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Boomer e residente nel Nord Italia: l’identikit del sottoscrittore di fondi

Sono 11,7 milioni gli italiani che detengono almeno un fondo comune di investimento, sia esso italiano, estero o cross border: più o meno un italiano su cinque, in linea con la rilevazione dello scorso anno, di cui il 47% donne e il 53% uomini. E investono in media 53mila euro, anche se si notano differenze significative tra le diverse tipologie di fondi: per i prodotti di diritto italiano, prevalentemente distribuiti da sportelli bancari a una clientela “mass o mass affluent”, la media è di 31 mila euro, mentre si sale a 66 mila euro per i cross border, che tipicamente guardano a una fascia di clientela di tipo “private”.

È quanto emerge dall’ultima analisi di Assogestioni, che periodicamente traccia un identikit dei sottoscrittori di fondi comuni nel nostro Paese attraverso un’ampia analisi, estesa da qualche anno anche ai fondi di diritto estero e cross border.

 

Il 50% investe meno di 14mila euro

Un dato interessante da osservare – ha evidenziato Riccardo Morassut, senior research analyst di Assogestioni, presentando la ricerca in occasione dell’ultimo Salone del Risparmio – è quello relativo all’investimento mediano che, curiosamente, si discosta parecchio dal valore “medio”: nello specifico, per i fondi italiani si attesta a 14mila euro (e sale a 23mila per i cross border). Significa che il 50% dei sottoscrittori di fondi di diritto italiano investe da zero a 14mila euro, mentre l’altro 50% investe più di 14mila euro.

 

 

Insomma, “c’è una quota consistente di persone che investono poco”. Questo perché, spiega l’analista di Assogestioni, i fondi sono prodotti accessibili a tutti, versatili e democratici. Da notare anche una elevata concentrazione del patrimonio: basti pensare che il 25% di chi investe di più detiene il 73% del patrimonio complessivo.

 

 

Età media: 61 anni

In linea con le rilevazioni precedenti anche l’età dei sottoscrittori di fondi, che resta decisamente elevata, con una media di 61 anni (era 60 anni  alla fine del 2021).

In particolare, il 40% dei sottoscrittori appartiene alla generazione dei Boomers (che hanno tra i 58 e i 76 anni) – una fascia d’età sovra rappresentata, se pensiamo che nella media Istat della popolazione italiana pesa solo per il 25%. Il 28% dei sottoscrittori appartiene invece alla Generazione X (nati tra il 1965 e il 1980), mentre gli under 40, Millennials (11%) e Gen Z (2%), sono decisamente sotto-rappresentati, visto che costituiscono rispettivamente il 18% e circa il 22% della popolazione complessiva.

 

 

L’investimento medio cresce al salire dell’età, il che è tutto sommato ragionevole: più si va avanti nella propria vita e nella propria carriera più crescono tipicamente le disponibilità economiche. Quel che sorprende, rileva ancora Morassut, è però che “la curva continua a salire anche quando l’età dei sottoscrittori diventa decisamente avanzata, mentre dovrebbe teoricamente flettersi dopo i 75 anni circa, quando dovrebbe iniziare la fase di decumulo”.

 

 

Verso la parità di genere?

Migliora invece la ripartizione tra donne (47%) e uomini (53%): se vent’anni fa il gap tra i due sessi era del 16%, oggi possiamo osservare una sua riduzione a sei punti percentuali. E l’auspicio, evidenzia Assogestioni, è che nei prossimi anni arrivi a chiudersi del tutto.

Piuttosto statica invece la distribuzione a livello geografico, con i due terzi degli investitori concentrati nel Nord Italia e solo il 17% che risiede nel Sud e nelle Isole.

 

Ai giovani piacciono i PAC

Per quanto riguarda le modalità di sottoscrizione e l’asset allocation, Assogestioni evidenzia come, in media, il versamento unico (PIC) rimanga la forma prevalente, scelta dal 63% dei risparmiatori, mentre PAC e forma mista (PIC e PAC) si fermano rispettivamente al 22% e al 15%, in linea con la rilevazione precedente.

Tuttavia, queste preferenze si ribaltano andando ad analizzare lo spaccato generazionale: tra Millennials e Generazione Z, infatti, il 65% predilige PAC o forme miste, che consentono di entrare nei mercati poco per volta, con versamenti graduali a seconda delle proprie disponibilità.

Non solo. I piani di accumulo hanno anche il vantaggio di diversificare il portafoglio dal punto di vista della tempistica dell’investimento. Come mostrano le percentuali basse, tuttavia, si tratta di soluzioni ancora poco conosciute, il che ci riporta direttamente al tema della necessità di una maggiore educazione finanziaria dei risparmiatori italiani.

L’asset allocation, infine, evidenzia valori differenziati in base alla tipologia di prodotto. Tra i fondi italiani prevale l’investimento in fondi flessibili (43%) e obbligazionari (27%), mentre tra i prodotti esteri cresce la componente azionaria, con il valore per i fondi cross border che si attesta al 47%.

 


 

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