Caro fondo, si può sapere quanto mi sei costato? Nell’attesa che la MiFID II entri a regime – cosa che accadrà non prima del 2019 – e dopo l’analisi proposta dagli esperti della Banca d’Italia1 lo scorso settembre, un nuovo studio (più precisamente, un discussion paper) di Gaetano Finiguerra, Giovanna Frati e Renato Grasso della Consob, dal titolo “Il costo dei fondi comuni in Italia. Evoluzione temporale e confronto internazionale”2, fa il punto su quanto ci sarebbe costato investire in fondi comuni dal 2012 al 2016.
Effetto MiFID II sui costi
MiFID II, lo ricordiamo, è entrata in vigore il 3 gennaio 2018. La direttiva europea, recepita anche in Italia nel luglio 2017, impone la massima trasparenza a maggiore tutela del cliente, anche sul tema dei costi. Nella consulenza non indipendente – ossia quella su mandato – le varie voci dei costi del servizio e del prodotto dovranno d’ora in avanti essere indicate in modo chiaro, esplicito e separato.
La direttiva distingue due fasi nella trasmissione al cliente di questo tipo di informazioni:
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- ex ante, cioè al momento della sottoscrizione dell’investimento, con l’obbligo di indicare, sia in percentuale sia in euro, almeno i costi di ingresso, i costi ricorrenti e i costi di uscita, e anche quanto il distributore recepisce dalla fabbrica-prodotto;
- ex post, da inviare a cadenza annuale ai clienti con il dettaglio dei costi effettivi sostenuti nel corso dell’anno.
È verosimile, scrivono i tre autori nel discussion paper, “che la nuova disciplina introdotta dalla MiFID II determini una revisione degli attuali modelli distributivi e commissionali”. Insomma, per usare una frase d’impatto e anche un po’ logora, niente sarà più come prima.
Lo studio effettuato, però, è utile per capire che cosa ci stiamo lasciando alle spalle, dal momento che mette sotto esame la struttura e l’evoluzione del costo dei fondi comuni aperti italiani nel periodo che va, appunto, dal 2012 al 2016.
[accordion title=”Qualche numero, per capire”] Tra il 2012 e il 2016, il numero dei fondi di diritto italiano è cresciuto del 31%, passando da 733 a 960 unità, mentre il patrimonio gestito è aumentato del 58%, da 149 a 236 miliardi di euro. La raccolta netta è stata positiva sempre, tranne che nel 2012, e nell’arco dei cinque anni si è attestata a quota 62,1 miliardi di euro.Analizzando il peso di ciascuna categoria sul patrimonio totale, si vede bene come siano scese le quote percentuali dei prodotti più esposti agli effetti delle fluttuazioni dei mercati e dei tassi di interesse vicini o pari allo zero, come per esempio la quota dei fondi azionari e obbligazionari. Al contrario è salita la quota dei fondi a scadenza e flessibili.
Il grafico ci consegna la fotografia di quello che in alcuni casi è stato un vero e proprio “esodo” delle masse verso strumenti ritenuti più convenienti.[/accordion]
[accordion title=”Costi di gestione, di ingresso e di uscita”] Il lavoro ci conferma – ma noi già lo sapevamo – che una parte importante dei costi va a remunerare l’attività di collocamento svolta dagli intermediari (banche e SIM) per il tramite dei consulenti finanziari: circa il 70% delle commissioni complessive – incluse quelle di sottoscrizione e rimborso – percepite dalle società di gestione del risparmio viene infatti assorbito dalla distribuzione.Lo studio analizza poi in dettaglio i costi dei fondi, distinguendo fra:
- costi di gestione (commissioni di gestione e di performance): la loro incidenza sul patrimonio dei fondi nei 4 anni esaminati è rimasta nel complesso stabile attorno all’1,4%, ma il loro peso sugli utili prodotti dai fondi è lievitato dal 16% al 51%. Nel 2016, per alcune categorie di fondi, i costi di gestione sono addirittura risultati superiori all’utile (è il caso dei monetari e degli alternativi) e il rendimento dei fondi ne è quindi risultato negativo;
- costi di ingresso e di uscita: i primi sono cresciuti dallo 0,6% all’1,4%, mentre quelli di uscita si sono progressivamente ridotti fino a diventare totalmente residuali, pari allo 0,05%.

Diverse categorie di fondi hanno tuttavia costi di ingresso superiori a quelli di gestione. In particolare, al 2016 i fondi flessibili, che rappresentano oltre il 40% del mercato, hanno commissioni di ingresso vicine al 2,5%, a fronte di un costo di gestione prossimo all’1,5%. Lo stesso dicasi per i fondi bilanciati. Viceversa, i monetari hanno costi di ingresso pressoché nulli.[/accordion]
Costi di gestione e di ingresso dei fondi comuni di diritto italiano
Fonte: Consob, elaborazioni su segnalazioni statistiche di vigilanza e Assogestioni
[accordion title=”Stangata sugli utili”] Certamente, non si può non tenere conto del momento storico che abbiamo attraversato negli anni sotto esame: come accennato, l’andamento negativo di alcuni mercati azionari e la forte riduzione dei tassi di interesse hanno infatti contribuito a generare un significativo calo dell’utile dei fondi al lordo dei costi di gestione.Tra il 2012 e il 2016, come si vede della tabella estrapolata dal discussion paper e riportata sopra, i profitti lordi si sono ridotti di un terzo abbondante, passando dal 9,2% del 2012 al 2,9% del 2016. Al netto dei costi di gestione, gli utili sono scesi dal 7,7% all’1,4%.[/accordion]
Utili lordi e netti dei fondi comuni di diritto italiano
Fonte: Consob, elaborazioni su segnalazioni statistiche di vigilanza e Assogestioni
Uno sguardo ai fondi di diritto estero
Il lavoro confronta infine i costi dei fondi di diritto italiano con quelli dei fondi di diritto estero collocati in Italia, e lo fa utilizzando l’Indicatore Sintetico di Costo presente nel KIID introdotto con la disciplina UCITS (che tuttavia, come sottolineano i tre autori, non include le commissioni di performance e quelle di ingresso e di uscita).
In base all’ISC, nel periodo 2014-2016 il costo delle classi retail dei fondi italiani risulta in linea con la media europea.
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1 “Il costo totale dell’investimento in fondi comuni”, Banca d’Italia
2 “Il costo dei fondi comuni in Italia. Evoluzione temporale e confronto internazionale”, Consob