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Gli scenari probabilistici, ciò che Consob e banche non ci dicono

Torna ad accendersi il dibattito sulla (scarsa) tutela dei risparmiatori in occasione del salvataggio di CariFerrara, Banca Marche, Popolare dell’Etruria e CariChieti.

E le critiche all’operato della Consob inziano a diventare pressanti, con le associazioni dei consumatori che puntano il dito contro il presidente della Commissione, Giuseppe Vegas, alle quali si aggiungono quelle del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, che parla di “gravi errori” nel vigilare sulla vendita di obbligazioni bancarie rischiose (ma poi, quali sarebbero quelle “non rischiose”?).

A riportare la questione sotto i riflettori è stata una recente puntata di Report, in cui la conduttrice Milena Gabanelli ha mostrato una lettera secondo cui Vegas avrebbe fatto eliminare gli “scenari probabilistici” nei prospetti informativi delle obbligazioni bancarie.

Naturalmente la replica di Vegas non si è fatta attendere: Consob non ha mai abrogato l’obbligo di inserire gli scenari probabilistici nei prospetti perché quest’obbligo non è mai stato introdotto, né a livello nazionale né a livello europeo – ha puntualizzato il presidente della Commissione, ricostruendo passo dopo passo l’evoluzione regolamentare in materia.

Cosa sono gli scenari probabilistici?

Al netto di polemiche e rimpalli di responsabilità, facciamo un passo indietro per capire di cosa stiamo parlando. Gli scenari probabilistici sono una rappresentazione probabilistica dei rendimenti futuri basata su modelli matematici: in sostanza, esprimono il grado di rischio di uno specifico investimento, e le probabilità future di guadagnare o perdere. Chi volesse approfondire può leggere la nota metodologica prodotta dalla stessa Consob.

In pratica, gli scenari probabilistici costituivano una sezione dei prospetti informativi, che conteneva una tabella nella quale si riportavano le probabilità, espresse in percentuali, di quattro scenari rilevanti:

  1. ottenere un rendimento negativo dall’investimento;
  2. avere un rendimento positivo, ma inferiore a quello di un’attività priva di rischio;
  3. avere un rendimento in linea con il tasso “privo di rischio”;
  4. avere un rendimento superiore al tasso “privo di rischio”.

Quindi, semplificando, gli scenari probabilistici stimano quanto è probabile perdere o guadagnare, in ipotesi ben precise.

Per esempio, come si legge in un articolo apparso su glistatigenerali.com, nel caso delle obbligazioni subordinate 2013/2018 di CariChieti, gli scenari probabilistici avrebbero segnalato il rischio di perdere quasi il 50% del capitale con una probabilità del 37%. Leggendo invece l’ipotetico prospetto dell’emissione subordinata di Banca Etruria 2013-2023, l’investitore avrebbe saputo in quel momento che:

  1. aveva il 62,73% di probabilità di ottenere in media la restituzione di 47,85 euro per ogni 100 euro investiti (-7,11% all’anno);
  2. il 36% di portare a casa 157,66 euro (con un rendimento del 4,66% l’anno);
  3. e solo l’1,24% di avere un rendimento del 5,49% l’anno (valore medio 170,72).

Cosa è successo

Nei prospetti delle obbligazioni delle quattro banche nell’occhio del ciclone gli scenari probabilistici non c’erano! – è proprio questo il problema sollevato da Report. La storia è piuttosto complessa: nel 2009, la Consob guidata da Lamberto Cardia aveva sostenuto l’inserimento degli scenari probabilistici – su base volontaria – all’interno dei prospetti di emissione, ma successivamente gli “scenari” sono stati accantonati. Report ha pubblicato una lettera inviata a Vegas dal responsabile della divisione emittenti della Consob, Claudio Salini, a maggio del 2011: nella missiva, Salini segnalava al presidente che “conformemente alle indicazioni fornite per le vie brevi (quindi a voce, n.d.r.) dalla S.V. al responsabile divisione studi economici”, gli uffici “inviteranno gli emittenti a non inserire gli scenari nel prospetto e ne chiederanno l’eliminazione ove le riportassero per autonoma iniziativa”.

Vegas da parte sua ha spiegato che la disciplina europea non prevede gli scenari probabilistici e che anzi, nel 2012 ha armonizzato la descrizione dei titoli offerti al pubblico e i loro rischi “con informazioni che non includono gli scenari probabilistici”. Pertanto, sostiene il presidente Consob, i regolatori nazionali “non hanno il potere di imporli in via generale”. Un funzionario della Commissione UE citato dal Secolo XIX però smentisce questa ricostruzione, sostenendo che non si possa far risalire alle norme UE una misura che va nella direzione opposta rispetto alla trasparenza nell’investimento.

