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Gestione attiva vs gestione passiva: l’eterno dibattito

Gestione attivo o gestione passiva? Quale scegliere?

La domanda che in genere tutti si fanno è: meglio attiva o passiva? Naturalmente, qui si parla di gestione. Ma prima di arrivare a dire se l’una è realmente meglio dell’altra, cerchiamo di capire qual è la differenza.

 

Strumenti attivi vs. strumenti passivi

Nella maggior parte dei casi, fondi comuni, ETF1 e SICAV2 hanno un benchmark, vale a dire un indice finanziario costituito da titoli che costituisce il loro mercato di riferimento. Ma mentre gli strumenti passivi come gli ETF tentano semplicemente di replicarlo, gli strumenti attivi come i fondi comuni cercano di batterlo in termini di performance. Che poi sarebbe la cosiddetta “Alfa” della gestione.

Gli ETF hanno in media un’Alfa negativa a causa delle commissioni e dei costi di negoziazione sostenuti per la replica: per gli ETF azionari si tratta in media di un -0,26% all’anno (elaborazioni su dati Morningstar).

Il gestore attivo, invece, ha fondamentalmente due modi per battere l’indice di riferimento, aggiungere valore e creare Alfa:

  • scegliere titoli differenti, secondo il cosiddetto stock picking3;
  • esporsi diversamente ad aree geopolitiche, settori e altri fattori di mercato (Value, Small Cap e via dicendo), e questa è l’asset allocation.

Ciò premesso, sono due le metriche per capire quanto effettivamente è attivo uno strumento finanziario:

  • l’Active Share (AS): è la percentuale di investimenti del fondo che differiscono da quelli del benchmark;
  • la Tracking Error Volatility (TEV): è la volatilità della differenza tra rendimento del fondo e rendimento del benchmark e, in sostanza, misura la volatilità del fondo che non si spiega con i movimenti del mercato ma con le scelte attive di gestione.

Gestione attiva e passiva sul mercato

In base all’entità di AS e TEV, ispirandoci al lavoro di Antti Petajisto4 della New York University, possiamo suddividere gli strumenti finanziari in varie categorie:

  • TEV e AS entrambi molto bassi – qui parliamo di prodotti dichiaratamente passivi, come gli ETF;
  • AS medio e TEV alta – significa che non si discostano tanto nella scelta dei titoli, ma più che altro nell’asset allocation;
  • AS alto e TEV bassa – praticanti dello stock picking che riducono il rischio grazie a una buona diversificazione;
  • TEV e AS entrambi molto elevati – sintomo di gestione attiva “spinta” in tutte le direzioni;
  • TEV medio/basso e AS basso – ETF attivi (ehggià, non sono molti per ora, ma esistono);
  • TEV e AS basso – i praticanti dell’assai discutibile sport del closet indexing, cioè gestori che si dichiarano attivi (e si fanno pagare commissioni commisurate) ma che in sostanza sono passivi.

 

 

Tutto ciò premesso, chi fa meglio?

Il grafico riportato qui di seguito è la sintesi dello studio di Antti Petajisto menzionato poco fa, che ha classificato i fondi azionari statunitensi utilizzando AS e TEV, e analizzandone poi le performance.

Ebbene, i fondi che effettuano autentico stock picking (cioè la scelta oculata di pochi titoli), mantenendo però una buona diversificazione dei rischi, in media hanno performance significativamente migliori del benchmark: parliamo dell’1,26% medio annuo. Non è poco.

 

Gestione attiva-passiva 1 | amCharts

 

Come si vede, le altre tipologie di gestione, in aggregato, non aggiungono valore. Spiccano per negatività i fondi che si autodefiniscono attivi (facendosi di solito pagare commissioni elevate), ma che in pratica sono passivi: si tratta dei fondi che praticano il closet indexing.

Attenzione: secondo uno studio dell’ESMA5, l’autorità europea di vigilanza del mercato finanziario, tra il 5% e il 15% dei fondi comuni in UE appartiene a questa categoria, mentre Morningstar6 avverte che, fra i fondi azionari europei “attivi” domiciliati in Italia, due su tre, in realtà, fanno closet indexing e, di fatto, non si meritano le commissioni che caricano ai clienti.

