Punti chiave
- Emergenti in fibrillazione
Il rafforzamento del dollaro USA (+5,8% dai minimi di febbraio) mette in agitazione i Paesi Emergenti, che tendono a finanziarie parte del proprio debito in valuta americana. La Banca Centrale dell’Argentina ha operato tre rialzi dei tassi nell’arco di due settimane, portandoli ora al 40% proprio con l’obiettivo di frenare il deprezzamento del peso argentino, indebolito dal recente rafforzamento del dollaro.Attenzione anche verso la Lira turca, che da inizio anno perde circa il 18%, affossata dalle difficoltà interne del Paese, ormai vicinissimo alle elezioni del prossimo 24 giugno. - Salta l’accordo nucleare
Come ampiamente atteso, gli Stati Uniti si sono defilati dal Joint Comprehensive Plan of Action, l’accordo sul nucleare iraniano siglato nel 2015. Una scelta non condivisa dalla maggior parte dei partner statunitensi, in virtù anche dei riflessi commerciali negativi attesi. Su tutti, i paesi del Vecchio Continente rischiano di essere i più colpiti: il commercio con l’Iran si è infatti fortemente rinvigorito negli ultimi anni, passando dai 7,7 miliardi di euro del 2015, ai 21 miliardi di euro attuali, diventando così il terzo partner commerciale dell’Unione, preceduto da Cina e Arabia Saudita.Al contrario il commercio americano verso l’Iran nel 2017 si è limitato a 170 milioni di dollari USA, un altro ordine di grandezza rispetto a quello europeo. Con più di 5 miliardi di flussi nel 2017, l’Italia rischia di essere il maggiore interessato dagli effetti negativi di questa mossa geopolitica. - Politica europea sempre più fragile
Dopo quasi 90 giorni l’Italia ha un Governo. Nel frattempo in Spagna, lo scandalo finanziario “Gurtel”, ha portato alle dimissioni del premier Rajoy. Al suo posto subentra il socialista Pedro Sànchez, con il compito di portare il paese iberico a elezioni anticipate.Infine, si allungano i tempi della Brexit: secondo le ultime indiscrezioni, il Premier Theresa May, vorrebbe estendere il periodo di transizione fino al 2023, al fine di gestire in modo più ordinato l’uscita dall’Unione.
Grafico del mese
I dazi sono arrivati. Erano stati annunciati mesi fa, sono stati temporaneamente sospesi, ma ora sono realtà. I dazi sull’importazione di acciaio e alluminio (rispettivamente del 25% e del 10%) sono in vigore dallo scorso 1° giugno. I destinatari della nuova aliquota sono l’Unione Europea, il Canada e il Messico. Per il nostro Continente, i paesi più colpiti risultano Germania e Olanda.
La risposta delle controparti non si è fatta aspettare: il Premier canadese Justin Trudeau considera “inaccettabili” i dazi, e dall’Europa il ministro francese dell’economia Bruno Le Maire boccia queste misure come “illegali, ingiuste e pericolose”.
Pronto un reclamo ufficiale della Commissione Europea all’Organizzazione Mondiale del Commercio, nel mentre il prossimo vertice del G7 in Canada si annuncia infuocato. Quanto c’è di retorica politica o di effettivo pericolo per l’economia mondiale? Difficile a dirsi, tuttavia la BCE ha dichiarato che “un’escalation significativa delle tensioni commerciali potrebbe far deragliare la ripresa in atto nel commercio mondiale”.
Anche dal fronte cinese le tensioni non paiono allentarsi. Gli Stati Uniti stanno infatti proseguendo sulla strada dei dazi anche nei confronti del Gigante Asiatico, mettendo così a rischio tutti i progressi finora fatti per riequilibrare il commercio tra i due paesi, al momento fortemente sbilanciato verso Pechino, che vanta un surplus con gli Stati Uniti di oltre 350 miliardi di dollari.
Commento generale
Il messaggio finanziario che arriva dallo scorso mese di maggio è chiaro e ha un preciso destinatario: ottenere prestiti costa, in condizioni di incertezza questo costo è ancora maggiore, e infatti oggi i mercati richiedono un premio al rischio più alto per l’Italia. Non potrebbe essere altrimenti.
Se lasciamo perdere la retorica e ci concentriamo sul presunto programma di Governo – reddito di cittadinanza, flat tax e abolizione della legge Fornero – queste sono tutte misure che nel breve-medio termine peggioreranno i conti pubblici. Di quanto dipende da quello che veramente verrà portato a termine. I mercati lo sanno, ed ora che sembra esserci più trasparenza (abbiamo un Governo), aspettano di vedere le prossime mosse dell’esecutivo.
Il sistema Italia è più robusto del 2011 (sia economicamente che in termini finanziari, con un sistema bancario più solido), ma la dimensione del nostro debito pubblico ci rende fragili, bisogna esserne coscienti. Inoltre, i possibili fattori di rischio non finiscono certo entro i confini nazionali:
- La guerra dei dazi è passata dalla parole ai fatti. Gli Stati Uniti hanno deciso di andare avanti, e adesso tocca ai paesi colpiti (Messico, Canada e Europa) decidere come e se rispondere.
- A novembre ci sono le elezioni di Mid-Term: Trump deve affrontate il primo vero test del suo esecutivo.
