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HomeECONOMIA E MERCATIGRAFICO DELLA SETTIMANAInvestire in azioni, ma le Borse sono care o no?

Investire in azioni, ma le Borse sono care o no?

Una delle più popolari misure di valutazione dei mercati azionari è il rapporto Prezzi/Utili – anche noto come rapporto “Price/Earnings”, o P/E – aggiustato per tener conto del ciclo economico. L’idea risale ai padri dell’investimento “Value”, Benjamin Graham e David Dodd, due autentiche leggende.

Furono loro a notare come gli utili di un singolo anno siano troppo volatili per offrire un’idea della profittabilità di un’azienda, di un settore o di un mercato. Trovarono quindi un rimedio: utilizzare la media storica degli utili su un arco temporale che abbraccia più anni, di solito 5 o 10. Utilizzando tale media per il calcolo del rapporto prezzi/utili, si ha il P/E di Grahm & Dodd.

È una metrica di valutazione semplice. Ma quando s’analizza un fenomeno complesso come i mercati finanziari, la semplicità ha dalla sua parte una certa robustezza statistica.

Come funziona il rapporto P/E di Grahm & Dodd

Analizzando la storia, periodi caratterizzati da elevati P/E di Grahm & Dodd sono stati spesso seguiti da anni di rendimenti azionari negativi. Al contrario, bassi P/E di Grahm & Dodd sono stati forieri di successivi elevati rendimenti di Borsa.

Questo tipo d’analisi, formalizzata nel 1988 in un celebre articolo e resa popolare nel libro “Irrational Exuberance” dell’economista Robert J. Shiller (Nobel 2013 per l’Economia), è così diventata un metodo classico di valutazione delle azioni; lo utilizziamo anche noi di AdviseOnly nel processo che porta a definire la nostra asset allocation.

Sul nostro blog abbiamo proposto questo tipo di analisi fondamentale nel 2011 e nel 2014; fino ad ora si è dimostrata piuttosto attendibile. Ma non fraintendetemi: da sola, questa metrica è insufficiente a valutare i mercati; inoltre su livelli medi di P/E, l’ambiguità può essere forte. Quindi non sognatevi di utilizzarla per tentare un preciso market timing: sarebbe come pretendere di riprodurre la Cappella Sistina con un pennello da imbianchino e un paio di contenitori di vernice. Ciò detto, è uno strumento utile per comprendere le prospettive dei mercati finanziari.

Ecco perché vi proponiamo un grafico interattivo con la relazione tra i P/E e i rendimenti azionari nei 5 anni successivi per le azioni italiane, statunitensi, europee e mondiali. I dati si riferiscono agli ultimi 30 anni.

Basta cliccare sulla legenda per disattivare/attivare una serie; inoltre, passando con il mouse sui punti, vengono evidenziati i valori.

Per darvi una chiave interpretativa di questo grafico, attualmente questi sono i valori di P/E nelle quattro aree esaminate:

  • 22 in Europa, a fronte di una media storica di 20,5 nel periodo esaminato;
  • 21 negli USA, quando la media storica è 23;
  • sono negativi in Italia (Borsa Italiana è dominata dalle banche, e storicamente si tratta di un mercato un po’ provinciale), a fronte di una media storica di 20;
  • 19 nel mondo cosiddetto Sviluppato, con media storica pari a 22.

Concentrandosi sull’azionario mondiale, le valutazioni attuali appaiono quindi inferiori alla media degli ultimi 30 anni e, per questi valori di P/E, storicamente le performance negli anni successivi sono state per lo più positive.

In effetti noi di AdviseOnly siamo convinti che l’equity – soprattutto per quanto riguarda i mercati Sviluppati – possa dare ancora buone soddisfazioni agli investitori. Lo abbiamo infatti confermato anche nella nostra ultima asset allocation, in cui esprimiamo un giudizio cautamente positivo sull’azionario USA, dove le valutazioni sono tra le migliori delle principali aree economiche mondiali, sull’azionario Europa, dove il momentum è positivo e le valutazioni fondamentali (dividend yield, P/E, P/B) rimangono interessanti, e sull’azionario Giappone.

