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L’esercito europeo degli inattivi

tasso di disoccupazione e lavoratori inattivi in Europa

La disoccupazione è in calo un po’ ovunque, è vero. Ma se vi dicessimo che il tasso di disoccupazione non è sufficiente a raccontare come sta il mercato del lavoro europeo?


Le situazioni complesse non si possono (quasi) mai spiegare con un singolo dato. Ed i fenomeni sociali legati al mercato del lavoro sono situazioni decisamente complesse.

Con un errore comunissimo tra i giornalisti e i commentatori, il successo dell’Eurozona dell’ultimo anno viene spesso sintetizzato con il calo del tasso di disoccupazione che, dopo aver raggiunto il massimo storico del 12,1% nel marzo 2013, si sta pian piano riportando sui livelli pre-crisi.

Tasso di disoccupazione vs tasso di inattività

Il tasso di disoccupazione mette a confronto il numero di disoccupati con la forza lavoro, ovvero con quella parte di popolazione (occupati o disoccupati) che partecipa attivamente al mercato del lavoro. In un’economia che funziona, superata la fase di apprendimento che coincide con la formazione (scuole superiori, università o apprendistato), si dovrebbe entrare attivamente nel mercato del lavoro e con un po’ di fortuna si dovrebbe riuscire a trovare un lavoro in linea con le proprie competenze.

La verità, però, è che il tasso di disoccupazione, da solo, non è in grado fornirci un quadro esaustivo dello stato di salute del mercato del lavoro. Per avere uno sguardo d’insieme è necessario considerare anche il tasso di popolazione inattiva. Per farlo giunge in nostro aiuto l’Eurostat, che ieri ha pubblicato i dati sulla popolazione inattiva, dove l’Italia spicca tra i Paesi europei con la più alta percentuale di popolazione inattiva rispetto alla popolazione in età lavorativa (con un età compresa tra i 15-64 anni).

Secondo la definizione dell’organizzazione Internazionale del Lavoro ILO, gli inattivi sono tutti coloro che per qualche ragione non fanno parte della forza lavoro attiva, o perché non cercano lavoro o perché non sono nelle condizioni per poter lavorare. Quindi:

  • Chi sta studiando o frequenta un corso di formazione;
  • Chi è in pensione;
  • Chi non può lavorare perché è in condizione di inabilità o grave malattia;
  • Chi pensa non ci siano lavori per lui (i cosiddetti “scoraggiati”);
  • Chi deve assistere i figli oppure un adulto che “incapace di lavorare”.

L’esercito degli inattivi

Se ci concentriamo sul numero assoluto di inattivi, in Europa ci sono circa 89 milioni di persone in questa condizione. Di questi 89 milioni circa il 35% studia o è inserito in un percorso di formazione, il 15,6% è in pensione, un altro 15,6% è affetto da disabilità o si trova in una condizione di grave malattia; il restante 33% circa è ripartito tra chi segue gli affetti famigliari (anziani, bambini), gli scoraggiati o alte cause.

Più dell’85% di questi inattivi si concentrano in 6 Paesi Europei, dove l’Italia è al secondo posto con più di 13 milioni di persone. In particolare, l’Italia primeggia in due categorie particolari: quella relativa a chi dice che non c’è lavoro e perciò non lo cerca (i cosiddetti “scoraggiati”) e nella categoria “altro”.

Con tutta onestà, non sono riuscito a risalire ad una descrizione convincente della categoria altro, ma in base alle definizioni che ho travato su Eurostat e Istat all’interno di questa categoria dovrebbero rientrare coloro che cercano lavoro ma non sono subito disponibili oppure chi è in attesa di ricevere una risposta dal potenziale datore di lavoro.

“Qualcuno salvi gli inattivi”

Il punto è che in Italia (e in Europa) c’è un potenziale di forza lavoro spaventoso che il tasso di disoccupazione non considera, e di cui non possiamo fare a meno, dal momento che la demografia non rema a nostro favore. Fino ad ora l’Italia ha beneficiato di una congiuntura economica globale favorevole, di un basso euro, di una banca centrale che ha contenuto il costo del debito, ma prima o poi il vento girerà e non per fare il menagramo ma di crescere ne abbiamo ardentemente bisogno.


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Scritto da

Segue tematiche economiche e finanziarie per il team financial strategies group di Advise Only. Dopo aver conseguito una doppia laurea in Management all’Università di Torino e all’ESCP Europe, ha deciso di proseguire i suoi studi con un master in Economia Internazionale a Paris Dauphine. Dopo 4 anni di vita parigina ed esperienze lavorative come economista e strategist, sbarca in Advise Only con l’obiettivo di sviluppare la parte di analisi economica e congiunturale.

Ultimi commenti
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    Non hai provato a rapportare in alcuna maniera il tasso di inattività al tasso di disoccupazione per mostrare quale sia il tasso di disoccupazione effettivo.

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    Da noi il ruolo della casalinga è istituzionale, considerato culturalmente positivo e assai diffuso. Non so dove sia classificato, forse nell’Altro degli Inattivi. Questo spiegherebbe l’alta percentuale di inattivi. In realtà, come tutti sappiamo, le casalinghe son molto attive, lavoratrici senza ferie emalattie, tengono assieme le famiglie.

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      Non producono reddito. Salvano sulle spese di baby sitters e signore delle pulizie. Altrimenti dovremmo dire che anche i nonni sono un pilastro per l’accudimento dei nipoti.

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    In Italia ci sono 18 milioni di pensioni.
    Nel grafico, barra nera, vengono menzionati 1.8 milioni di pensionati tra gli inattivi…

    Mancano all’appello 16 milioni di pensionati.
    Siccome gli inattivi sono considerati tali fino a 74 anni (fonte Eurostat) significherebbe che abbiamo 16 milioni di pensionati oltre i 74 anni.
    Il che é impossibile, perché saremmo un popolo di moribondi.

    qualcosa non torna…probabilmente é la modalitá di conteggio dei pensionati tra gli inattivi fino a 74 anni.

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