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Gli ETF non sono la prossima crisi finanziaria

La prossima crisi finanziaria non sarà innescata dagli ETF.

Scusate, ma devo fare qualche puntualizzazione sugli ETF. Perché in questi giorni, su vari media che si occupano di finanza, si è puntato il dito contro di loro, definendoli pericolosi, e identificandoli come il probabile innesco della prossima crisi finanziaria.

Particolare attenzione hanno avuto le dichiarazioni di Corrado Passera, ex a.d. di Intesa e fondatore di Spaxs, che ha definito gli ETF “prodotti complessi”, portatori di rischio sistemico, e che potrebbero scatenare appunto, il prossimo crash dei mercati. Opinioni analoghe sono giunte recentemente dall’amministratore delegato di Deutsche Bank, Christian Sewing e da un analista di JP Morgan, Marko Kolanovic. Qualcuno ha intitolato che gli ETF sono “i nuovi mutui subprime”. È il piccolo trend demenziale del momento. E visto che di cattiva informazione e disinformazione in Italia ce n’è fin troppa, vorrei fornire il mio contributo costruttivo su questo terreno di gioco. Un po’ di chiarezza, insomma.

 

Per nulla complessi

Per Passera gli ETF sono “prodotti complessi” dicevamo.

No.

Gli ETF non sono prodotti complessi: i prodotti complessi sono definiti precisamente dalla normativa e dai regulator. Eggià, la European Securities and Markets Authority (ESMA), cioè organismo dell’Unione Europea che ha il compito di sorvegliare il mercato finanziario europeo, definisce precisamente, e non a capocchia, la nozione di prodotto complesso1.

Come tipici esempi di prodotti complessi l’ESMA riporta: contracts for difference (CFD), opzioni binarie, bond convertibili e perpetui, obbligazioni subordinate, warrant, certificati, derivati, titoli strutturati in generale e altri mostriciattoli. Secondo i criteri ESMA che definiscono uno strumento complesso, ETF e fondi comuni non sono mai complessi, a meno che non siano a leva, oppure che, per complessità, non-linearità e opacità, la strategia sottostante sia paragonabile a quella di un hedge fund altamente speculativo. Fatto raro, sia per i fondi che per gli ETF.

Gli strumenti complessi, va da sé, sono spesso assai rischiosi, oppure hanno rischi non facilmente comprensibili dai risparmiatori, il che automaticamente li rende pericolosi.

Va invece riaffermato chiaramente che gli ETF, con i fondi comuni e i prodotti assimilabili, offrono un’enorme tutela giuridica e finanziaria al risparmiatore: non danno luogo a un rapporto di credito (cioè i quattrini restano di vostra proprietà), si possono acquistare e vendere giornalmente, hanno elevatissimi obblighi di trasparenza e sono oggetto di una regolamentazione e una sorveglianza molto stringente da parte delle autorità di controllo del mercato.

 

Entra il rischio sistemico

Se vogliamo parlare del rischio sistemico che dovrebbe secondo alcuni essere il compagno di merende degli ETF, dobbiamo parlare di sistemi complessi. Perché il mercato finanziario è un sistema complesso. Ciò vuol dire che si comporta come un sistema, cioè ha macro-dinamiche, che creano rischi globali, capaci di colpire l’intero sistema. La ragione è insita in alcune caratteristiche rilevanti; vediamole brevemente.

Interconnessione elevata – Gli agenti del sistema finanziario (che non sono membri della Spectre, come crede qualche parlamentare italiano), bensì banche, fondi comuni, fondi pensione, banche centrali, imprese, risparmiatori normalissimi, legati da rapporti di credito/debito, o compratore/venditore, oppure da altri contratti e relazioni. È una rete. Globale. Ed è sempre più fitta. E vasta. Con le informazioni che viaggiano sostanzialmente alla velocità della luce.

Feedback – Ciò che accade in una parte del sistema finanziario influisce sul tutto: ad esempio, un sell-off sui BTP influenza le decisioni di altri operatori (spesso assunte da algoritmi), scatenando magari vendite di altri bond europei. I feedback, velocissimi, possono auto-rinforzarsi, amplificando il fenomeno: vendita scatena vendita…

Memoria – Un evento passato può influenzare il presente e il futuro: la chiusura della Borsa di Tokyo può riflettersi sull’apertura delle Borse europee, che poi si riverbera su quella USA. Oppure, l’andamento dei mercati influenza i media, che a loro volta successivamente influenzano i mercati, avendo portato ad un cambiamento d’opinione degli operatori.

