Avendo praticato professionalmente per anni la gestione quantitativa attiva, sono diventato un convinto sostenitore della gestione passiva. Però ammetto che negli ultimi 12-18 mesi la gestione attiva è alla riscossa. Quantomeno relativamente al passato.
Basta dare un’occhiata alle “Spiva Scorecard” di S&P Dow Jones, un barometro dell’andamento dei fondi rispetto ai mercati di riferimento (potete consultarle da voi qui).
Nell’ultimo anno, i gestori attivi se la sono cavata decisamente meglio del solito. Per farvi un’idea, nella tabella seguente trovate il numero di fondi azionari “battuti” dal mercato: notate che solo il 37% dei fondi azionari europei ha fatto peggio del mercato, contro una media quinquennale che è pari circa al doppio (Fonte S&P Dow Jones Indices).
Mercato azionario | Fondi con performance inferiori al mercato nell’ultimo anno | Fondi con performance inferiori al mercato negli ultimi 5 anni |
---|---|---|
Stati Uniti | 60,33% | 75,27% |
Europa | 37,27% | 75,17% |
Giappone | 54% | 69,53% |
Da cosa è dipesa la performance dell’ultimo anno?
Probabilmente, durante la pandemia, esperienza di gestione e capacità di leggere la realtà in movimento hanno pagato.
Anche gli hedge fund, in teoria la Formula1 della gestione attiva (ma storicamente con performance medie da utilitaria), hanno avuto un anno buono: l’indice HFRI Fund of Funds Composite, una mediona di fondi, segna una performance annua superiore al 10%.
Anche se un semplice portafoglio bilanciato, costituito per metà da un ETF globale azionario e per l’altra da un globale obbligazionario (rispettivamente, indice MSCI World AC e Bloomberg Barclays Global Aggregate), avrebbe nello stesso periodo registrato una performance superiore al 15%.
Va detto che giudicare la performance degli investimenti su periodi brevi, annuali, non è un modo statisticamente significativo per apprezzarne il valore.
E allora, allargando l’orizzonte temporale dell’analisi agli ultimi 5 anni – si veda il grafico – il quadro cambia ed è meno entusiasmante: la media degli hedge fund è del tutto allineata a quella dei normalissimi fondi bilanciati (quello riportato nel grafico è l’indice Fideuram dei fondi italiani).
Entrambi gli indici sono grosso modo in linea con un indice obbligazionario globale, ma distanti dall’andamento dell’azionario globale. Il che, con un ardito calcolo mentale, porta a concludere che un semplice portafoglio composto da un ETF azionario globale e un ETF obbligazionario globale avrebbe fatto meglio.
Aggiustando le performance per la volatilità, se la cava bene l’indice dei fondi bilanciati (Sharpe Ratio 0,54), meno bene quello degli hedge fund (0,36), mentre il portafoglio di ETF avrebbe fatto ancora meglio (0,65).
Quei cloni hedge costruiti con l’Intelligenza Artificiale
Voi vi domanderete: se in media si comportano come comuni fondi bilanciati, perché esistono gli hedge fund? Me lo chiedo spesso anche io. E il punto è che ne esistono di eccellenti, benché non semplici da individuare. Inoltre, molti investitori istituzionali come banche e assicurazioni li ritengono fonte di diversificazione del rischio, e spesso è proprio così.
Restano comunque un investimento illiquido, con costi elevati, opaco nei confronti degli investitori.
Anche se ormai, per chi desidera questo tipo di esposizione finanziaria, sono in giro “cloni”, disponibili anche in forma di ETF (si veda per esempio l’ETF IQ Hedge Multi‑Strategy Tracker), costruibili con l’aiuto dell’Artificial Intelligence, utilizzando strumenti liquidi, come i Futures. Anche Virtual B, la “mamma” di AdviseOnly, lo fa, con risultati direi soddisfacenti – si veda il grafico con la dinamica di un clone rispetto al suo target.
I cloni AI di strategie d’investimento diventano quindi strumenti di democratizzazione finanziaria: fondi altrimenti costosi e irraggiungibili per molti investitori (e non solo privati, ma anche istituzionali) possono essere replicati, seppur imperfettamente, con strumenti liquidi, trasparenti e a basso costo.