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Robo-advisor o promotori? Ecco come cambierà il wealth management

In molti avrete sentito parlare di robo-advisor. Ma quanti di voi sanno cosa siano esattamente? E come cambieranno il settore del wealth management?

Sotto la definizone di robo-advisor ricadono diverse tipologie di piattaforme online che, sulla base di algoritmi di risk management e asset allocation, offrono ai risparmiatori soluzioni di investimento precostituite, specifici portafogli più o meno personalizzati secondo le esigenze dei risparmiatori, che possono – nella maggior parte dei casi – essere acquistate direttamente online e finire nel dossier titoli di ciascuno.

Il robo-advisor è una sorta di consulente finanziario virtuale che, sfruttando la tecnologia, offre servizi di consulenza finanziaria al pubblico in modo efficiente e a un costo competitivo, puntando sulla semplicità e sulla qualità dell’esperienza online per il consumatore. I robo-advisor rientrano nel settore fintech: la tecnologia applicata all’industria finanziaria.

L’industria del fin-tech

Questo settore è in “esplosione”. Negli USA l’industria del fintech è oggetto di uno sviluppo straordinario, grazie soprattutto agli enormi investimenti del venture capital, che ha capito come le banche tradizionali abbiano perso il treno dell’innovazione in un settore dove, questa, può generare enormi margini di guadagno.

Facciamo degli esempi concreti: pensiamo al settore dei pagamenti, dove nel segmento mobile Apple ha lanciato Apple Pay, Samsung sta per rispondere con LoopPay. Poi c’è la britannica TrasferWise, fondata nel 2011, una piattaforma per il trasferimento di denaro peer-to-peer, valutata circa 1 miliardo di dollari.

Negli USA i robo-advisor sono ormai oggetto di una vera e propria corsa all’investimento: il gigante dell’investimento online Charles Schaw ha lanciato gli “Schwab Intelligent Portfolios”: un servizio di portafogli precostituiti in maniera “intelligente”, che possono accontentare tutti gli investitori, anche piccoli (il taglio minimo è infatti $ 5.000).

Ancora più interessante è il fatto che Fidelity, il colosso dell’asset management, abbia stipulato un accordo con due ”storiche” società di robo-advisor: Betterment Institutional e LearnVest, società con due modelli di business abbastanza diversi nella volontà di segmentare la nuova clientela “digitale”(qui un approfondimento sui player USA del fin-tech).

Hanno senso i robo-advisor?

Certamente. Era solo questione di tempo perché la tecnologia riuscisse a produrre innovazione anche nella granitica industria del wealth management, soprattutto nell’ottica di servire la generazione dei millennials (i nativi digitali) che avrà un modo completamente diverso di porsi nei confronti dell’industria finanziaria.

Oggi tutti ne parlano e le grandi banche tradizionali sembrano piuttosto spaventate da questi nuovi modelli di business. A mio avviso, la direzione è diversa: il modello di banca generalista non ha più senso, se non per pochi colossi, e l’offerta di servizi va sempre più verso la specializzazione e la verticalizzazione.

Una bella opportunità per le (grandi) società di gestione

Io penso che i robo-advisor abbiano senso sia per i broker online, che si concentrano sul mercato dei prodotti a basso costo come ETF e fondi indicizzati, sia (o meglio, soprattutto) per le grandi case di asset management.

Mi spiego meglio: per banche e reti di promotori l’offerta di consulenza finanziaria online va a erodere i margini di profittabilità.

Nell’ industria dei fondi comuni italiana il costo di un fondo di investimento è costituito per almeno il 70% dalla distribuzione, cioè le famose “retrocessioni” che vanno alle reti. Facciamo un esempio per capire meglio: è come se, acquistando un’auto con un margine di 10.000 euro, 7.000 euro andassero al concessionario e solo 3.000 ha chi l’auto l’ha costruita e assemblata.

D’altro canto, la “fabbrica” dei prodotti di investimento, cioè le SGR e i vari asset manager, spesso sono efficienti e incassano margini piuttosto contenuti anche per prodotti ben gestiti, di cui sopportano tutto il rischio reputazionale.

In Italia, però, è il settore della vendita a dominare il settore del risparmio gestito e non la “fabbrica”, mentre nei paesi anglosassoni i gestori bravi hanno un maggior potere contrattuale.

Non sorprende a questo proposito che molti eccellenti gestori anglosassoni, soprattutto nel caso dei prodotti di investimento alternativi, abbiano deciso di non distribuire i loro prodotti in Italia, perché l’oneroso costo della distribuzione avrebbe pesato eccessivamente sulla performance dei loro prodotti.

Ora le grandi case di wealth management (come dimostra la scelta di Fidelity e la partnership di Schroeders con la britannica Nutmeg) hanno una straordinaria opportunità: possono segmentare la clientela offrendo attraverso i robo-advisor un servizio di qualità ma low cost ai clienti più piccoli, più giovani e più esperti, mantenendo un servizio “premium” attraverso le reti. Questo consente loro di accontentare tutti e preservare o incrementare i margini.

In Italia, AcomeA Sgr (società peraltro presente e attiva nel nostro sito) lo fa da tempo con le classi di fondi A1 e A2.

I robo-advisor sostituiranno i consulenti finanziari in carne e ossa?

Non credo. Le decisioni finanziarie complesse riguardanti la pianificazione di investimento a lungo termine e i grandi patrimoni continueranno ad essere prese con il supporto di consulenti in carne ed ossa preparati, con cui si stabilisce un rapporto fiduciario e personale.