Adattamento – Gli agenti s’adeguano alle condizioni, imparano e s’adattano: per esempio, al muoversi delle quotazioni cambiano i portafogli. Dunque il sistema finanziario evolve in modo apparentemente autonomo e imprevedibile, come un organismo vivo. Pensateci: quante volte si parla di “umore del mercato”?

Transizioni di fase non-lineari – Insorgono spontaneamente fenomeni estremi, violenti, che colgono di sorpresa gli operatori; pensate ai crash di Borsa o le temute corse allo sportello. Se un massiccio numero di operatori effettua azioni simili, si passa dalla normalità a condizioni estreme in breve tempo. Guardate nel grafico seguente la volatilità della Borsa USA dal 1900 ad oggi: l’alternarsi di questi momenti è evidente. Sono vere e proprie transizioni di fase, come quando una sostanza passa dallo stato liquido a quello gassoso. Reazione simili possono essere innescate anche da pochi soggetti: come in un teatro stracolmo un applauso scrosciante può nascere da quello di un singolo spettatore, così in Borsa un sell-off può partire da singole operazioni di vendita. Bastano le condizioni giuste.

 

 

Tirando le somme, un sistema complesso è pressoché impossibile da prevedere e da controllare nel breve termine (ciò, fra l’altro, esclude qualsiasi demenziale teoria del “grande complotto” dei mercati, oggetto di regolari farneticazioni di massa).

 

La prossima crisi

L’arte divinatoria non tramonta mai e gli auruspici sono sempre tra noi: c’è in effetti abbondanza di previsori di crisi finanziarie e recessioni. Con scarso successo, in realtà, come ammette post-mortem la stessa OECD in relazione alle sue previsioni2 e come abbiamo spesso segnalato su questo blog.

A dispetto di ciò, dalla variopinta schiera di economisti, strategist, analisti, portfolio manager regolarmente si erige qualche nuovo aruspice che annuncia al mondo con fiera convinzione quando avverrà la prossima crisi. Ma ora vi dico una cosa controintuitiva: nonostante la conclamata bassa capacità predittiva in materia (per non dire totale miopia), la probabilità che almeno uno di questi personaggi ci becchi per puro caso (per puro caso, ripeto) è praticamente pari al 100%, si veda il grafico – vi spiego da dove salta fuori questa stima in nota3.

 

 

Ciò detto, e spero di avervi convinto, veniamo ad uno dei freschi aruspici del terzo millennio, ossia Marko Kolanovic di JP Morgan, il quale asserisce che la prossima crisi avverrà, puf!, nel 2020, quando secondo lui questo lungo bull market potrà finalmente concludersi. La sua previsione, spero sia chiaro, vale quel che vale, nonostante il marchio prestigioso di JP Morgan. Interessante, però, l’analisi, che identifica lucidamente i fattori che potrebbero innescare la crisi:

  • l’ampia porzione di trading algoritmico, ormai responsabile del grosso dei volumi di mercato in una giornata media, con la pericolosa tendenza alla prociclicità, cioè a vendere in condizioni di debolezza del mercato, accentuando il ribasso;
  • valutazioni (ovvero rapporti di tipo: prezzo/fondamentali) sempre più elevate per un vasto numero di asset class;
  • tassi d’interesse ancora bassi e quindi scarso spazio di movimento per le banche centrali;
  • l’avvento dei populismi, del protezionismo e la guerra dei dazi;
  • la crescita delle gestioni passive (gli ETF) a discapito di quelle attive; ciò significa che sono sempre meno gli investitori Value che comprano i titoli durante le fasi di panico del marcato, contrastando così il crollo dei valori con un comportamento Contrarian.

Tutto ragionevole, e personalmente condivisibile, anche se non particolarmente originale.

Ma concentriamoci sugli ETF.

Dalle osservazioni precedenti è difficile dire che essi siano i subprime del 2018. Pensateci: se ci fosse una crisi, e i valori mobiliari scendessero in modo generalizzato, e i detentori degli ETF non vendessero, l’effetto netto sul mercato dovuto agli ETF sarebbe zero: non venderebbero né comprerebbero (a parte i normali ribilianciamenti degli indici).

