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Perché Draghi sta sbagliando e come investire nel 2015. Intervista a Fabio Scacciavillani

QE or not QE? That is the question

Questo il dubbio amletico del 2015.

Mario Draghi sta facendo le mosse giuste per riportare la crescita nella zona euro? E più in generale, cosa aspettarsi dai mercati per il 2015?

AdviseOnly l’ha chiesto a Fabio Scacciavillani, capoeconomista del fondo sovrano dell’Oman e blogger del “Fatto Quotidiano”.

scacciavillani

Intervista a Fabio Scacciavillani

Come vedono l’Italia e il made in Italy gli investitori esteri della Penisola Arabica?

Prevale un atteggiamento duplice, per quel che posso cogliere dal mio punto di osservazione. Da un lato si riconoscono i punti di forza che, nonostante tutto, l’Italia ancora può esprimere: nella moda, nel turismo, nei macchinari industriali, nell’agroalimentare, eccetera. Dall’altro, è difficile nutrire fiducia in un sistema Paese che non riesce ad affrontare da decenni vistosi nodi strutturali, che cambia governi e priorità ogni anno e che dedica enormi energie in diatribe sterili con l’Unione Europea, piuttosto che nella risoluzione dei problemi. Quando un investitore straniero esamina il bilancio di una società italiana (per quanto in buona salute) e si accorge che la pressione fiscale tende al 70%, raramente si sente pervaso da un irrefrenabile desiderio di investire. Poi, appena entra in contatto con la burocrazia, gli avvocati, i notai, le autorizzazioni, i contratti di lavoro e quant’altro, resiste solo se è un irriducibile estimatore. Oppure, se acquisisce le attività per trasferirle verso lidi più ameni, vale a dire meno ostili all’attività di impresa, oltre che con minimo di logica e di sanità mentale.

Del resto, ritengo che troverebbe praterie sconfinate su questo punto. Personalmente non ho mai incontrato un imprenditore italiano che, potendo, non abbandonerebbe il Paese, anche a nuoto.

Lei in passato ha lavorato per la Bce. Quali pensa saranno gli effetti sui mercati della politica monetaria di Draghi? Ci vorrebbe un QE?

Il QE è un palliativo che non produrrà alcun effetto di lungo periodo, ma che rischia di pompare ulteriormente la bolla speculativa sui mercati finanziari, di per sé abbondantemente alimentata dalle misure eccezionali delle autorità monetarie delle maggiori banche centrali, dagli USA al Giappone, passando per eurozona e Cina. Più in generale, il QE è un gravissimo atto di cedimento politico. Alla banca centrale viene conferita indipendenza proprio perché non deve assolutamente lasciarsi coinvolgere nelle diatribe da pollaio inscenate nei Parlamenti.

Draghi invece ha commesso un’ingenuità dalle conseguenze esiziali. Ha iniziato a ventilare (magari con le migliori intenzioni) la possibilità che la BCE potesse togliere le castagne dal falò ai politicanti corrotti e incapaci, attraverso l’acquisto di titoli di Stato (peraltro esplicitamente vietato dai Trattati europei). In cambio, ha intonato il solito repertorio di salmi sulle riforme strutturali che nei suddetti politicanti suscitano da epoche immemorabili solo grasse sganasciate. Appena i tassi di interesse sui debiti pubblici sono calati, i mandarini della spesa pubblica hanno emesso entusiastici grugniti di soddisfazione e hanno assunto un atteggiamento ancora più suinamente arrogante di fronte alle richieste della UE di mettere ordine nei conti pubblici, nell’economia reale e nel malaffare. In definitiva, Draghi è rimasto prigioniero delle proprie improvvide promesse e i governi hanno ripreso l’andazzo canagliesco con un piglio ancora più deciso. Tanto per essere espliciti, Cottarelli è stato messo alla porta in seguito alla calata di braghe della Bce. Al contrario, un governo che sopravvive grazie a sprechi e clientelismo, come in Italia, cambierà verso sul serio solo se posto di fronte allo spettro del fallimento.

L’Italia è ancora in recessione e le istituzioni internazionali chiedono incessantemente di attuare riforme strutturali. Secondo lei qual è la più urgente per risollevare le sorti del nostro Paese?

Non esiste una riforma che magicamente rimetta in sesto l’economia italiana. Le incrostazioni e le ruggini politico-sindacale hanno iniziato ad accumularsi dagli anni ’60 e progressivamente si sono saldate con il mondo di mezzo burocratico-affaristico. Il risultato ha prodotto un sistema profondamente corrotto e pervicacemente inefficiente che si tiene a galla solo per l’eroico impegno di una minoranza tartassata, osteggiata dallo Stato e oggetto di ignobili contumelie vomitate sui media della casta che ha occupato e snaturato le istituzioni.

Questa minoranza ancora resiste (non si sa per quanto) nelle imprese (soprattutto quelle che esportano), nelle professioni liberali, nel piccolo commercio, nei servizi ai consumatori e nelle tecnologie avanzate che riescono a sfuggire alla morsa dei burocrati e del fisco. Qualche traccia se ne trova nell’università, in sparuti organi di informazione (per lo più in rete) e fra qualche funzionario pubblico che si ribella al conformismo e agli ordini delle posizioni apicali dello Stato.

