopo aver toccato nuovi massimi a inizio settembre, ha perso terreno con un avvitamento che ha riguardato soprattutto i titoli tecnologici, tra quelli che durante la pandemia hanno conosciuto le performance migliori. Per quanto riguarda i mercati europei invece, sebbene ci sia stato un generale recupero rispetto ai minimi di marzo, il rally sull’azionario è stato meno importante e non ha portato a ricucire completamente lo strappo. Peraltro, la situazione dei contagi in alcuni paesi, con nuove misure restrittive all’orizzonte, non è certo una buona notizia per l’economia dell’Eurozona. In un contesto così, è facile che si possano creare degli squilibri nella valutazione dei titoli. C’è tuttavia chi prova a orientarsi con quello che è conosciuto come l’approccio value agli investimenti, una strategia con la quale si analizzano i fondamentali di bilancio delle aziende per capire se il titolo è sottovalutato, e quindi è un’occasione da cogliere, oppure è sopravvalutato e quindi è da lasciar perdere.

 

Gli analisti: in questo momento i titoli tecnologici sono sopravvalutati

Costruire un portafoglio di titoli value significa essere disposti ad avere una strategia a medio lungo termine, nella convinzione che i mercati prima o poi si stabilizzeranno e saranno proprio le aziende più in salute a guidare la ripresa. Molti analisti, tra cui quelli della casa svizzera Ubs, hanno rilevato che in questo momento i titoli growth, ossia quelli ad alto potenziale di crescita con rapporto prezzo/utili molto elevato, sono parecchio costosi. A questa categoria, per esempio, appartengono senza dubbio i titoli tecnologici. Per questo motivo, gli analisti raccomandano agli investitori con un’esposizione eccessiva nei loro confronti di ribilanciare il portafoglio a favore dei titoli rimasti indietro durante la ripresa e delle aree dove la morsa del covid è meno forte.

 

Value investing, la strategia per scovare i titoli sottovalutati

Sul mercato si stanno affermando diversi prodotti che si basano sulla filosofia del value investing. Per esempio, Ubs ha diverse strategie focalizzate sul fattore value per gli Stati Uniti e per l’Eurozona. Sono etf costruiti sugli indici MSCI EMU Value Index (per EMU si intende european monetary union, l’indice include titoli dei 10 paesi più sviluppati della zona euro, ndr) e MSCI USA Value Index. Entrambi incorporano nei loro panieri titoli a grande e media capitalizzazione delle loro aree geografiche di appartenenza. La selezione avviene considerando tre variabili: il rapporto tra capitalizzazione di mercato e patrimonio netto contabile (book value to price, per capire quanto un’azienda è sottovalutata), i guadagni in rapporto al prezzo e lo stacco di dividendi previsti nei 12 mesi successivi.
 

Gli etf Prime Value: titoli selezionati con un doppio filtro di qualità

Vi sono poi gli etf Prime Value, costruiti sugli indici MSCI USA e MSCI EMU che integrano a monte un filtro di qualità per aggirare le cosiddette trappole del valore. Per esempio, l’MSCI EMU Prime Value ETF e l’USA Prime Value ETF sono costruiti su questi indici, il cui processo di selezione dei titoli si basa su una strategia a due livelli. Una prima scrematura, infatti, avviene in base al raggiungimento (o meno) di alcuni requisiti di qualità: come la redditività del capitale, il rapporto tra indebitamento e patrimonio o la stabilità nell’andamento dei ricavi. Dopodiché, le aziende sono selezionate in base ai criteri tipici di un approccio agli investimenti di tipo value, prendendo in considerazione i dati degli ultimi 12 mesi: dal rapporto tra prezzo e utili a quello tra capitalizzazione di mercato e ricavi, per arrivare alla generazione di cassa in relazione al prezzo di borsa, al rapporto tra la capitalizzazione di mercato di un’impresa (numero di azioni per prezzo di una singola azione) e patrimonio netto contabile della stessa. Per ogni parametro viene ricavato uno “Z-score” che poi concorre a valutare un parametro univoco e complessivo, utilizzato per capire se una società è realmente sottovalutata. In ogni caso, ogni azienda non peserà mai per più del 5% dell’indice di riferimento, per evitare un’eccessiva esposizione a un singolo soggetto. E ogni 6 mesi, a maggio e a novembre, l’indice è soggetto a revisione.
 


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