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Advise Only vs. Beppe Scienza – 2° puntata: i fondi comuni

raffaele zenti vs beppe scienza

Ve lo dico fin d’ora: stavolta condivido il 70%-80% di ciò che scrive nel suo ultimo post sul blog di Beppe Grillo.

Perché è vero che l’industria dei fondi comuni vende ai risparmiatori i fondi più redditizi per il venditore (grazie alle famigerate “retrocessioni” delle commissioni). Ed è vero che ciò implica “spingere” commercialmente i fondi più cari tout court, a prescindere dalle esigenze dei clienti, anzi, spesso a loro spregio. Non sbaglia, inoltre, quando afferma che la vendita di fondi di dubbia qualità fa leva sulla scarsa cultura finanziaria degli italiani, che, intontiti da termini pseudo-tecnici digeriscono qualsiasi storia. Non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma la sostanza dell’industria del risparmio gestito in Italia è purtroppo questa…

Tuttavia, ancora una volta, i toni da complotto e la grande superficialità del discorso di Beppe Scienza, il cui cognome pare contraddire il suo metodo, rischiano di far più male che bene ai risparmiatori che leggono i suoi interventi. Così, proprio come feci quando Beppe Scienza si produsse in un delirante e fuorviante sproloquio sui fondi pensione e il TFR, vorrei far un po’ di chiarezza, a nome di Advise Only e a beneficio dei nostri lettori.

Il problema di Beppe Scienza è che guarda il dito anziché la luna: accusa il veicolo d’investimento, cioè il fondo comune, quando invece l’assassino è chi lo vende, con il suo obsoleto e inefficiente modello di business. Vediamo perché.

I fondi comuni non sono colpevoli

Sono un veicolo d’investimento di cui abbiamo parlato diffusamente, una “scatola” giuridica neutra e vuota. La scatola, cioè il fondo comune, si può riempire in molti modi, alcuni buoni, altri cattivi.

Resta comunque il fatto che il fondo comune:

  • elimina il rischio di default del gestore (gli investimenti restano di proprietà del risparmiatore);
  • dà al risparmiatore un’altissima tutela giuridica (la normativa Mifid, in vigore nell’UE, è la più tutelante al mondo, direi al limite dell’asfissia);
  • offre diversificazione dei rischi finanziari;
  • consente l’accesso a segmenti di mercato altrimenti difficilmente raggiungibili dai piccoli e medi risparmiatori (pensate per esempio al mercato delle obbligazioni societarie,  di norma con taglio minimo €100mila, o a quello delle azioni dei Paesi Emergenti, spesso con restrizioni amministrative all’accesso).

Dunque, in teoria il fondo comune è (insieme agli ETF) uno dei migliori veicoli d’investimento per i risparmiatori. Piccoli e grandi.

Il problema, come spesso accade, è la pratica. Perché spesso nella realtà la scatola neutra del fondo comune è:

Ripeto: questi non sono peccati del veicolo giuridico, bensì di chi ve lo vende.

I venditori di fondi comuni

Sono le reti di promotori, private banker, sportelli bancari, nonché le strutture alle loro spalle, spesso inefficienti e con modelli di business antiquati.

In queste realtà, chi ha la relazione con il cliente, ha il potere. E non accetta di essere disintermediato, ad esempio attraverso un maggior uso del web in fase di consulenza e vendita dei fondi. Quindi, l’attività è poco scalabile e i costi organizzativi elevati. Per mantenere gli elevatissimi margini a cui l’industria del risparmio gestito si è abituata negli anni, non c’è che un mezzo: avere commissioni (TER) elevate, spesso elevatissime. In perfetto conflitto d’interesse con i clienti, ai quali sono propinati prodotti che nessun “buon padre di famiglia” consiglierebbe. Un fondo comune azionario con TER 3% (giusto per fare un esempio) per me non andrebbe consigliato nemmeno se gestito da Gandalf con il supporto del Consiglio dell’Ordine Jedi.

Perché l’industria del risparmio gestito può fare tutto ciò?Perché la maggioranza dei risparmiatori non ha le più elementari cognizioni di finanza personale. In pratica, non c’è dialettica tra domanda e offerta perché (scusate la brutalità) la domanda è sovente afflitta da analfabetismo finanziario

L’industria del risparmio gestito sfrutta meschinamente questa condizione, che gli economisti chiamano “asimmetria informativa”, a proprio vantaggio e a discapito dei risparmiatori. Il risparmiatore è considerato alla stregua di una mucca da latte. E viene munto il più possibile.

