a
a
HomeCAPIRE LA FINANZAFINANZA PERSONALECommissioni di performance: le verità non dette

Commissioni di performance: le verità non dette

AO_Cosa sono e cosa c'è dietro alle performance di commissione

Le commissioni di performance vengono addebitate agli investitori in seguito a buone performance. Perciò sono considerate eticamente giustificate al motto di: “Ho pagato perché ho guadagnato”.

La verità è che, per lo più, le commissioni di performance (note anche come commissioni d’incentivo o performance fees) non sono capite: possono essere punitive ed arrivare a divorare ingiustificatamente porzioni sostanziose dei vostri investimenti. Perché ciò avvenga basta adottare l’opportuno deleterio meccanismo di calcolo. Dopo aver letto questo post vi assicuro che, sulla base di numeri e fatti, avrete cambiato idea sulle commissioni di performance.

 

Che cosa sono le commissioni di performance

Se prevista, la commissione di performance si applica ai prodotti del risparmio gestito, cioè fondi comuni, SICAV, gestioni patrimoniali e via dicendo. L’idea alla base è semplice: se l’investimento va bene e “guadagna”, allora parte del guadagno resta al gestore come premio per la sua bravura. È una forma di compartecipazione ai guadagni, che dovrebbe stimolare l’asset manager a far bene.

Di solito la fetta di guadagni che va alla società di gestione è compresa tra il 10% e il 20% e talvolta una parte va a premiare direttamente il team di gestione. Ma, sempre più spesso, questa commissione remunera chi colloca il prodotto, cioè il venditore.
Questa descrizione è molto grossolana, giusto per cogliere al volo il concetto (per dire: volutamente non ho ancora definito il “guadagno”). Occorre scendere nei dettagli, per capire la perniciosità di alcune modalità di calcolo delle commissioni di performance.

 

 

Bestiario delle commissione di performance

Le commissioni di performance sono un premio sul guadagno. Ma che cos’è esattamente il guadagno? Può essere, alternativamente:

  • la performance assoluta del fondo;
  • la performance relativa, cioè la differenza tra il rendimento del fondo e quello dell’indice di riferimento, o benchmark.

Un punto cruciale è poi capire ogni quanto si determina il guadagno sul quale viene prelevata la commissione. Questo periodo di tempo è detto periodo di reset ed è lì che ci si giocano i guadagni dell’investimento.

Immaginate infatti che il periodo di reset sia pari a un giorno: se il fondo si limitasse ad oscillare casualmente, generando performance positive un giorno e negative un altro, senza aggiungere alcun valore, in caso di oscillazioni verso l’alto verrebbe prelevata la commissione. Capite subito che sarebbe solo questione di fortuna e, vista la volatilità dei mercati, l’ammontare di commissioni pagate dall’investitore sarebbe ingente a prescindere dalla bravura del gestore.

Meglio sarebbe se il guadagno venisse calcolato su periodi lunghi. O addirittura solo al raggiungimento di nuovi massimi, con il meccanismo High Water Mark (HWM): in tal caso l’incentivo è prelevato solo se il valore della quota del fondo (o la differenza di performance tra fondo e benchmark di riferimento) è aumentato, raggiungendo nuovi massimi. Così davvero si premia più la bravura che la fortuna. Ma, anche in questo caso, il fondo potrebbe raggiungere nuovi massimi, far pagare la commissione di performance, e poi… tornare indietro ai livelli precedenti. A ciò si può ovviare rendendo simmetrica la commissione di performance: se il gestore guadagna, allora incassa, se invece perde, paga.

Ora però, per capire meglio l’essenza delle varie tipologie di meccanismo, tocchiamo con mano i numeri grazie a qualche simulazione Monte Carlo (scrivetemi nei commenti se volete lumi metodologici, che il post è già lunghetto).

 

Commissioni di performance assolute

Immaginiamo d’investire 10 mila euro per 10 anni un fondo total return, sul quale per semplicità gravano solo le commissioni di performance. Il fondo mira ad ottenere una performance positiva ma non è in grado di aggiungere valore: nella simulazione ho infatti ipotizzato che il fondo esibisca volatilità (in media 7% su base annua), oscillando nel tempo, ma che alla fine ritorni esattamente al punto di partenza, al lordo delle commissioni. Detto diversamente, il rendimento lordo medio di periodo è zero.

Quindi, se non ci fossero le commissioni di performance, investendo 10 mila euro alla fine si otterrebbero esattamente 10 mila euro, magari con vistosi alti e bassi strada facendo – a titolo d’esempio, il grafico seguente riporta una manciata di traiettorie dell’investimento lordo (ndr: lordo) per l’ipotetico fondo.

