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I PIR cambiano ancora. E diventano alternativi

L’atteso decreto rilancio, varato a maggio dal governo per supportare le imprese italiane colpite dalle conseguenze economiche dell’epidemia di Covid-19, contiene interessanti novità anche per gli investitori. Sì perché, accogliendo i suggerimenti avanzati da Assogestioni, il decreto dà il via libera a quelli che sono già stati ribattezzati i “PIR alternativi”, che consentiranno di convogliare maggiori risorse a sostegno dell’economia reale, investendo in aziende non quotate e strumenti di debito o credito per le piccole e medie imprese italiane o europee. Garantendo come sempre all’investitore il vantaggio fiscale che caratterizza questi strumenti.

I nuovi PIR si propongono come complementari e non sostitutivi rispetto ai PIR tradizionali, già interessati nella loro breve vita da fin troppe modifiche normative. La loro disciplina – che si inserisce e si basa su quella generale prevista per i PIR originari (quella del 2017 per intenderci) – prevede infatti che un investitore possa sottoscrivere, oltre ai PIR attuali (con le relative agevolazioni), anche un nuovo PIR, ottenendo l’esenzione dalla tassazione sui redditi da capitale o redditi diversi che derivano dall’investimento, nonché dalle imposte di successione.

 

Ma come funzionano i nuovi piani individuali di risparmio?

Come i PIR tradizionali, anche i PIR alternativi devono investire almeno il 70% del valore complessivo degli attivi in strumenti finanziari, anche non quotati, emessi da imprese italiane residenti nel territorio nazionale o in Stati membri dell’UE o dello Spazio Economico Europeo.
Ma a differenza dei loro “cugini” – che di questo 70% devono investire almeno il 25% in imprese diverse da quelle del Ftse MIB e almeno il 5% in imprese diverse da quelle presenti nel Ftse MIB e nel Ftse Mid Cap – i PIR alternativi devono investire l’intero 70% in imprese diverse da quelle inserite negli indici Ftse MIB e Ftse MID Cap (o in indici equivalenti). Possono inoltre investire in prestiti erogati a queste imprese o in crediti delle stesse. Tra gli investimenti qualificati quindi, sono incluse anche fonti di finanziamento alternative al canale bancario, come concessione di prestiti e acquisizione dei crediti delle imprese.

L’intento, in parole semplici, è quello di convogliare risorse più massicce verso le imprese più piccole del nostro Paese – quelle verosimilmente più colpite dalla crisi legata alla pandemia.
 

Normativa 2016-2017 Normativa 2018-2019 Normativa 2020 PIR alternativi
Almeno il 70% del valore complessivo degli attivi va investito in strumenti finanziari, anche non quotati, emessi da imprese italiane residenti nel territorio nazionale o in Stati membri dell’UE o dello Spazio Economico Europeo, purchè dotati di stabile organizzazione nel nostro Paese idem idem idem
Di questo 70%, almeno il 30% va investito in strumenti finanziari emessi da aziende diverse da quelle del Ftse MIB o di indici equivalenti di mercati regolamentati esteri Di questo 70%, almeno il 5% va investito in strumenti finanziari, ammessi alle negoziazioni sui sistemi multilaterali di negoziazione, emessi da PMI ammissibili; un altro 5% almeno va investito in quote o azioni di fondi per il Venutre Capital, o di fondi di fondi per il Venture Capital Di questo 70%, almeno il 25% va investito in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nel Ftse MIB o in indice equivalenti di altri mercati regolamentati; un ulteriore 5% deve essere investito in strumenti finanziari di imprese diverseda quelle del Ftse MIB e del Ftse MID Capo (o indici equivalenti) Il 100% di questo 70% va investito in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite negli indici Ftse MIB e Ftse MID Cap (o indici equivalenti), in prestiti erogati alle predette imprese nonchè in crediti delle medesime imprese

 

Un investimento che strizza l’occhio alla clientela affluent

Non finisce qui. Se con i PIR tradizionali non è possibile investire più di 30mila euro all’anno o più 150mila euro in totale su diversi anni, i PIR alternativi alzano considerevolmente la soglia dell’investimento, portando il massimo annuo a 150mila euro e il massimo complessivo a 1,5 milioni di euro.

Non a caso, questi nuovi strumenti sono pensati per una fascia di clientela “affluent” o private, con patrimoni più consistenti e “pazienti”, in grado di impattare anche il segmento degli asset illiquidi.

Le disposizioni prevedono inoltre un vincolo di concentrazione degli investimenti pari al 20%, contro il 10% dei PIR tradizionali, mentre resta immutato l’orizzonte temporale minimo: gli investitori, se vogliono ottenere il vantaggio fiscale promesso, devono mantenere l’investimento per almeno 5 anni.

Infine, gli investimenti in questi nuovi strumenti possono essere effettuati tramite una vasta gamma di prodotti: non solo OICR aperti e contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, ma anche tramite fondi di investimento alternativi, come per esempio Eltif, fondi di private equity, fondi di private debt e fondi di credito.
 

 

Parliamo di rischi

Quanto ai rischi per il risparmiatore, restano valide le considerazioni che abbiamo riportato più volte parlando dei PIR, che nel caso dei PIR alternativi risultano decisamente accentuate.

Le ripetiamo, per completezza:

  • I nuovi PIR sono, per definizione, un concentrato di rischio Italia, in un momento in cui l’Italia tra l’altro non se la passa benissimo (ma non se la passa particolarmente bene nessun Paese europeo, va detto).
  • Presentano un elevato rischio di liquidità, per via dei titoli – ben il 70% – che non sono presenti né nel Ftse MIB né nel Ftse Mid Cap.
  • C’è poi un rischio legato alle azioni emesse dalle società a piccola capitalizzazione, generalmente più volatili;
  • E un rischio specifico legato alle singole aziende, visto anche l’innalzamento dei limiti di concentrazione;
  • Infine, esiste un rischio legato alla composizione stessa del singolo PIR (ce ne saranno alcuni più orientati all’azionario, altri più all’obbligazionario, con differenti prospettive in termini di rischio e redditività).

È dunque importante essere ben consapevoli della natura dell’investimento e del fatto che i PIR alternativi siano più adatti a investitori con un patrimonio molto consistente. In ogni caso, l’investimento in PIR andrebbe fatto con il giusto dosaggio, in linea con il proprio profilo di rischio, con l’orizzonte d’investimento (che qui deve superare i cinque anni) e con una buona diversificazione di portafoglio.
 



1 – Alla (ri)scoperta dei Piani di Risparmio a lungo termine
2 – PIR, cronache da un mercato finito nel congelatore
3 – La legge di bilancio 2019, la legge delle conseguenze indesiderate e i PIR

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