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Il settore Fintech. Quali prospettive concrete in Italia?

Anche in questo vecchio e lento Paese la parola fintech (tecnologia al servizio della finanza, generalmente riferito a startup che sfidano il dominio del settore finanziario tradizionale) è ormai sulla bocca di molti.

Tuttavia in Italia il settore fintech è ancora agli inizi. Nonostante molti convegni e iniziative lodevoli, come quella di SmartMoney, che ha provato a mappare le startup fintech italiane e cerca di “creare sistema” (o come direbbero i guru del settore un “ecosistema”), attorno a queste realtà c’è parecchio vuoto. La strada dell’innovazione tecnologica nel settore finanziario è infatti ancora lunga e la maggioranza delle istituzioni finanziarie ha iniziato a guardarsi attorno, da sola.

La ragione è semplice: per innovare in un settore come quello finanziario, che è altamente regolato, servono grandi capitali e spesso bisogna avere il coraggio di investire in aziende innovative che, pur crescendo, all’inizio sono in perdita. Serve quindi un atteggiamento quanto mai distante dalla mentalità italiana. Negli USA tali aziende vengono finanziate con milioni di dollari ancora prima di aver realizzato un prodotto… ma questa è un’altra storia, accontentiamoci di dire che qui Amazon o Twitter non sarebbero mai fiorite.

Tanto per buttar giù un paio di numeri nel 2014 a livello globale sono stati investiti $ 6,8 miliardi nel settore fintech, in Italia € 7 milioni. Vabbè che gli italiani sono creativi, ma non si può fare un abito da sera con i fogli di giornale!

Speriamo che la musica cambi, e che i tanti appuntamenti (come il recente FintechStage tenutosi a Milano con la partecipazione di molti grossi player internazionali del settore) abbiano aumentato la consapevolezza che anche il settore finanziario verrà trasformato radicalmente dall’avvento della tecnologia. Altrimenti, se le istituzioni finanziarie italiane non faranno nulla, saranno i player internazionali a conquistare e dominare il mercato italiano.

Pensando a questo nostro paese, alle sue specificità e caratteristiche, ho provato a delineare le aree più promettenti dove forse la rivoluzione fintech tricolore potrebbe affermarsi.

1. Risparmio e investimento: robo-advisor, wealth management digitale e pianificazione finanziaria

Sembra sorprendente, ma l’Italia è un paese ricco, anche se il reddito è basso, anche per i troppi anni di stagnazione economica. Alla fine del 2013, infatti, la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a € 8.728 miliardi, corrispondenti in media a 144.000 euro pro capite e a 356.000 euro per famiglia.

È una ricchezza per metà in immobili, determinata da una propensione al risparmio storicamente elevata, ma anche dalla tendenza degli italiani a non esagerare con i debiti, a differenza di quanto accade in altri Paesi. Il tasso di risparmio degli italiani, storicamente tra i più elevati dell’area OCSE, è sì crollato drammaticamente negli ultimi anni, ma rimane più alto di molti altri Paesi e nel 2014 accenna a invertire la rotta.

risparmio-medio-per-paese

L’industria dell’asset management in Italia è relativamente “primitiva”, caratterizzata da margini molto alti per la  distribuzione (intorno al 70% delle commissioni). Quest’ultima, ovviamente privilegia il collocamento di prodotti costosi, come  le unit-linked e i fondi di fondi, e caratterizzati da bassa trasparenza (in Italia non vige ancora l’obbligo di disclosure dei rendimenti retrocessi ai distributori).

La consulenza finanziaria è un servizio poco conosciuto ai risparmiatori e spesso non viene distinta da promozione e collocamento di prodotti finanziari. È quindi evidente che in Italia i robo-advisor (consulenza finanziaria online, come quella dell’italiana MoneyFarm, piattaforme di collocamento di fondi online, anche per il piccolo o piccolissimo risparmiatore, come l’innovativa Gimme5) e in generale tutti i servizi che forniscono ai risparmiatori maggiore chiarezza e controllo sui propri risparmi e investimenti, hanno un alto potenziale.