Ciò che avverrà sarà piuttosto l’arricchimento delle alternative disponibili per gli investitori. Sicuramente la tecnologia costituirà un supporto crescente e aiuterà ad aumentare l’efficienza dei canali distributivi tradizionali. Fioriranno molte soluzioni “ibride”, e solo chi non aggiunge valore consulenziale sarà spazzato via.

Esistono robo-advisor italiani?

Sì, certamente: AdviseOnly ha iniziato ad offrire un servizio di consulenza finanziaria personalizzata MIFID 100% online nel 2011, e gli amici di MoneyFarm all’inizio del 2012.  Non a caso il nome della società che possiede e gestisce il sito www.adviseonly.com è Virtual B SpA (sta per “Virtual Banker”, il nome del progetto originario che i miei soci Fabio Marras e Raffaele Zenti mi hanno presentato nel 2010).

Noi nel 2013 abbiamo deciso di abbandonare la via della consulenza finanziaria personalizzata prestata in forma diretta, perché troppo onerosa, per dedicarci all’innovazione tecnologica della finanza attraverso il B2B, specializzandoci nella consulenza finanziaria generica. MoneyFarm prosegue invece sulla strada intrapresa.

È triste pensare che in Italia i robo-advisor, oggi tanto di moda, esistano da almeno 4 o 5 anni, mentre negli USA, società molto più giovani raccolgono fondi  a pioggia ancora prima di avere un sito, ma… “that’s Italy”:  il cambiamento avviene altrove.

 Presentazione – Robo-advisory as a service: the AdviseOnly solution

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Scritto da

È uno dei partner fondatori e Presidente di Advise Only. Laureata in Economia Politica presso l'Università Bocconi, è stata responsabile dell'area commerciale dell'asset management del gruppo Banca Leonardo, occupandosi della ristrutturazione dell'offerta dei prodotti di risparmio gestito. In precedenza ha accumulato significative esperienze dapprima presso l'area Fixed Income Sales & Trading di JP Morgan e poi come Managing Director in Goldman Sachs, area Structured Fixed Income, occupandosi di clientela istituzionale italiana. Ama lo sport (corsa e sci di fondo), i buoni libri e l'opera lirica.

Ultimi commenti
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    Come funzionano gli algoritmi di selezione degli ETF che sono il cuore dei robo-advisor? Sono algoritmi standard, quindi paradossalmente scegliere betterment, wealthfront o moneyfarm è identico o ne esistono di migliori e di peggiori?

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    Non pensate che aumentando tale gestione meccanizzata degli asset la stessa possa influire in modo anomalo sui mercati, come peraltro gia’ testimoniano diverse turbolenze finanziarie artificiali, e quindi in futuro divenire oggetto di provvedimenti legislativi restrittivi ?
    Renato Cresta

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      Sì e no. Mi spiego.
      1) Sì, nel senso che l’High Frequency Trading, che è tutt’altra cosa rispetto ai cosiddetti “Roboadvisor”, ma è basato su elevatissima, anzi totale, automazione delle decisioni di compravendita, beh, spesso cuba per oltre due terzi dei volumi di mercato sulle principali Borse. Una mina vagante. (Personalmente sono molto critico verso questo tipo di operatività, per motivi legati alla struttura del mercato, e perché giocano su un piano non concorrenziale con gli altri operatori.)
      2) No, perché i roboadvisor per ora corripondono ad una porzione piccola del mercato, dunque non la influenzano in modo significativo. Inoltre, sono per lo più operatori che si muovono secondo logiche di medio-lungo periodo, e, in effetti, a ben vedere sono solo un canale nuovo di dialogo con i risparmiatori, ma utilizzano metodi che esistono nel mondo degli asset manager tradizionali. Direi che a livello di struttura del mercato non sono un pericolo e difficilmente lo saranno mai, secondo me.

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    Grazie per la risposta che mi trova d’accordo sig. Zenti. Infatti mi riferivo soprattutto ad HFT. Tuttavia la componente psicologica dei mercati non va sottovalutata e difficilmente replicabile con algoritmi…

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      Assolutamente d’accordo con lei.
      Della componente psicologica se ne può comunque (provare a) tenere conto in modo sistematico o quantitativo conto:
      – sia adeguando la struttura delle soluzioni d’investimento alla psiche umana (è, scusi l’autopromozione, per esempio il caso dei nostri portafogli “ad obiettivo”, Figli, Pensione, Reddito, v. https://www.adviseonly.com/aotutor);
      – sia monitorando il sentiment (cosa più facile nell’epoca dei Big Data, che offre gli strumenti per analizzare i media e i social media – se le interessa, dia un’occhiata all’interessante progetto di Shiller: http://som.yale.edu/faculty-research/our-centers-initiatives/international-center-finance/data/stock-market-confidence). E questo vale anche per vari bias comportamentali. Non è facile e non è preciso, ma si può fare qualcosa.

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    Certamente dialogare con Lei e’ molto interessante…
    Da tempo, fra l’altro, mi occupo delle dinamiche compulsive nelle azioni sociali. Le piu’ prevedibili perche’ diminuiscono in modo significativo le valenze individuali ivi operanti. Tuttavia, anche in tal caso, risulta ostico prevedere una dialettica normomatematica sempre applicabile. E se si individuano continue eccezioni mi insegna che il limite gnoseologico si esplicita con forza evidente. Comunque grazie per lo scambio di opinioni !

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      Grazie a lei.

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