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C’era una volta il capitalismo: storia di un tramonto?

Ma ve l’abbiamo già detto quanto ci esalta Quartz? Trattasi di un sito web di approfondimento su vari temi anche economico-finanziari, sempre prodigo di spunti interessantissimi. Uno dei più recenti parla di late capitalism, o tardo capitalismo, o ultimo stadio del capitalismo.

L’abbiamo letto e abbiamo pensato: ma guarda, una splendida palla di provocazione per i nostri lettori e lettrici, chissà cosa ne penseranno oggi che, fra le altre cose, siamo in vista dell’appuntamento elettorale di novembre negli Stati Uniti.

Che cosa c’entra?, vi chiederete voi. Andiamo a scoprirlo senza ulteriori indugi.

 

Cos’è il tardo capitalismo?

Ebbene sì: ci tocca partire da Karl Marx. Che – attenzione – non ha mai utilizzato il termine “tardo capitalismo”, ma ha condiviso la sua visione sulla fase finale del capitalismo nel terzo volume di Das Kapital (pubblicato postumo nel 1894), la sua opera magna. A quel punto, ci ha spiegato, il mercato globale avrà travalicato quello di ogni singolo Paese, concentrando la ricchezza mondiale in poche fortunatissime mani.

A coniare l’espressione “tardo capitalismo” è stato l’economista tedesco Werner Sombart nel 1902, che ha voluto così dare un nome all’ultima fase dell’evoluzione del capitalismo. Tra parentesi: Sombart era anche un antisemita e associava gli ebrei all’ascesa dell’economia globalista. Ma vabbè, lasciamo stare.

Poi c’è stato il momento della notorietà. Il merito di aver reso l’espressione popolare negli anni Settanta del Novecento va all’economista belga Ernest Mandel, che l’ha adoperata per fare riferimento a un periodo storico molto specifico: quello che ha avuto inizio dopo la Seconda Guerra Mondiale e si è concluso negli anni Settanta.

Nel suo libro del 1991 intitolato Postmodernismo: ovvero, la logica culturale del tardo capitalismo, il critico letterario americano Fredric Jameson ha riassunto il pensiero di Mandel sul “network multinazionale” in cui consisterebbe il tardo capitalismo: una situazione in cui lo Stato-nazione cessa di svolgere un ruolo centrale funzionale e formale, nell’ambito di un processo che vede il capitale ampliarsi prodigiosamente ben oltre i suoi confini.

Naturalmente non tutti credono che Marx e/o i suoi discepoli abbiano ragione. “È un momento strano per sostenere che il capitalismo si sia guastato”, ha scritto l’economista Michael R. Strain in un’opinione su Bloomberg, citando i bassi tassi di disoccupazione e affermando che la disuguaglianza di reddito è diminuita dopo la recessione del 2008.

 

 

E allora perché ne stiamo parlando?

Semplicemente perché la percezione di vivere immersi nella fase storica del tardo capitalismo ha un impatto forte sulla visione politica ed economica di non pochi elettori in Paesi sviluppatissimi come gli Stati Uniti d’America, che a novembre saranno chiamati a scegliere il loro 46esimo presidente.

Seguiteci molto attentamente. Vi siete mai chiesti com’è possibile che siano proprio i più giovani – Millennials e Generazione Z – ad apprezzare un candidato presidenziale non certo di primo pelo (classe 1941) come Bernie Sanders, che si definisce un “democratico socialista”?

I coetanei di Sanders, laggiù negli States, conservano una certa granitica avversione per la parola “socialismo”. Ciò non vale per chi è cresciuto nell’era del tardo capitalismo: stando alle rilevazioni di Gallup, Millennial e appartenenti alla Generazione Z dicono di vedere il “socialismo” positivamente, mentre la loro opinione sul “capitalismo” precipita sempre di più.

 

I “nativi delle macerie” e il socialismo

Tutto ciò ha una radice storica anche abbastanza recente: la crisi finanziaria del 2008, che ha sollevato non pochi dubbi sul sistema economico e finanziario attuale. Non molto tempo dopo, si era nel 2011, il movimento “Occupy Wall Street” ha portato a galla la persistente insoddisfazione del “99 per cento” nei confronti di questo sistema.

Secondo un sondaggio YouGov di pochi mesi fa1, condotto tra 2.100 statunitensi di età superiore ai 16 anni, il 70% dei Millennials (orientativamente, i nati tra il 1981 e il 1996) sostiene che voterebbe per un candidato socialista. Percentuale che si posiziona sul 64% tra i giovanissimi della Generazione Z (i nati cioè dopo il 1996).