Spendo una parola anche sul capitolo della previdenza integrativa. Anche se il governo  e i media non hanno il coraggio di dirlo, lo squilibrio tra lavoratori e chi percepisce e percepirà una pensione rendono l’attuale sistema insostenibile e che in futuro le pensioni pubbliche non saranno sufficienti. Ecco perchè  i servizi online di pianificazione finanziaria per risparmiare ai fini della pensione hanno un elevato potenziale nel nostro Paese. Noi, nel nostro piccolo, ce ne occupiamo con i Portafogli Premium, mentre negli USA un’assicurazione chiamata Northwestern Mutual ha appena sborsato ben $ 250 milioni per acquisire la piattaforma online di pianificazione finanziaria chiamata LearnVest .

2. Lending elettronico: marketplace lending e P2P lending

Lo sappiamo, il tessuto industriale italiano è fatto per lo più da piccole o piccolissime imprese: il 95%, secondo i dati ISTAT, nel 2011 ha meno di 10 addetti e solo lo 0,6% ne ha più di 50. È noto a tutti che la crisi ha creato un problema di restrizione al credito (credit crunch) reso ancora più acuto dal fatto che le banche italiane hanno un vero e proprio record di sofferenze nei bilanci. La conseguenza è stata una netta diminuzione dei prestiti alle PMI e alle famiglie come evidenziato nel grafico seguente.

prestiti-bancari-in-italia

Il web ha già rivoluzionato in Italia il settore dei mutui e delle polizze auto, portando trasparenza. Società come Mutuionline o Segugio.it sono partite diversi anni fa e sono oggi molto conosciute.

Negli USA e in UK , Lending Club e Funding Circle sono le piattaforme più conosciute, il lending online sta crescendo molto rapidamente in risposta al credit crunch globale.

Che cos’è il markeplace lending? Una “piazza” virtuale dove chi vuole prendere soldi in prestito e chi vuole prestare vengono messi in contatto diretto tramite una piattaforma sul web. Quest’ultima NON è una banca e NON presta, ma svolge attività di mappatura della qualità dei debitori e servizi di diversificazione per allocare le somme tra molti diversi  individui, in modo da ridurre il rischio per chi presta. Insomma, la piattaforma è un “facilitatore” che percepisce una commissione per l’analisi e i servizi alle due parti.

L’efficienza operativa raggiunta tramite la tecnologia consente di prendere a prestito a tassi molto più convenienti di quelli offerti dalle banche, ottenendo rendimenti molto elevati per i prestatori. Le declinazioni possibili sono moltissime, arrivando anche a siti dedicati espressamente al credito delle piccole imprese e, chi lo sa, magari tra i prestatori ci possono essere anche le banche.

Un’altra alternativa interessante per le PMI è quella della vendita di fatture (un’alternativa al factoring bancario) tramite una piattaforma elettronica che utilizza un sistema di rating per i fornitori. È approdata da poco anche in Italia, tramite WorkInvoice.it .

Esistono piattaforme che mettono insieme privati che vogliono investire, con altri privati che vogliono prendere a prestito per finanziare progetti: sono gli operatori del peer to peer lending. In questo caso anche i risparmiatori, ormai abituati a tassi delle obbligazioni prossimi allo zero, possono ottenere rendimenti annui sopra al 6%, certamente con rischi molto più elevati ma rappresentati con un buon grado di chiarezza e trasparenza. Gli esempi italiani che mi vengono in mente sono Smartika.it e Prestiamoci.it.

3. Pagamenti

Solo poche parole, perchè questo è il settore più hot del momento, dove sembra che la tecnologia abbia davvero sbaragliato gli operatori tradizionali.

