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Gli etf? Fanno bene alla diversificazione ma meno bene alla competizione

Che cosa si negozia come un’azione, funziona come un fondo comune e ha conquistato i mercati finanziari negli ultimi 15 anni? La risposta è semplice: l’exchange-traded fund, o etf, un paniere di titoli che segue un indice o un settore. Al tema è dedicata una newsletter di Quartz scritta da Walter Frick con il contributo di Elizabeth MacBride e con gli aggiornamenti di Susan Howson ed editata da Morgan Haefner.

L’etf è il famoso “investimento passivo” di cui tante volte vi abbiamo parlato in questi anni, diventato molto popolare fra i risparmiatori. Piace perché fa bene alla diversificazione: ma che effetto ha sulla competizione tra le aziende del paniere?

 

L’ascesa degli etf

Come i fondi indicizzati, gli etf consentono agli investitori di acquistare un insieme di attività diversificate in una sola volta. Di solito presentano anche commissioni ridotte. La differenza sostanziale è che i fondi indicizzati non possono essere negoziati, mentre gli etf sì.

Gli etf sono classificati come “passivi” perché gli acquisti del fondo non sono gestiti attivamente (d’altro canto, come si dice, se non è zuppa è pan bagnato). Hanno toccato il picco nel 2021, poi nel 2022 l’economia ha cominciato a raffreddarsi e le performance sono scese ancora di più nel 2023, complice la crisi bancaria innescata dal crollo della Silicon Valley Bank a marzo.

 

 

Come funzionano gli etf

L’etf ha come sottostante un paniere di azioni o altre attività (come materie prime o obbligazioni). Il paniere è a sua volta modellato su un indice, come per esempio l’S&P 500, che tiene traccia delle 500 maggiori società degli Stati Uniti.

 

 

Il bello degli etf è che, come i fondi indicizzati, consentono agli investitori di possedere ampie fette del mercato – o di un particolare settore – anziché puntare su società specifiche. E questa è una cosa buona per gli investitori, soprattutto per quelli al dettaglio che, nonostante quello che si sente dire su Reddit, tendono a perdere denaro quando cercano di scegliere i singoli titoli.

Ma alcuni economisti temono che quando più investitori possiedono un po’ di tutto, le aziende hanno meno incentivi a competere.

 

Diversificazione non fa rima con competizione?

Il principio, come si legge nella newsletter di Quartz, ha un preciso nome: si chiama “proprietà comune” ed è oggetto di ricerca economica.

 

Supponiamo che la Coca-Cola scopra una tecnica di produzione più efficiente e sia quindi in grado di ridurre i prezzi. Sottrae qualche quota di mercato alla Pepsi, il che è positivo per i consumatori e gli investitori della Coca-Cola, ma negativo per gli investitori della Pepsi. Ma se gli investitori preferiscono etf e fondi indicizzati ampi, è plausibile che alcuni dei maggiori investitori della Coca Cola siano anche i maggiori investitori della Pepsi. La “proprietà comune” in un settore potrebbe diminuire il desiderio degli investitori che le società in cui investono siano in concorrenza tra loro.

 

Diverse ricerche portano alla conclusione che questo è esattamente ciò che accade, anche se non tutti gli economisti sposano questa idea. In attesa di ulteriori dati, e di tornare eventualmente sul tema, è certamente qualcosa su cui riflettere.

 


 

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