Fate valere i vostri diritti

Insomma, i fuochi incrociati non sembrano destinati a cessare tanto presto. Quello che interessa a noi è ricordarvi l’importanza di pretendere informazioni dettagliate quando vi apprestate a sottoscrivere un prodotto di investimento. Naturalmente gli scenari probabilistici sono stime e non hanno la pretesa di corrispondere alla verità assoluta, ma offrono comunque un’indicazione utile.

E, in qualità di investitori, avete tutto il diritto di ricevere una rappresentazione comprensibile della rischiosità dello strumento che intendete sottoscrivere, con una stima chiara delle probabilità di perdita. Per rinfrescarvi le idee su quello che potete (e dovreste) pretendere, andate a rileggervi la nostra Carta dei diritti dei Risparmiatori by AdviseOnly.

Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

Ultimi commenti
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    Gli scenari probabilistici raccomandati nel 2009 dall’Ufficio Analisi Quantitative della Consob sono costruiti usando la misura di probabilità risk neutral ovvero assumendo che gli agenti siano neutrali al rischio. Questa ipotesi va bene quando ne ricorrono alter (completezza dei mercati, possibilità di fare delta hedging ovvero di fare arbitraggio da parte dell’investitore: si veda il teorema fondamentale dell’asset pricing) e tipicamente si applicano quando si tratta di prezzare un derivato. Ma quando si tratta di prezzare e quindi di stabilire la distribuzione dei rendimenti di un’obbligazione, magari non quotata, o di un OICR (più in generale di un prodotto di gestione del risparmio) usare la misura risk-neutral è fuorviante perché le ipotesi richieste non ricorrono (l’obbligazione bancaria non quotata e tipicamente negoziabile solo con la banca che la ha emessa ha un prezzo ben diverso da quello ottenuto con il metodo raccomandato dall’allora Ufficio Analisi Quantitative).
    Sia tra coloro che sono stati consultati dalla Consob quando si è trattato di varare il nuovo Regolamento Emittenti che contenesse gli scenari sia all’interno della Consob si è creata una forte diatriba in merito, tanto da arrivare ad avere posizioni antagoniste tra Accademia e settore finanziario (si vedano gli esiti delle consultazioni Consob) ma anche all’interno della Consob stessa (nel 2013 esce un paper della Consob che pone la questione in maniera diversa: “Probabilità reali e probabilità neutrali al rischio nella stima del valore futuro degli strumenti derivati”). I sostenitori del primo approccio hanno considerato metodologicamente errato il nuovo paper, sino ad attaccare veementemente i loro autori; i giornalisti e i politici vi hanno visto uno scontro tra l’attuale Presidente Consob e la sedicente lobby finanziaria da una parte e gli accademici (tra cui il responsabile dell’Ufficio Analisi Quantitative) e una certa parte della sinistra (in particolare CGIL), paladina degli interessi dei risparmiatori.
    Nel dibattito, informato e non, c’è tuttavia un grosso equivoco: coloro che negano la validità degli scenari probabilistici ottenuti secondo l’approccio risk-neutral non vogliono negare l’utilità dell’intento di fornire al risparmiatore informazioni sulla distribuzione dei rendimenti; al contrario, vogliono sconsigliarne la produzione attraverso quell’approccio perché fuorviante (per farla semplice: è come se il rendimento del prodotto valutato non incorporasse un premio al rischio). Fare gli scenari con misure reali
    (o anche dette fisiche o naturali) della probabilità non è comunque facile
    perché, almeno sino ad oggi non vi è un metodo univoco; qualche speranza di riuscirci potrebbe giungere da un filone di ricerca molto recente che sta cercando di arrivare al “Santo Graal” della finanza ovvero alla derivazione di questa misura (si vedano S. Ross con “The recovery theorem” e i lavori di Borovicka, Hansen, Scheinkman o di Jensen, Lando, Pedersen).

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      Concordo.
      Fin da quando furono introdotti gli scenari probabilistici, fui uno di coloro che obiettavano sulla probabilità “risk neutral” – del resto mi sono formato come risk manager, e i risk manager hanno a che fare con la realtà, non con mondi fantastici.