Nel settore dei pagamenti, secondo me, la battaglia si combatte altrove tra i giganti USA come Apple, PayPal, Google o Facebook. L’Italia è un paese caratterizzato da un alto uso del contante, lo sappiamo, ma nello stesso tempo è ai vertici mondiali per diffusione del cellulare. A mio avviso ci sarà spazio non tanto per chi conquisterà i consumatori con la app migliore, quanto per chi riuscirà a superare il problema della parcellizzazione degli esercenti e troverà uno standard comune che possa funzionare presso chi riceve i pagamenti.

Qual è il futuro per il Fintech in Italia?

È evidente che nonostante tutte queste nuove realtà, le banche non spariraranno ma ci sarà un’importante fenomeno di disintermediazione del settore bancario tradizionale a favore dei nuovi ed efficienti player tecnologici.

Per il momento in Italia non si investe nel fintech, lo Stato fa finta di non vedere (il trattamento fiscale del peer to peer lending è penalizzante rispetto ai depositi bancari, mentre il Governo Inglese ha investito direttamente £ 40 milioni in Funding Circle) e le reti di promotori  continuano a fare record di raccolta e ad appioppare ai loro ignari clienti prodotti che costano anche più del 3% all’anno in un contesto di rendimenti nulli e di valori azionari molto elevati.

Credo che l’Italia sia un mercato prospetticamente troppo interessante per i settori del wealth management e del credito perchè possa rimanere in un limbo di arretratezza. E se non saranno le aziende italiane ad attrezzarsi, investiremo online tramite gli operatori stranieri come Wealthfront o Nutmeg o prenderemo a prestito e investiremo tramite FundingCircle, sentendoci fighissimi.

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Scritto da

È uno dei partner fondatori e Presidente di Advise Only. Laureata in Economia Politica presso l'Università Bocconi, è stata responsabile dell'area commerciale dell'asset management del gruppo Banca Leonardo, occupandosi della ristrutturazione dell'offerta dei prodotti di risparmio gestito. In precedenza ha accumulato significative esperienze dapprima presso l'area Fixed Income Sales & Trading di JP Morgan e poi come Managing Director in Goldman Sachs, area Structured Fixed Income, occupandosi di clientela istituzionale italiana. Ama lo sport (corsa e sci di fondo), i buoni libri e l'opera lirica.

Ultimi commenti
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    Mi sembra interessante quello che viene scritto, ma il termine “appioppare” mi sembra che sia davvero poco elegante.
    La consulenza si misura con i costi, i rendimenti e la qualità del servizio. Se, e dico se, ci fosse consapevolezza finanziaria da parte dei risparmiatori e una normativa meno favorevole a chi propone investimenti, molte realtà bancarie avrebbero già chiuso i battenti.
    I costi di struttura e le sofferenze sugli impieghi, obbligano le stesse banche a proporre prodotti molto poco efficienti e certamente più costosi per il cliente. Anche in riferimento alla liquidabilità dell’investimento in obbligazioni non quotate o dove a “fare prezzo” non c’è altri che l’emittente, con spread tra denaro e lettera anche superiori al 5,50%. Basta dare un’occhiata all’EuroTLX.
    Di questo perché non se ne parla?

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      Ciao Davide, purtroppo hai molta ragione. In Italia c’è poca cultura finanziaria, si fa fatica a distinguere un promotore finanziario che vende prodotti da un consulente finanziario che invece è libero dai conflitti di interesse.
      Le Banche poi si sono accorte che fanno molti più soldi vendendo prodotti onerosi piuttosto che lavorando insieme al cliente per accrescere pian piano la ricchezza di entrambi allocando efficacemente le risorse.
      Bisognerebbe che quello di cui si parla in tutti forum finanziari passasse dalla specificità alle discussioni di interesse nazionale, magari scavalcando calcio e gossip. il semplice fatto che noi CFI non abbiamo un albo quando è stato introdotto da ben 7 anni, la dice lunga sulle problematiche di questo paese.

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    Articolo molto interessante, mi era sfuggito. Mi chiedo se in Italia siamo “più avanti” di altri in qualcosa di particolare, perché più ci penso e meno trovo una risposta…:-(
    Ma non disperiamo… Grazie!

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