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HomeECONOMIA E MERCATIECONOMIA, POLITICA E SOCIETA'AAA laureato cercasi. Ecco perché i giovani italiani si iscrivono meno all’università

AAA laureato cercasi. Ecco perché i giovani italiani si iscrivono meno all’università

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Ultimi commenti
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    Perche’ dici “buoni”? seconde te un 103 di media uscendo a 26-27 anni e’ un buon risultato? tanta permanenza negli atenei dovrebbe portare a migliorare il rendimento finale, rispettoa chi corre verso la laurea e accetta qualsiasi voto.
    Mi piacerebbe comparare questi due dati con francia germania e inghilterra. Anche se i sistemi sono diversi.

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    E’ un buon risultato che calino i laureati fuori corso e che diminuiscano gli abbandoni dell’università. E non vedo grossi cali della performance accademica in termini di voto di laurea.

    Se leggi questo studio sulle preferenze dei direttori del personale in sede di colloquio, vedrai che sono molto apprezzati i laureati giovani, che sanno le lingue e che hanno esperienze di lavoro. Il voto di laurea conta, ma solo per le materie scientifiche (pp. 15-18) => http://www.fga.it/uploads/media/C._Villosio__I_nuovi_laureati_al_giudizio_dei_direttori_del_personale_-_FGAWP35.pdf

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      Laureato giovane=24/25 anni…con esperienza di lavoro (durante l’estate?) che conosce le lingue (sempre durante l’estate?). Si pretende sempre di piu’ purtroppo…
      Grazie del doc!

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    Articolo interessante, Vorrei sottolineare che i laureati sono veramente troppo pochi: in Italia nel 2011 soltanto il 15% della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha un titolo universitario contro una media OECD del 32% e del 29% per EU21. Da notare poi e’ che, nel gruppo OECD, fa peggio dell’Italia soltanto la Turchia con un 14% (fonte OECD http://goo.gl/OEcTZG ).

    Oltre alla quantita’ poi c’e’ da considerare la qualita’ dei laureati. Piu’ che sul voto di laurea, la cui distribuzione risulta essere molto etereogenea sia tra atenei diversi che tra diverse classi delle stesso ateneo, rendendo la statistica difficilmente comparabile sia all’interno di un paese come l’Italia che a livello internazionale, io andrei a vedere cosa e come si insegna nelle universita’. Un recente rapporto OECD sulle competenze degli adulti (http://goo.gl/rwdXwa) segnala che un diplomato coreano ha in media piu’ competenze (i.e. ha totalizzato un punteggio superiore nei test standardizzati) di un laureato (medio) italiano. Sara’ solo una casualita’ poi che in Corea il 40% della popolazione 25-64 sia laureata contro il 15% dell’Italia? No, secondo me.

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    Indubbiamente in Italia ci sono meno laureati rispetto agli altri paesi Ocse => http://it.adviseonly.com/blog/politica-societa/si-torna-a-scuola-ma-come-e-messa-questa-importante-istituzione-oggi/#.UtPBNv-A2M8

    Nell’articolo ho segnalato il calo della loro quantità.

    Non alludevo a un aumento della qualità dell’insegnamento universitario, ma degli studenti in termini accademici, notando che è positivo che siano in calo quelli che lasciano gli studi e i laureati fuori corso.

    La qualità dell’insegnamento e la sua coerenza rispetto a quanto richiesto dal mondo del lavoro (mismatch) è un altro discorso.

    Tant’è che l’Italia è uno dei paesi con maggiore mismatch tra le competenze possedute e il loro utilizzo sul lavoro, generando overskilled e underskilled in misura superiore rispetto alla media Ocse => http://www.isfol.it/pubblicazioni/highlights/Isfol-Piaac%202013/contesti-di-lavoro

    I datori di lavoro sembrano esserne consapevoli, viste le loro preferenze molto eterogenee sulle università giudicate migliori (guarda la tabella a p.24 di questo rapporto della Fondazione Giovanni Agnelli) =>

    http://www.fga.it/uploads/media/C._Villosio__I_nuovi_laureati_al_giudizio_dei_direttori_del_personale_-_FGAWP35.pdf

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    Grazie per la risposta e per i link. Esatto mi riferivo proprio allo skill mismatch, che e’ il risultato di squilibri tra domanda e offerta di skills nel mercato del lavoro.

    Sul fatto che questo discorso sia diverso o scollegato da quello che fai tu, non ne sarei poi cosi’ sicuro. La scelta che l’individuo fa di investire in istruzione dipende sia da fattori personali, come passioni/attitudini, sia dal calcolo del potenziale ritorno (economico e non) delle diverse carriere possibili. Un mercato caratterizzato da forte asimmetria informativa e dove scuola e lavoro viaggiano in “universi paralleli”, costringe gli individui a fare scelte poco informate e a farsi carico di molta incertezza, spesso piu’ di quella che sarebbero disposti ad accettare. Che senso ha investire in istruzione se poi non si e’ sicuri che questo possa effetivamente dare un vantaggio in termini di salario o accesso al mercato del lavoro in futuro?

    Se poi ci aggiungi il giustissimo discorso sulla quantita’ di borse di studio che facevi tu, ci rendiamo conto che per tante persone non possono neanche porsela questa domanda, il che e’ ancora piu’ deprimente, se vogliamo.

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    Salve, finalmente trovo qualcun altro che scrive a proposito del fenomeno Università & universitari e di come tutto ciò vada ad impattare sul tessuto economico sociale del Paese. Se Le interessa, sarebbe interessante confrontarsi, in quanto anche io ho approfondito l’argomento, scrivendo un articolo a inizio anno, cercando di analizzare il fenomeno italiano e compararlo con quello americano. Qualora Le interessasse le lascio il link del mio blog: http://www.darkpool.eu e l’articolo lo trova in home page dal titolo “Eyes wide shut”. Buona giornata.

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    Ottimo pezzo Vale. Brava 🙂

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    Domanda e offerta. E’ così che funziona il mercato.
    E siccome si vede tanta gente laureata a spasso ne deduco che ci sono troppi laureati per l’offerta di lavoro. Inutile studiare economia e commercio se servono commesse. Inutile studiare ingegneria se servono operai specializzati.
    I laureati sarebbero pochi per una paese come la Germania, con un tessuto produttivo diverso dal nostro.
    Se non servono laureati, perché ci si dovrebbe iscrivere all’università?
    Per cultura personale?
    Bella la cultura ma non ti fa arrivare a fine mese e non paga le bollette a fine mese.

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    Ma parliamo più che altro della totale mancanza di skill, che l’università italiana ti da.

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