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Elezioni: l’Austria va a destra?

In Austria hanno vinto i popolari di Kurz e adesso appare possibile un’alleanza con il partito di estrema destra. Quali conseguenze potrebbe avere sull’UE?


Questo post porta la firma di ISPI: l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, il punto di riferimento italiano ed internazionale per le ricerche in tema di politica ed economia internazionale.


I dati parziali sul voto in Austria sembrano confermare le previsioni della vigilia: i popolari (ÖVP) tornano dopo 15 anni primo partito del paese, mentre dietro di loro socialdemocratici (SPÖ) ed estrema destra (FPÖ) si contendono il secondo posto. La grande coalizione tra popolari e socialdemocratici è affaticata da 11 anni di governo: appare dunque possibile un’alleanza tra popolari ed estrema destra.

Con questo Focus, ISPI intende fare chiarezza su alcune importanti questioni. Come si è arrivati ai risultati di oggi? Quanto ha contato l’ascesa del giovane leader dell’ÖVP, Sebastian Kurz? E quali conseguenze potrebbe avere la virata a destra di Vienna sugli equilibri politici in Europa?

Grande coalizione: una possibilità remota

Dal 1945 i due partiti moderati “tradizionali” (popolari e socialdemocratici) si sono alleati in grandi coalizioni in 13 governi su 21, ovvero per 45 anni su 72. E proprio in una grande coalizione i due partiti hanno governato dal 2006 a oggi.

Tuttavia, a partire dalla metà degli anni Ottanta il consenso di cui godevano popolari e socialdemocratici è calato drasticamente: se nel 1983 i due partiti insieme riuscivano ancora a garantirsi più del 93% dei seggi a disposizione al Consiglio nazionale, nel 2013 la loro quota si era ridotta al 54% (vedi grafico). Il sistema elettorale austriaco, un proporzionale puro con soglia di sbarramento al 4%, non è efficace nel contenere la crescita delle alternative radicali, classicamente rappresentate dall’estrema destra del Partito della Libertà (FPÖ) e dal suo leader Jörg Haider.

La grande coalizione del 2006 era inoltre nata più per assenza di alternative che per un’effettiva convergenza tra gli interessi dei due partiti, che negli ultimi anni si sono accusati reciprocamente di clientelismo e corruzione. È dunque poco probabile che, nonostante i numeri, socialdemocratici e popolari tornino a governare insieme. Più probabile invece una convergenza a destra tra l’ÖVP, che negli ultimi tempi ha inasprito il proprio messaggio, e FPÖ, che invece pare averlo moderato.

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FPÖ al governo: quali i precedenti?

Il Partito della Libertà, fondato nel 1956 come successore della Federazione degli Indipendenti (che raccoglieva ex nazisti e nazionalisti), nel corso dei decenni ha vissuto diverse trasformazioni. Inoltre, in due fasi distinte ha già partecipato a esperienze di governo.

Tra il 1983 e il 1986 il partito, dopo una netta revisione del programma in senso più liberale, partecipò a un governo di coalizione con i socialdemocratici. La legislatura fu tuttavia interrotta dall’elezione alla guida del FPÖ di Jörg Haider, considerato “impresentabile” in quanto espressione dell’ala intransigente.

Tornato all’opposizione, Haider riuscì a far decollare il partito, portandolo a un risultato storico alle elezioni del 1999. Quell’anno il FPÖ superò per poche migliaia di voti il partito popolare, e nelle trattative successive emerse un governo di coalizione tra ÖVP e FPÖ. I membri dell’Unione europea condannarono fermamente l’accesso all’esecutivo da parte di un partito filonazista. Sotto la spinta della Commissione Prodi, nel febbraio 2000 i restanti 14 membri UE imposero sanzioni bilaterali contro l’Austria: congelamento delle relazioni diplomatiche e non-sostegno di Vienna all’interno delle istituzioni internazionali. Le sanzioni furono sollevate a settembre, quando divenne chiaro che la partecipazione di forze di estrema destra al governo austriaco non avrebbe avuto serie ripercussioni sullo stato di diritto.

Oggi il FPÖ non è più l’unicum che poteva essere nel 1999: ha posizioni simili a diversi movimenti nazionalisti che già governano nell’Europa centro-orientale, primi tra tutti il partito Fidesz di Viktor Orbán, al governo dell’Ungheria dal 2010, e Diritto e Giustizia di Beata Szydło e Jarosław Kaczyński, che guidano la Polonia dal 2015.

Sebastian Kurz: il Macron austriaco?

L’ascesa nel maggio scorso del giovane leader Sebastian Kurz alla testa dell’ÖVP ha riportato il partito in vetta ai sondaggi. Grazie a Kurz i popolari, che solo poco prima si avviavano verso il peggior risultato della loro storia (le proiezioni gli attribuivano circa il 20% dei seggi), sono tornati primo partito nel paese dopo 15 anni.