E’ questa la ragione della continua campagna di Advise Only a favore della consapevolezza finanziaria, con i post della serie #ABCfinanza, la guida alla finanza personale di Advise Only, i consigli di Jack Sparrow e le sue mappe degli strumenti finanziari. Perché con poche nozioni i risparmiatori possono spostare il baricentro del rapporto di forza. La tecnologia, il trend inesorabile verso tutto ciò che è online farà il resto. Sarà un’onda di marea che sommergerà un settore vetusto. Succederà l’anno prossimo, tra due anni, tra cinque, non so, ma succederà.

Una parte delle aziende che si occupano dei risparmi lo ha già capito e si sta muovendo di conseguenza, ma il grosso del mercato italiano non ha ancora recepito il messaggio.

E quando il mondo della finanza personale ridurrà i TER, i fondi comuni manifesteranno appieno il loro valore di veicolo del risparmio (potrebbe accadere in occasione della quotazione in Borsa dei fondi comuni).

Caro Beppe, ti teniamo d’occhio

Tornando a Beppe Scienza e ai suoi interventi sul mondo del risparmio, beh, semplicemente non sta dando informazioni corrette: la soluzione non è investire sempre nel TFR e nei libretti postali, come dice lui, bensì scegliere strumenti semplici, a basso costo, liquidi, inserendoli in portafogli in linea con i propri obiettivi.

Non capisco se quello di Beppe Scienza sia autentico dilettantismo o invece stia mirando da qualche parte. Qualunque sia la risposta, e qualunque cosa scriva in futuro (…a questo punto mi aspetto uno scritto delirante sugli ETF, e sento che non mi deluderà) di sicuro ci troverà qui a “separare il segnale dal rumore“.

 

Scritto da

Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

Ultimi commenti
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    Penso che la filosofia di Beppe sia che per non prendere fregature meglio non muoversi. Questo vale non solo per gli investimenti ma per ogni azione della nostra vita, ma la parabola dei talenti dice tutt’altro e rischiare in fondo è una necessità. Però non è facile intendersi di certe materie e in fondo bisogna per forza fidarsi di qualcuno anche perché appena hai imparato qualcosa ecco che ti propinano subito prodotti nuovi e si ricomincia.

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    fondamentalmente credo che i vostri punti di vista non siamo così differenti. Beppe contesta i fondi comuni, tu ne contesti la gestione troppo costosa. Ma alla fine credo che i due aspetti siano intimamente legati e soprattutto indissolubili.
    Dai fondi comuni deve uscire lo stipendio di tante persone, forse anche troppe. Ciò inevitabilmente si traduce in un alto costo di gestione, dove il TER dà una buona percezione del suo ammontare, ma non una perfetta stima. Alcuni costi, più o meno occulti, infatti non sono compresi in questo indice.
    Pertanto se la logica alla base dei fondi comune è condivisibile, visto i tipici alti costi di gestione, la loro gestione è per definizione inefficiente.
    Nè tanto meno riesco a immaginare un fondo con bassi costi di gestione. Questo sarebbe possibile se i gestori non prendessero uno stipendio fisso ma una percentuale sulle performance del fondo stesso!
    Ma poichè i gestori sanno benissimo che battere il mercato è un compito arduo preferiscono dormire sogni tranquilli riconoscendosi una stipendio fisso che inevitabilmente andrà ad erodere parte degli investimenti…

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      Vincenzo, non è mica vero che i fondi implichino alti costi di gestione! Il TER, infatti, va a remunerare principalmente la vendita, non la gestione.
      Quando ero gestore in Allianz, la società di gestione era a break-even con circa 0,20% di commissione annua…il costo medio di un ETF, che coincidenza…
      Se si parla di gestioni a “smart beta”, sistematiche, tipo “fundamental indexing” e roba del genere (dove non si pretende di trovare l’alfa), effettuate con alto uso di potenza di calcolo, la produttività si alza molitissimo.
      Negli USA i fondi comuni a basso costo sono una realtà da una vita.
      Comunque, anche il costo della distribuzione si può abbassare, se i clienti più piccoli o con esigenze meno complesse vengono serviti con largo uso del web e la consulenza umana si riserva ai grandi patrimoni, che quasi sempre sottendono situazioni complesse, con relativi problemi.

      PS: il TER non è perfetto ma è un’eccellente stima dei costi di un fondo (o altro OICR).

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