Se invece vendessero, l’effetto sarebbe lo stesso che avrebbero le vendite sui fondi attivi: aumenterebbero l’offerta di titoli a fronte di una domanda scarsa, facendo quindi scendere i prezzi. In tal caso, sia per gli ETF che per i fondi che investono sugli asset più illiquidi (ad esempio le obbligazioni High Yield), nelle giornate peggiori potrebbe essere temporaneamente difficile vendere (peraltro una pessima idea). Come, peraltro, già successe nel 2008 (su pochissimi ETF), quando il problema si risolse in poche ore. Nei casi peggiori, sugli asset illiquidi, il panico potrebbe indurre i sottoscrittori a vendere in massa, e l’illiquidità del mercato potrebbe fare crollare i valori oltre misure. ma, ripeto, questo vale sia per i fondi attivi che per quelli passivi. Pensare che i gestori Value-Contrarian salvino il mercato è un po’ come essere derubati e aspettare poi l’intervento di Batman (anche perché una vasta porzione dei fondi definiti attivi in realtà è difficilmente distinguibile dai fondi passivi). Non sarebbe un bello scenario. Ma attenzione, non è che per questo gli ETF siano particolarmente pericolosi: è la struttura del mercato ad essere pericolosa, perché è un sistema complesso.

Sulla relativamente scarsa pericolosità sistemica degli ETF credo che più di tutto valga il parere della BCE4, che cito testualmente:

“Nel complesso, a dispetto della sua rapida crescita, il settore degli ETF rimane relativamente piccolo, e l’incremento di rischio sistemico legato agli ETF rispetto a quello già esistente, legato ai fondi, è limitato.”

 

La cosa più preoccupante è invece la velocità di vendita legata al trading algoritmico, e la rapidità di diffusione delle informazioni, con il conseguente feedback perverso che s’ingenera in quel sistema complesso noto come mercato finanziario. Ma questo con ogni probabilità significa anche elevata velocità di recupero. Inoltre, non dimentichiamoci che, dalla crisi Lehman, legislatori e regulator hanno imparato qualche lezione: negli ultimi dieci anni la regolamentazione e la supervisione del mercato finanziario hanno reso più solido il sistema.

 

Segnatevi questi 3 punti

  1. Gli ETF, salvo rarissime eccezioni, non sono strumenti complessi, checché ne dica Passera. E non sono manco lontanamente paragonabili ai mutui subprime e ai derivati costruiti intorno ad essi, motori della crisi del 2008. Sono strumenti che offrono un’enorme tutela al risparmiatore. Molto più di tanti altri strumenti spesso venduti ai risparmiatori, come certificati, obbligazioni bancarie subordinate, warrant, CFD e strutturati vari.
  2. Rassegnatevi, le crisi si dividono in due categorie: quelle già accadute e quelle che devono ancora accadere. I bull market non durano infatti all’infinito e di solito finiscono con un capitombolo. Non è necessario il modello econometrico di JP Morgan per capirlo e non bisogna avere troppa paura: storicamente i mercati hanno sempre recuperato, riprendendo a crescere in modo (letteralmente) esponenziale; non ci sono validi motivi per pensare che non debba essere così in futuro. E occhio ai presunti fenomeni che spargono previsioni puntuali sulle crisi: qualcuno ci azzeccherà, si, ma casualmente.
  3. La prossima crisi sarà probabilmente rapida e violenta per una combinazione di caratteristiche del mercato finanziario, tipico sistema complesso che si muove come un mamba nero. Tuttavia, benché gli ETF (e pure i fondi attivi, sottolineo) su attivi illiquidi come i corporate bond possano esacerbare momenti di panico, difficilmente l’innesco e l’epicentro saranno gli ETF.

 



1 – MiFID practices for firms selling complex products, fonte: European Securities and Market Authority (ESMA)
2 – OECD Forecasts during and after the Financial Crisis: a post mortem, fonte: OECD Economics Department
3 – Ipotizzo che 500 persone al mondo (in realtà ho fatto i conti con numeri variabili da 500 a 3000 persone) abbiano la visibilità mediatica necessaria ad essere ripresi dai mezzi di comunicazione finanziaria più rilevanti, e che ciascuno di essi faccia una previsione esatta del mese e dell’anno nel quale accadrà la crisi del prossimo quinquennio. In realtà questi signori non hanno alcuna vera capacità previsiva, anche se pensano di averla, e nei fatti sparano un anno e un mese a caso. Random. Però, ipotizzando che la crisi in cinque anni avvenga davvero, con l’aiuto di briciole di teoria della probabilità si può calcolare il numero di moderni aruspici che ci azzeccano: segue una distribuzione binomiale di parametri N = 500, p = 1/60 (perché 60? 5 anni x 12 mesi = 60 periodi). Si ottiene che la probabilità che almeno un tizio privo di capacità previsive ci azzecchi è 99,9%. Quindi c’è la pratica certezza che almeno un tizio privo di capacità previsive ci azzecchi. La sostanza non varia anche se si accorcia o si allunga il periodo, o si ipotizza un diverso (ma ragionevole) numero di possibili influencer.
4 – Financial Stability Review, fonte: European Central Bank

 

Scritto da

Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

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