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Roboadvisor vs consulente umano: come cambia il comportamento dell’investitore?

Negli ultimi anni l’evoluzione tecnologica ha lambito a poco a poco anche l’austero mondo della finanza e degli investimenti – pensiamo alla diffusione dell’home banking, all’enorme sviluppo nel settore dei pagamenti digitali, alla consulenza automatizzata tramite roboadvisor e, più in generale all’avanzata delle società Fintech. E l’isolamento forzato vissuto nei mesi scorsi a causa dell’emergenza sanitaria non ha fatto che accelerare questo trend già in atto, spingendo anche i più riluttanti ¬– sia lato offerta, sia lato clienti – ad addentrarsi nell’universo digitale.

Parallelamente alla crescita del settore fintech però, si sollevano diversi interrogativi circa le attitudini e le distorsioni comportamentali che potrebbero emergere tra i fruitori dei nuovi servizi automatizzati, dove l’interazione umana tende a sparire. Prima tra tutti la cosiddetta roboadvisory.

 

Di cosa si tratta?

La consulenza finanziaria automatizzata viene erogata da piattaforme digitali, che utilizzano degli algoritmi per combinare i dati dell’utente e proporre soluzioni di investimento pre-costituite, solitamente nella forma di portafogli modello composti da etf e fondi comuni. Semplici da usare, economici e fruibili direttamente online, queste soluzioni non prevedono una vera e propria relazione personale: terminata la profilazione attraverso la compilazione di un questionario, il cliente riceve una proposta di asset allocation coerente con le informazioni fornite.

Ebbene, come cambia la risposta del potenziale investitore a seconda che il consiglio di investimento venga formulato da un consulente umano o da un roboadvisor?

Prova a rispondere uno studio sperimentale realizzato dalla Consob, che ha coinvolto circa 180 studenti universitari della LUISS, sottoposti casualmente a due diversi tipi di consulenza (consulente umano o roboadvisor). Inizialmente, i partecipanti hanno dovuto decidere in autonomia come investire una (ipotetica) dotazione monetaria, fornita loro al momento dell’avvio dell’esperimento, scegliendo tra sei portafogli caratterizzati da un diverso profilo rischio-rendimento. In seguito, dopo essere stati profilati attraverso un questionario standard, gli studenti hanno ricevuto una raccomandazione di investimento (coerente con il profilo di rischio emerso dal questionario) da un consulente umano o da una piattaforma digitale, a seconda del trattamento a cui erano stati casualmente assegnati. Infine, agli studenti è stato chiesto di scegliere di nuovo uno dei sei portafogli proposti.

 

I risultati

Stando a quanto emerso, la probabilità che un individuo segua o meno una raccomandazione di investimento non dipende dalla natura del consulente (prescinde cioè dal fatto che il consulente sia fisico o digitale), bensì dal divario tra la scelta effettuata in autonomia prima di ricevere il consiglio e la scelta raccomandata dal consulente. Nel dettaglio, la probabilità che l’investitore sia disposto a seguire le indicazioni del consulente (umano o robo che sia) aumenta se il portafoglio consigliato coincide con quello precedentemente scelto in autonomia – mai sentito parlare di “confirmation bias”?

Nel caso però in cui il consiglio dell’advisor sia diverso dalla scelta effettuata in autonomia, i partecipanti sembrano più propensi a seguire i consigli del consulente umano e meno propensi a seguire quelli formulati da un algoritmo. Comprensibile, da un certo punto di vista, se pensiamo che un professionista in carne e ossa potrebbe essere capace, al di là delle competenze strettamente tecniche, di usare l’empatia e di fare leva sugli argomenti giusti per fare breccia nella persona che si trova di fronte, tenendo conto di caratteristiche che, con ogni probabilità, a un algoritmo sfuggono.

 

Una questione di fiducia

Volendo estremizzare un po’, tutto è riconducibile in definitiva al tema della fiducia, che in effetti gioca un ruolo cruciale in diversi stadi del processo decisionale di un investitore. In questo senso – come rilevano numerosi studi condotti sulla materia – l’atteggiamento degli investitori è ambivalente. Da un lato, un roboadvisor potrebbe essere percepito addirittura come più “affidabile” rispetto a un consulente umano, in quanto più oggettivo e non soggetto a “bias”: un algoritmo genera portafogli standardizzati e offre la certezza che persone con lo stesso profilo finanziario verranno indirizzate verso i medesimi portafogli modello. Un professionista umano, al contrario, può comportarsi in modo “discrezionale” e fornire una raccomandazione inadeguata – perché non agisce nel migliore interesse del cliente o per errore o mancanza di competenza.

Dall’altro lato però, nella consulenza automatizzata viene a mancare il rapporto umano ed empatico, il che porta l’investitore a sentirsi un po’ “abbandonato a se stesso” nel prendere le decisioni e in balìa delle proprie (spesso scarse) competenze finanziarie.

 

 

Accettazione sociale ed “effetto intervistatore”

Ma perché l’ambiente digitale porta le persone ad agire in modo diverso da come agirebbero nell’interazione con un consulente fisico? In buona sostanza, la presenza o meno di un’interazione umana genera dinamiche diverse – non necessariamente migliori o peggiori, semplicemente diverse.

Diversi studi hanno riscontrato ad esempio l’esistenza di un “effetto intervistatore” in presenza di un consulente fisico, che fa entrare in gioco il bias dell’accettazione sociale – ovvero la tendenza a dare risposte in funzione di quello che pensiamo ci renderà più accettabile agli occhi degli altri. Queste dinamiche spariscono completamente nei sondaggi online, dove si tende a dare risposte più “sincere”. Prendiamo il caso dei questionari di profilazione in ottica di investimento: senza interazione umana, il potenziale investitore potrebbe sentirsi meno giudicato nell’ammettere eventuali lacune nelle sue conoscenze finanziarie. Ma l’assenza di una guida empatica può far sorgere, come abbiamo visto, altre problematiche.

Va detto che ad oggi gli studi nel campo dei comportamenti sociali online – specialmente in ambito finanziario – sono in una fase iniziale e non sono ancora giunti a conclusioni certe. Resta il fatto che, con la diffusione sempre più massiva di strumenti come le piattaforme di consulenza automatizzata, si apre un mondo di possibili distorsioni comportamentali finora sconosciute, che potrebbero influenzare in modo anche importante i processi decisionali degli investitori.

 

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