Diciamo la verità, l’Unione Europea non se la passa benissimo. Soprattutto per quanto riguarda gli umori dei suoi cittadini.
A Strasburgo e a Bruxelles per le prossime elezioni del 25 maggio si teme l’affermazione dei partiti euroscettici. Dalle isole britanniche alla Grecia, passando per l’Italia (M5s, Lega Nord e Fratelli d’Italia), molti politici puntano il dito contro l’euro e i costi dell’Europa.
Ma qualcuno ha mai pensato ai costi della non-Europa?
Ci proviamo noi di Advise Only, e non lo facciamo in un giorno a caso: oggi è lo Europe Day, l’anniversario della Dichiarazione Schuman (9 maggio 1950), considerata l’atto di nascita dell’integrazione europea.
Non tutti però cavalcano l’onda dell’euroscetticismo.
Negli ultimi 20-25 anni l’integrazione che abbiamo costruito ha portato molti benefici. Non voglio tornare alle crisi degli anni ’70, ’80 e perfino dei primi anni ’90.
Mario Draghi, presidente della Bce, 8 maggio 2014
Proviamo a concentrarci su questi benefici. Esistono molte analisi elaborate per diversi studi economici, ad esempio la Mappatura del costo della “non-Europa” 2014-2019, pubblicata nel marzo scorso dall’Unità Valore aggiunto europeo, che fa parte del Parlamento europeo.
Ma prima di addentrarci nella mappatura, sciogliamo l’arcano: cosa s’intende per “non-Europa”?
La “non-Europa”
Il concetto è stato introdotto negli anni Ottanta dalle relazioni Albert-Ball e Cecchini del 1983 e del 1988, che quantificarono i vantaggi economici di un mercato europeo comune.
L’idea di base è semplice: l’assenza di un’azione comune a livello europeo comporta una perdita di efficienza per l’economia tout court oppure l’indisponibilità di un bene pubblico collettivo (ossia quel bene prodotto dallo Stato e consumato da una parte della società). Perdita di efficienza e indisponibilità del bene pubblico costituiscono un costo, che può essere misurato in termini di PIL aggiuntivo generato o di risparmi da una migliore allocazione delle risorse pubbliche: è questo il costo della non-Europa. Vediamo a quanto ammonta.
Il costo della non-Europa
Il costo della non-Europa rappresenta i miglioramenti in termini di efficienza che si potrebbero ottenere se alcune, tra le varie richieste avanzate dal Parlamento europeo, fossero realizzate. In altri termini, da questi calcoli scaturisce una stima dei possibili miglioramenti potenziali per l’economia europea (in termini di efficienza).
Abbiamo rappresentato i costi della non-Europa con un’infografica: ogni “mattoncino” uno dei ventiquattro ambiti in cui si può scomporre il vantaggio economico totale per l’economia europea se le varie richieste del Parlamento europeo fossero realizzate.
Cinque ambiti su ventiquattro non presentano stime puntuali sui potenziali vantaggi economici, poiché sono ancora da valutare.
Tutti i dettagli sulla stima del vantaggio economico per ogni ambito sono disponibili nello studio completo.
Secondo Joseph Dunne, autore dello studio europeo, “il vantaggio economico si accumulerebbe anno dopo anno fino a un punto in cui, sulla base di questa stima iniziale, si potrebbero raggiungere circa 800 miliardi di euro all’anno, ovvero circa il 6% del PIL dell’UE (a prezzi correnti)”.
Naturalmente si tratta di stime, che non devono essere prese per oro colato, ma che comunque rendono l’idea dei vantaggi che l’Europa potrebbe portare a Paesi membri tout court.
Investire in base alla vostra idea di Europa
Che siate euroscettici, europeisti convinti o meno sicuri, Advise Only ha il portafoglio che fa per voi:
- Euro OK, per gli ottimisti, fiduciosi in una soluzione relativamente veloce della crisi dell’Eurozona;
- Euro Tsunami, per i pessimisti, con un’opinione diametralmente opposta;
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