Scritto da

Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

Ultimi commenti
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    è bello vedere come ci siano due serie parallele di dati, come se nel tempo i paradigmi valutativi fossero cambiati. Grazie!

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      si vero, ma non capisco qual è il paradigma valutativo più recente…..

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    Il P/E5 dell’indice ‘Mondo’ è quello di ‘MSCI World’ o ‘MSCI AC World’?

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      MSCI World (Sviluppato). Gli Emergenti hanno serie storiche un po’ meno lunghe.

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        Grazie.

        Un’altra domanda forse banale:

        nel vostro P/E5 alla Grahm, la media è degli utili di 5 anni TTM presumo (Trailing Twelve Months) e non degli utili di fine anno?

        E se uno di quei periodi che mettete nella media avesse utili netti negativi, come lo sommate? Come zero oppure come valore negativo?
        Cioè se per ipotesi i 5 periodi di utili TTM degli anni passati fossero tutti negativi vi verrebbe un P/E5 negativo o infinito? (zero al denominatore)

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          Risposte:
          1) sì, sono i trailing eps
          2) sommiamo anche i negativi, possono venire P/E negativi (accade raramente in aggregati vasti come Paesi o aree geopolitiche, ma talvolta accade, ad esempio ora in Italia); diciamo che una volta che sono negativi per me non c’è più grande differenza… nel senso che è un messaggio chiaro.

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            Ri-grazie! 🙂

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    Buongiorno, grazie del suo interessante articolo.
    Navigando in rete ho trovato questo grafico (che considera un orizzonte di tempo più lungo) e che, se ho ben capito, sembra affermare il contrario di quello che lei dice. http://www.gurufocus.com/shiller-PE.php
    Che ne dice?

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      Sì, conosco bene il P/E calcolato da Shiller, che corregge anche per l’inflazione e quindi ottiene numeri un po’ diversi, ma non troppo. Purtroppo non esiste una verità assoluta. Guardando anche ad altri indicatori, P/B, P/Sales, Dividend Yield, valutando in modo più ampio il mercato (che è quello che facciamo noi combinando statisticamente varie metrhce) si ottengono indicazioni di valutazioni ragionevoli. Cioè: se non esistono seri motivi per vendere (es. eventi geopolitici distruttivi), i mercati azionari hanno ancora di che sostenersi.

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    Scusa ma sono ancora io.

    Oggi riguardando con calma il grafico credo ci sia qualcosa che non torna almeno nei P/E5 USA.

    Perché nei vecchi articoli che hai linkato (2011 e 2014) dove avevi postato grafici simili soli per USA vedo che sotto il P/E5 di 20 c’erano parecchi punti con rendimenti negativi nei 5 anni successivi.
    Mentre nel grafico di quest’articolo per le azioni USA sotto il P/E5 di 20 non ci sono punti con rendimenti negativi.

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      E’ solo questione di scala degli assi, qui è più “compressi”: se clicchi sui dati di P/E USA < 20 vedi che i rendimenti sono negativi.

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        No, Raffaele guarda che per i puntini USA (colore giallo) in questo grafico il puntino con P/E5 < 20 che ha rendimento più basso è:

        x (P/E5) = 19.81
        y (rendimento) = 12.3

        che è comunque positivo.

        Non vi sono puntini con x < 20 che abbiano y negativa.
        Quello più a sinistra con rendimenti negativi è:

        x (P/E5) = 21.34
        y (rendimento) = -2.87

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          Hai ragione, ho controllato. Dipende dal differente campione, cioè dal fatto che i dati siano scaricati in un diverso giorno del mese. In altri termini è un effetto della volatilità di breve periodo su una performance di medio.

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