      Solo, in tutto questo casino intorno alla Consob e agli scenari probabilistici, la discussione su probabilità “risk-neutral” e probabilità “real world” forse è fin troppo sottile rispetto alla natura del problema concreto dei risparmiatori.
      Piccola digressione per i lettori del blog – poiché giurerei che il 99.9% non abbia idea di che cosa siano le probabilità “risk neutral”: è la probabilità in un mondo in cui non siamo avversi al rischio e, conseguentemente, il rendimento atteso di tutti gli investimenti è pari al rendimento risk-free (che non esiste… è subito evidente quanto sia teorica ‘sta roba – se volete approfondire, suggerisco questo pregevole paper: http://ssrn.com/abstract=1395390 ). Le probabilità “real world”, invece, sono quelle reali. E, ovviamente, si parla sempre e solo di stime che hanno in pancia errori enormi. Fine della digressione.

      Ora veniamo al punto.
      I prodotti per cui il pubblico sta insorgendo e si sta (giustamente) scandalizzando, tipo certe obbligazioni-pattume di banche popolari marcescenti, sono per lo più tali schifezze che, sia che si analizzino utilizzando probabilità risk neutral, sia che si impieghino probabilità real world, la probabilità di NON avere indietro i propri quattrini è altissima. Questo è il punto.
      Infatti, dire che la probabilità di default di un fetentissimo subordinato bancario sia (per dire) 45% usando probabilità risk neutral, o 53% sotto l’altra, è un po’ come trovarsi sulla traiettoria di un enorme elefante e disquisire dottamente se il peso del bestione che ti sta per calpestare sia di 4 o di 5 tonnellate: la differenza è numericamente elevata e significativa da molti punti di vista, ma l’effetto finale sulla persona che viene calpestata non cambia.
      Ergo, secondo me è meglio una misura imperfetta, ma che può creare un sano senso di diffidenza, che un omertoso silenzio: come si dice a Milano, “Piutost che nient, l’è mei piutost”.
      Poi, francamente io qualche idea l’avrei, ad esempio una filtered historical simulation o parallel filtered bootstrap (il modello sottostante le misure di rischio sul sito AdviseOnly) con qualche ipotesi ragionevole, o meglio più alternative, sulla direzione dei mercati. Non è così difficile essere ragionevoli, basta volerlo…

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        Mi scusi l’altra volta non volevo essere sgarbato ma l’approccio all’analisi del rischio, dovrebbe essere un poco più distaccata e tenere in considerazione fattori che vadano oltre gli aspetti quantitativi e gli scenari probabilistici e che riguardano spesso, le convenzioni del sistema.

        Il sistema bancario nasce con lo scopo di fornire liquidità al mercato e generare leve sull’economia attraverso l’espansione monetaria.

        Come Lei dice giustamente, noi siamo avversi al rischio e di conseguenza dovrebbe essere adeguatamente prezzato il premio per il rischio, attraverso il rendimento di queste che Lei chiama obbligazioni spazzatura.

        Per convenzione la remunerazione di tali strumenti bilanciava l’esigenza del mercato, di credito a basso costo, con quella di tutelare il risparmio privato. Per questo motivo le aspettative di default erano tenute convenzionalmente basse abbassando i rendimenti a livello risk-neutral. Oggi il paradigma viene stravolto e valutare una probabilità di default al 40 o al 50% genera un effetto speculativo nei prezzi.

        La questione non è quindi quale strumento matematico utilizzare per valutare un rischio in maniera puntuale, ma se far valere certe convenzioni o definirne a priori di nuove lasciando il mercato libero, tutelando però i risparmiatori ed impedendogli di comprare prodotti difficilmente prezzabili da un profano.

        Stiamo passando da un mercato convenzionale ad un sistema poco trasparente.

        L’unica soluzione in questo caso è solo la diversificazione e l’azzeramento del rischio di mercato.

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          Il mercato è pieno di regole basate su principi abbastanza generali, lasciando gli intermediari liberi di attuarli con metodologie scelte da loro, ovviamente vagliate e poi controllate dai regulator. E’ il caso dei metodi di calcolo del rischio (e.g. VaR), o dei metodi di profilazione MIFID dei clienti. Nulla vieta di applicare questo principio anche alle obbligazioni e ad altri strumenti finanziari.
          La scelta di non fornire queste indicazioni, e la vendita massiva di – per esempio – obbligazioni bancarie subordinate alla clientela retail, con le conseguenze che abbiamo visto in questi mesi, parlano da sole e chiaramente mostarno come le scelte strategiche regolamentari siano state più che discutibili. Non c’è dunque da stupirsi che il pubblico dei risparmiatori e delle associazioni che li tutelano gridi alla vendetta.

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