 

Commissioni di performance 1 | amCharts

 

In base al semplice buon senso, essendo questo fondo a valore aggiunto nullo, ci si può aspettare di non pagare commissioni di performance: non c’è infatti da premiare alcuna bravura del gestore. Ecco perché ho scelto questo strano caso.

Ora vediamo a quanto ammontano le commissioni di performance in quattro casi emblematici: con periodo di reset mensile, annuale, al raggiungimento di massimi con l’HWM, e infine in caso di commissioni perfettamente simmetriche, nel quale è il gestore a pagare se perde. Poiché con la simulazione Monte Carlo si ottengono molti “mondi possibili”, nel grafico seguente trovate varie curve (distribuzioni di probabilità), una per ciascun meccanismo di calcolo. Le commissioni possono assumere un’ampia gamma di valori, e l’altezza della curva è legata alla probabilità d’accadimento.

 

Commissioni di performance 2 | amCharts

 

Guardando il grafico, emergono subito alcuni fatti:

  • con commissioni simmetriche non si paga, giustamente, nulla (notate una “barra” rossa sullo zero);
  • negli altri casi si pagano commissioni di performance anche se non si dovrebbe;
  • ciò è dovuto al solo effetto volatilità, cioè al comportamento erratico del fondo;
  • più breve è il periodo di reset, più si paga, sicché il metodo più ingiusto e scorretto nei confronti del risparmiatore è quello del reset mensile.

Più precisamente, nella simulazione, con il reset mensile in 10 anni il punto più alto della distribuzione di probabilità è oltre i 1000 euro: si pagano in media 1035 euro di commissioni di performance su 10 mila euro investiti, corrispondenti a un abbondante 1% annuo. Un bel premio, per un fondo a zero valore aggiunto… in sostanza, soldi dati “a babbo morto”, come direbbe Totò. Con il reset annuo la somma cala bruscamente a 285 euro (0,28% annuo), e con l’HWM si scende a 144 euro (0,14% annuo). Ma resta una somma positiva. Quando invece dovrebbe essere zero.

 

Aumentiamo la volatilità del fondo

La volatilità del fondo gioca un ruolo cruciale con le commissioni di performance. Dunque vediamo quanto impatta, ripetendo l’esercizio precedente con un ipotetico fondo più volatile, che investe in azioni (volatilità annua 20%).

 

Commissioni di performance 3 | amCharts

 

Si nota subito che l’ammontare di commissioni di performance assolute sale enormemente. Quindi le commissioni di performance “a babbo morto” aumentano al crescere della volatilità e, più in generale, del rischio. Tenetevi forte: l’ammontare medio di commissioni pagate dall’investitore nel periodo con il reset mensile è di 4270 euro (il 4,27% su base annua!). Con reset mensile invece si pagano 1174 euro (un cospicuo 1,17% annuo), che scende a 704 euro con l’HWM (0,70% annuo). Si paga zero solo con le commissioni di performance simmetriche – e forse ora intuite perché non ne avete mai sentito parlare.

Spero che il messaggio sia chiaro: più volatilità e più rischio un asset manager pompa in un investimento, più è probabile che lui becchi (e voi paghiate) le commissioni di performance. Ciò è ineccepibile, e deriva dal fatto che, dal punto di vista matematico, il risultato economico per l’asset manager è descrivibile con una funzione convessa, e per le funzioni convesse vale la disuguaglianza di Jensen, che ci dice che al gestore conviene aumentare il più possibile il rischio del fondo. Non è un’opinione, è un fatto matematico.

Ora, se è difficile creare valore, quasi tutti sono buoni a generare rischi. Sicché: occhio. Perché la commissione di performance spinge il gestore al moral hazard, ossia prendersi rischi con soldi altrui per tentare d’agguantare la commissione di performance. Poi, non è detto che il gestore lo faccia (vi sono validi motivi per non farlo), ma il rischio esiste: l’asset manager è oggettivamente in conflitto d’interesse con il cliente. Ci sono Hedge Fund che, seguendo questa logica, hanno assunto rischi enormi non solo con i clienti, ma con l’intero sistema finanziario, facendolo traballare, come nel caso di Long Term Capital Management.