 

Late capitalism 2 | amCharts

 

Tutto questo pur mantenendo nella metà dei casi una visione non così pessima del capitalismo, che però ha ancora il maggior numero di supporter tra gli anzianotti, vale a dire Boomers (i nati tra il 1946 e il 1964) e Silent (venuti al mondo prima del 1946).

 

Late capitalism 1 | amCharts

 

Insomma, i “nativi delle macerie”, per usare un’immagine molto suggestiva ed efficace di Zerocalcare2, si scoprono non solo democratici, ma anche socialisti. Attenzione: non “socialisti” nel senso della famosa internazionale, ma “socialisti” sullo stile di Paesi come la Danimarca, che molto banalmente garantiscono a tutti l’accesso alle cure e all’istruzione.

Ma ai più maturi, cresciuti non negli anni della grande crisi finanziaria ed economica ma in quelli della Guerra Fredda, la parola “socialista” fa mettere ancora oggi la mano sulla fondina: essa infatti riporta alla mente le inquietanti immagini dall’Unione Sovietica e dalla Cina maoista. Presso queste fasce anagrafiche sembra valere ancora l’equazione “socialismo uguale dittatura” e “capitalismo uguale democrazia”.

 

Il tardo capitalismo come spirito del tempo

Quindi, sostanzialmente, il modo in cui oggi si parla di tardo capitalismo si riferisce non solo all’economia ma anche – e forse soprattutto – allo stato psicologico che accompagna alcune fasce della popolazione in questa travagliata fase storica.

Nell’uso che se ne fa attualmente, il concetto di tardo capitalismo porta l’attenzione sulle tante contraddizioni dell’economia contemporanea, con le sue disuguaglianze, il superpotere delle corporation e la contrazione della classe media, come ha fatto notare Annie Lowrey in un suo contributo comparso nel 2017 su The Atlantic3.

 

E voi cosa ne pensate?

Ok, noi la palla di provocazione ve l’abbiamo lanciata: e voi, carissimi lettori e lettrici, come la pensate? Vi sentite più Boomer o più Millennial? Più “capitalistottimisti” o più “apocalitticapitalisti”?

Attendiamo un vostro eventuale riscontro.

 



1 – 70% of millennials say they’d vote for a socialist, fonte: Axios
2 – ZeroCalcare
3 – Why the Phrase ‘Late Capitalism’ Is Suddenly Everywhere, fonte: The Atlantic

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Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

Ultimi commenti
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    Per quel che può valere la mia opinione, non credo esista un nesso solido tra le vicende del capitalismo e le percezioni dell’elettorato, se non a livello emotivo. La fase attuale cd tardocapitalistica sembrerebbe contraddistinta dalla “caduta tendenziale del saggio di interesse ” di marxiana memoria, sia pure messa in atto -paradossalmente- per salvaguardare il capitalismo stesso. Come dire che la strada dell’inferno è lastricata dalla migliri intenzioni…

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    Posso garantire con relativa sicurezza, che il Capitalismo abbia creato progresso, quindi benessere e sviluppo (sia economico, che scientifico, ecc), migliorato l’istruzione, migliorato la salute, creato terreno fertile per lo sviluppo dei diritti, in tutto il mondo; o perlomeno nei paesi dove ha potuto diffondersi. Spesso si attribuiscono al Capitalismo colpe che non sono sue. Suggersco sia allo staff di AdviseOnly (che stimo profondamente) ed ai loro lettori di seguire Think Tank “Istituto Bruno Leoni” ed i libri della loro casa editrice http://www.brunoleoni.it/ibl-libri/catalogo-libri . Particolarmente utile per quest’argomento penso sia questo libro: http://www.brunoleoni.it/progresso.

    Cordiali saluti
    Lapa

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    Più che di capitalismo, libero mercato e socialismo anche in USA i Millennial, GenX e Boomer dovranno fare i conti con le promesse politiche ” a babbo morto” e il meccanismo statale americano che non sembra aver nulla da invidiare ad altri sistemi socialisti di vecchia data… quantomeno se uno ascolta lo speach di Raoul Pal che ben riassume la situazione in cui anche US si è imbucata: “The Coming Retirement Crisis Part II”
    Fonte: https://www.realvision.com/shows/the-expert-view/videos/the-coming-retirement-crisis-part-ii

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    Gentile Maria, ideologia, visioni del mondo e della storia, il ruolo dello Stato e del mercato, il rapporto tra politica ed economia ovvero la questione del governo dell’economia e della finanza, chi più ne ha più ne metta …
    Tutto ciò è fuorviante poiché centrale è il ruolo della MONETA (che va tenuta distinta dal concetto di DENARO).
    Cordialità. Carlo Ghiringhelli da Gallarate

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