Se si cominciasse oggi, occorrerebbero cinque anni di sforzi determinati per invertire la tendenza e rendere l’aria respirabile. Nell’immediato le misure più urgenti sarebbero un taglio di mezzo milione di dipendenti pubblici (come nel Regno Unito), il ricalcolo delle pensioni con il metodo contributivo, l’abolizione delle Regioni, l’accorpamento dei comuni con meno di 20mila abitanti, la regolamentazione del diritto di sciopero (come previsto dalla Costituzione), la libertà per le aziende di accettare o meno la contrattazione collettiva, la chiusura delle Fondazioni bancarie (con distribuzione delle azioni in loro possesso alle famiglie più disagiate), la cancellazione dei sussidi alle imprese, la vendita o la chiusura delle municipalizzate, la privatizzazione delle università di eccellenza, l’adozione di una legge seria sugli appalti, l’abolizione dei TAR, la fissazione in Costituzione di un tetto massimo alla spesa pubblica.  L’obiettivo  di politica economica dovrebbe essere la riduzione di tasse e spese per almeno 100 miliardi entro la metà del 2016. Nel medio periodo , sarebbe cruciale lanciare una nuova Costituzione. Quella vigente è un ferrovecchio malamente assemblato in un mondo che non esiste più da decenni. Chi si illude che vada solo applicata, non si rende conto che se l’applicazione non è stata possibile in 60 anni, è logico dedurre che non sarà mai applicata.

Cosa consiglia agli investitori per il 2015?

Nel 2015 verranno al pettine i nodi più intricati lasciati irrisolti nell’economia globale, vale a dire quelli della crescita attraverso l’ampliamento delle libertà economiche ed individuali e la contestuale riduzione drastica del perimetro dello Stato. Siccome su questi temi c’è da aspettarsi un virulento scontro politico senza esclusione di colpi, l’esito è altamente incerto. Per esempio, in Italia il sindacato ha dato il via alle pratiche violente, ma se alziamo lo sguardo dalle miserevoli vicende nostrane, nel 2015 il nuovo Congresso USA prenderà di petto Obama, Abe sarà sotto pressione in Giappone e persino in Cina la leadership ha ingaggiato un confronto duro con i nostalgici delle Guardie Rosse. Per tale motivo, cresceranno i rischi di contagio da eventi incontrollabili come il crollo finanziario della Russia, l’uscita della Grecia dall’euro, la ristrutturazione delle banche cinesi. La leva finanziaria è ancora elevata nelle istituzioni internazionali, pertanto la propagazione del contagio sarebbe istantanea e vetriolica.

In sostanza, ai risparmiatori individuali consiglio di avere più liquidità possibile (possibilmente in dollari), di mantenere esposizioni brevi e in generale di evitare rischi, specie quelli legati ai debiti pubblici, almeno fino a primavera 2015 inoltrata.

Il discorso è ovviamente diverso per gli investitori istituzionali, in specie chi ha a disposizione una maggiore gamma di possibilità tra cui quella di andare corti sugli asset più vulnerabili o di prendere posizioni sulla volatilità. Tra i fondi di private equity, le migliori prospettive sono offerte da quelli specializzati in ristrutturazioni aziendali o in operazioni opportunistiche. E per chi si illude che i soldi in banca siano al sicuro, è opportuno studiare le recenti esperienze cipriote.

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Ultimi commenti
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    Forse vivendo in Oman si è dimenticato
    che in Italia non abbiamo un sultano, in democrazia le riforme di cui
    parla sono durissime da farsi, specialmente in un Italia dove lo
    stato è debole quanto la ‘s’ minuscola che ho usato per nominarlo e
    in più spaccato, con un meridione che è messo peggio della Grecia,
    ma però vota!

    Comunque è il primo economista che
    sento esporsi dando degli aperti consigli di investimento. E questo è
    sempre apprezzabile!

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    Certamente non sono in grado di sapere se le sue considerazioni siano giuste o meno (personalmente le condivido), rimane il fatto che se tra economisti a questo livello l’opinione verso di noi è questa e considerando che la nostra casta non mollerà la presa sino a dissanguamento completo della nazione, temo che siamo giunti al capolinea.
    O la rivoluzione di piazza (dubito) o il “si salvi chi può” (più probabile) per chi sarà capace di indirizzare in porti sicuri i propri investimenti.
    Tra l’altro da evidenziare come il mercato si stia litigando a prezzi assurdi (specie in considerazione del rischio assunto) dei TDS che nell’articolo vengono caldamente sconsigliati e che probabilmente saranno il cerino che rimarrà in mano a molti in tempi brevi, soprattutto se le elezioni in Grecia indirizzeranno la nazione in un certo modo.

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    più o meno concordo su tutto – cose abbastanza logiche,
    peraltro dell’itaglia non mi importa nulla, spero solo di speculare su sti maledetti maiali parassiti

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