 

Come capire chi è davvero bravo?

Per selezionare i gestori veramente bravi, in genere si va a vedere chi ha le migliori performance (meglio se aggiustate per il rischio, magari con lo Sharpe Ratio7). Ma la vera domanda è: in seguito, quegli stessi gestori continuano a essere bravi? Cioè: l’Alfa è persistente?

Dai dati sui fondi azionari e obbligazionari di S&P Dow Jones8 emerge che, tra i gestori che manifestano Alfa positiva, dopo un anno meno del 20% è in grado di continuare a generare valore. E dopo tre anni, la persistenza dell’Alfa si avvicina allo zero.

 

Gestione attiva-passiva 2 | amCharts

 

Attenzione ai costi

La gestione attiva prevede maggiore attività di analisi e ricerca, dunque costa più della gestione passiva. Ma quanto di più? La risposta è nel grafico seguente (dati Mediobanca9  e Morningstar). In media, il TER annuo dei fondi comuni attivi è circa il quadruplo degli ETF.

 

Gestione attiva - passiva 3 | amCharts

 

Sugli ETF, però, grava anche – in media con qualche decina di punti base – lo spread bid-ask (o denaro-lettera), un costo aggiuntivo legato alla negoziazione, che è invece assente nei fondi. Anche in questo caso, si tratta di dati medi: gli ETF Smart Beta10 costano in media qualche decina di punti base in più. Di converso, esistono fondi comuni attivi venduti direttamente dalle società di gestione, anche online, con costi spesso vicini a quelli degli ETF.

La ricerca accademica evidenzia però un fatto abbastanza straordinario: l’industria del risparmio gestito è forse l’unica in cui il costo (cioè le commissioni) è inversamente correlato alla qualità. Questo storico risultato, pubblicato sul Journal of Finance11 da Javier Gil-Bazo e Pablo Ruiz-Verdú, significa che i fondi con commissioni (TER) più basse spesso ottengono performance migliori di quelli con commissioni più elevate.

Insomma, l’equazione “più costa = meglio è” qui non vale. E questa, considerato quanto impattano i costi sul risultato finale di un investimento, è una gran bella notizia.

 

In conclusione: meglio attiva o passiva?

La realtà è che gestione attiva e passiva sono complementari. E spieghiamo perché.

  • Senza gestione passiva ci sarebbero troppi gestori attivi e l’Alfa sarebbe ancora più evanescente ed elusiva. Il problema con l’Alfa è che c’è troppa gente brava, sicché le migliori opportunità d’investimento svaniscono subito. I dati12 peraltro mostrano come nei Paesi con più prodotti passivi la qualità della gestione attiva sia migliore.
  • Se non ci fossero i gestori attivi, il mercato sarebbe più illiquido, cristallizzato negli indici finanziari, e le aziende o i governi che vanno male rimarrebbero “impuniti”: tutti si limiterebbero ad acquistare acriticamente azioni e bond nelle proporzioni definite dagli indici e mancherebbe la “selezione naturale”, che invece è fondamentale.

Quindi, al di là delle scelte dei singoli investitori, a livello di ecosistema finanziario è salutare la contestuale presenza di gestioni passive e attive.

 



1 – #ABCFinanza: cosa sono gli ETF e perché sono così convenienti?
2 – #ABCFinanza: cosa cambia tra SGR, SICAV e fondi comuni d’investimento?
3 – Financial Brief | Investire con lo stock picking o con l’asset allocation?
4 – Active Share and Mutual Fund Performance, futore: Antti Petajisto
5 – Supervisory work on potential closet index tracking, fonte: ESMA
6 – Active Share in European Equity Funds, fonte: Morningstar
7 – #ABCFinanza: valutare gli investimenti con lo Sharpe Ratio
8 – Fleeting Alpha: Evidence from the SPIVA and Persistence Scorecards, fonte: S&P Global
9 – Indagine sui fondi comuni e SICAV italiani, fonte: Mediobanca
10 – Grafico della settimana: 15 anni di strategie Smart Beta
11 – The Relation Between Price and Performance in the Mutual Fund Industry, fonte: Journal of Finance
12 – Indexing and Active Fund Management: International Evidence

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