 

Commissioni di performance relative

Immaginiamo ora che il fondo abbia un benchmark, ossia un indice da battere, e la commissione di performance sia sulla differenza di performance lorda tra fondo e benchmark, la mitica “alfa”. Ipotizziamo che l’alfa sia nulla (cosa spesso vera). Anche in questo caso il gestore non aggiunge valore, e il fondo si discosta dal benchmark per meri motivi casuali (la volatilità degli scostamenti, nota come tracking error volatility, è ipotizzata pari a 3% su base annua). Ripetiamo il solito esercizio e vediamo come va a finire.

 

Commissioni di performance 4 | amCharts

 

Qui le commissioni calano nettamente, anche se i problemi sono analoghi al caso delle performance assolute: è probabile pagare anche quando non ve ne è ragione; più breve è il periodo di reset, più si paga, e più volatile è il fondo rispetto al benchmark, più si paga. Il metodo HWM è meglio degli altri, eccezion fatta per il caso di commissione simmetrica – e questo è un risultato avente validità generale.

Parlando di benchmark, però, si apre una buia voragine. Quale dovrebbe essere utilizzato? Certo non uno troppo facile da battere, o totalmente slegato alla strategia d’investimento. La scelta dovrebbe essere coerente con il focus dell’investimento: ad esempio, per un fondo azionario mondiale dovrebbe trattarsi di un indice azionario internazionale, mentre per un fondo total return dovrebbe essere un indice monetario maggiorato di uno spread tanto più grande quanto maggiore è la volatilità del fondo.

 

Cose che dovreste appuntarvi

Le commissioni di performance sono diffusissime, e sarebbe stupido non investire in un prodotto valido solo perché previste. Ciascuna società di gestione può liberamente decidere se applicarle, stabilendone le modalità di calcolo; pertanto la varietà di algoritmi è elevata. Ma ora dovreste avere gli strumenti per orientarvi e discernere le situazioni patologiche da quelle fisiologiche.
In pratica, questi sono i punti salienti:

  • controllate se e come sono calcolate le commissioni di performance;
  • ovviamente, più sono basse, meglio è per voi;
  • più rischio viene assunto da chi gestisce il fondo, più è probabile che paghiate commissioni di performance;
  • più breve è il periodo di reset, più commissioni pagate e più dovreste diffidare del prodotto, a meno che non amiate sperperare i vostri risparmi;
  • per i fondi di diritto italiano, Banca d’Italia fissa alcuni paletti a tutela dei risparmiatori, incluso il periodo di reset minimo pari a un anno;
  • per i fondi di diritto estero (i cosidetti fondi “estero-vestiti”, ad esempio domiciliati in Irlanda e Lussemburgo), sono invece possibili anche reset mensili o trimestrali; quindi attenzione;
  • le commissioni di performance simmetriche sono fanta-finanza, perciò non v’impuntate a cercarle, anche se qualche fondo inizia ad applicare “commissioni a fulcro”, che prevedono una diminuzione della commissione di gestione in caso di sotto-performance del fondo;
  • tra i metodi più diffusi di calcolo l’HWM è il migliore, cioè il più equo (ma occhio, alcuni operatori attuano il reset periodico, azzerando il contatore della performance – in tal caso, in media pagherete di più);
  • con le commissioni relative, fate attenzione che il parametro di riferimento (benchmark) non sia una presa in giro;
  • la storia che “le commissioni di performance sono etiche” è una balla notevole; invece queste commissioni favoriscono il moral hazard, ossia l’assunzione di rischio a spese del cliente, e spesso vengono pagate senza una reale ragione – se vi dicono che non è vero, stendeteli dicendo che è tutto dimostrabile utilizzando la diseguaglianza di Jensen. E poi vediamo.

 


Scritto da

Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

Ultimi commenti
  • Avatar

    Interessante come sempre.
    Che software usi per le simulazioni montecarlo?
    Qualche plug in di Excel?

    • Avatar

      Programmo direttamente in Matlab o R (questo per l’esattezza l’ho fatto in Matlab). Ho semplicemente simulato i vari payoff utilizzando per semplicità un total return mensile lognormale con media nulla (potevo anche usare una distribuzione fat-tailed, ad esempio una t-student con 3-5 gradi di libertà, ma è piuttosto irrilevante per il fine dell’eesercizio, che è far vedere che anche se il valore aggiunto è nullo, finisci sempre con il pagare commissioni di performance. Comunque lo puoi fare anche in Excel, solo magari ti viene un po’ pesantuccio il file.

      • Avatar

        Matlab non lo uso dai tempi dell’università…..dire che sono arrugginito è un eufemismo!
        Proverò qualche esperimento con Excel.
        Grazie delle indicazioni.

lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.