Kurz, nominato Ministro degli Esteri nel 2013 a soli 27 anni, è stato spesso paragonato a Emmanuel Macron. E in effetti la sua parabola politica ha più di un punto di contatto con quella dell’attuale presidente francese. Entrambi sono giovani: Kurz ha 31 anni, Macron 39. Entrambi hanno potuto approfittare della crisi di un partito moderato tradizionale. Entrambi, infine, hanno tentato di dare un volto moderno e personale alla campagna elettorale.

Le similitudini, però, finiscono qui. Innanzitutto, mentre Macron si è sganciato dal Partito socialista per lanciare un proprio movimento, En marche!, che ha poi condotto alla creazione di un nuovo partito, Sebastian Kurz ha rietichettato i popolari in “lista Kurz – il nuovo ÖVP”, ma ha conservato apparati e legami del “vecchio” partito. Anche per questo sono in molti a chiedersi se Kurz sarà davvero capace di accentrare la gestione del partito o se cederà alle pressioni della vecchia guardia.

Una differenza ancora più importante riguarda inoltre il programma: mentre Macron ha scelto di fare una campagna europeista e antipopulista, andando controcorrente al sentire comune, Kurz ha deciso di assecondare paure e insicurezze degli austriaci, avvicinandosi alla destra.

Migranti e sicurezza: Vienna sempre più vicina a Visegrád

Le continue tensioni con l’Italia, sfociate in agosto nello schieramento di un piccolo contingente di soldati al Brennero, danno la misura di quanto la politica austriaca sia diventata oggi sensibile alle tematiche migratorie.

Dalla seconda metà del 2015, in effetti, l’Austria è stata uno dei paesi europei maggiormente interessati dai flussi di migranti che percorrevano la rotta balcanica. Negli ultimi due anni Vienna ha registrato quasi 150.000 richieste d’asilo, un numero equivalente all’1,7% della popolazione del paese, e ha dato effettiva protezione a quasi 80.000 persone. Inoltre, centinaia di migliaia di persone sono transitate lungo il suo territorio nel tentativo di raggiungere Germania, Svezia e altri paesi europei.

La percezione di una “invasione” di stranieri è stata cavalcata dal FPÖ, che ha accusato i partiti di governo di lassismo e sudditanza nei confronti dell’Europa. Una parabola simile a quella di Alternative für Deutschland in Germania, che ha permesso ai due partiti di guadagnare consensi (vedi grafico). L’ascesa di FPÖ ha spinto i partiti della grande coalizione al governo, inizialmente favorevoli ad aiutare Italia e Grecia nei ricollocamenti d’emergenza di richiedenti asilo, ad adottare politiche securitarie.

A fronte di un impegno iniziale a ricollocare in Austria circa 2.000 richiedenti asilo, a oggi solo 15 sono stati effettivamente trasferiti nel paese dalla Grecia, e nessuno dall’Italia. Negli ultimi due anni, inoltre, Vienna ha stabilito una quota massima annuale all’accoglienza di richiedenti asilo, proposto l’adozione del “modello australiano” (famoso per la sua durezza) per contrastare le migrazioni irregolari, e imposto il divieto di indossare il velo integrale. Tutte politiche più vicine ai paesi del gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) che alla linea più morbida della Germania di Angela Merkel.

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Economia: una crisi solo percepita

La crisi migratoria è stata vissuta come una minaccia anche a causa del rallentamento dell’economia austriaca, che ha reso l’opinione pubblica meno sicura della stabilità dimostrata negli anni da Vienna. Vista dall’esterno, in realtà, l’Austria appare ancora come uno dei paesi “virtuosi” dell’Unione europea e dell’Eurozona. Nonostante la crisi il debito pubblico è salito solo in maniera contenuta (dal 65% al 86% del PIL) ed è oggi sceso già di cinque punti dai massimi del 2015, mentre il tasso di disoccupazione resta a un invidiabile 5,9%.

Gli austriaci patiscono tuttavia da sempre il confronto con i loro “fratelli maggiori” tedeschi. Se fino al 2005-2006 la Germania era considerata il “malato d’Europa”, dopo la crisi finanziaria del 2009 il paese ha invertito la rotta e oggi può essere considerato in piena occupazione. In Austria, il tasso di crescita economica si è invece quasi dimezzato, mentre la disoccupazione è cresciuta fino a superare quella tedesca: un sorpasso solo simbolico se confrontato con l’alta disoccupazione dell’Eurozona, ma comunque sufficiente a ingenerare timori nella popolazione (vedi grafico). Timori tanto diffusi che oggi i cittadini che considerano la globalizzazione un fenomeno negativo sono il 55%: il valore più alto in Europa, superiore persino a quello dei francesi, tradizionalmente ostili a un mondo sempre più globale.

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