- In Spagna, torna la crisi di Governo. Il Governo Rajoy è caduto e l’esecutivo è passato nelle mani del socialista Sánchez. A breve nuove elezioni.
- Il prezzo del petrolio ha raggiunto quota 66 euro al barile, crescendo nell’ultimo anno del 46%. L’inflazione ne potrebbe risentire.
- La Turchia e l’Argentina soffrono sono in crisi e pagano l’aumento del costo del denaro e l’apprezzamento del dollaro USA. I paesi Emergenti potrebbero subire qualche contraccolpo.
Affianco a questi rischi, va ricordato che la spinta propulsiva dell’espansione economica globale è entrata in una fase di risacca: nulla di drammatico, l’economia cresce praticamente dovunque, ma i mercati non potranno più aggrapparsi alla sola crescita.
Negli Stati Uniti, l’effetto propulsivo dovuto alla riforma fiscale sarà uno dei fattori trainanti principali ancora per i prossimi mesi. Gli effetti sulla valuta americana saranno però duplici e da monitorare con attenzione: se nel breve termine stanno contribuendo alla sua fase di rafforzamento, nel più lungo termine l’aumento del deficit e del debito del Paese ne determinerà un progressivo indebolimento.
Valutazione per asset class
La correzione dei mercati azionari ha ridato un po’ di ossigeno alle valutazioni dei mercati europei (soprattutto ai periferici), senza cambiare drasticamente il panorama. In termini di singole asset class, il buon momentum delle materie prime (trainate da quelle legate all’energia), continua a rendere interessante questa asset. Positiva ancora la dinamica per il mercato obbligazionario corporate statunitense, con il segmento a più alta qualità (Investment Grade) meno vulnerabile all’aumento dei tassi della FED rispetto all’High Yield.
Sul mercato azionario, l’area legata all’Asia-Pacifico risulta ancora la più interessante in termini di valutazioni. Complessivamente nel corso dell’anno le azioni hanno perso smalto, ma gli ultimi dati delle trimestrali dipingono un quadro ancora positivo. Gli utili continuano stabilmente a crescere, e dovrebbe continuare ad essere un fattore di sostegno per tutto il resto dell’anno.
Sul fronte obbligazionario, si gioca invece la partita opposta. Le valutazioni delle obbligazioni internazionali sono migliorate ma devono fare i conti la con stretta monetaria della FED; le obbligazioni governative dei Paesi Emergenti, invece, devono tenere conto dell’apprezzamento del dollaro.
[accordion title=” Come si legge il grafico?”] Con l’analisi multicriteria sintetizziamo in un’unica matrice gli indicatori quantitativi che ci permettono di fare una prima scrematura sulle opportunità di mercato offerte dalle varie asset class: azioni, obbligazioni e materie prime; ognuna analizzata in base a quattro criteri:- rapporto prezzi/fondamentali (criteri Value);
- momentum a breve e medio termine;
- analisi del rischio sistemico;
- contesto economico.
In base al punteggio finale ricevuto, le asset class vengono classificate dalla più interessante alla meno interessante. L’analisi multicriteria è solo uno dei tanti strumenti di analisi che utilizziamo per leggere i mercati.
Le scelte finali d’investimento vengono ponderate con l’analisi dello scenario di rischio prospettico e con un’overlay qualitativa (cioè ampie considerazioni non desumibili direttamente e semplicemente dai dati).
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I portafogli
La prudenza alla lunga paga. In questa fase la diversificazione internazionale dei nostri portafogli ha giocato a favore, permettendogli di uscire – praticamente indenni – dal mese ad “alta intensità” appena trascorso. Guardando avanti, il rischio Italia ci sembra gestibile, e la crescita degli utili dovrebbe continuare a sostenere i titoli azionari. Da un punto di vista strutturale non ci sembra il caso di ridurre il rischio dei portafogli.
Come da obiettivo, il portafoglio Euro-Tsunami ha retto egregiamente alle cadute registrate nelle ultime settimane, al contrario delle soluzioni più sensibili alle dinamiche (Euro OK), che comunque perde poco, senza aver registrato i grossi scossoni subiti dalle piazze finanziarie.
Ottimo ancora il risultato del portafoglio Megatrend, che prosegue il suo ritmo di crescita, incurante della volatilità di breve termine. Da inizio anno mediamente la performance delle nostre soluzioni d’investimento è tornata positiva, segno che la diversificazione (su più fronti: geografica, valutaria, asset class) ha, appunto, pagato. Rimangono deboli i Portafogli Reddito che risentono della recente tornata di dividendi distribuita.
[accordion title=”Portafogli Obiettivo”]Non abbiamo fatto cambi di asset allocation. Abbiamo effettuato un’unica operazione riguardante uno strumento presente nei portafogli della famiglia Reddito. Il seguente ETF (ISIN: IE00B7LFXY77) verrà delistato a partire dal prossimo mese di luglio. Di conseguenza abbiamo deciso ora la sostituzione con il seguente strumento (ISIN: IE00B6TLBW47) analogo sotto ogni aspetto al precedente.
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[accordion title=”Portafogli Tematici”]
Non abbiamo fatto cambi di asset allocation.
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[accordion title=”Portafogli Tattici”]
Non abbiamo fatto cambi di asset allocation.
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