Dopo due mesi di tira e molla, forse ci siamo: il prossimo esecutivo dovrebbe essere di colore giallo-verde. In attesa di capire le caratteristiche della squadra di governo, gli impegni iniziano a sovrapporsi:
- Politica interna. Il Documento di Economia e Finanza (DEF) ha bisogno di essere integrato con la parte politica, ossia con le proposte economiche di medio termine. Poi, bisogna preparare la Legge di Bilancio (da presentare al parlamento entro il 15 ottobre) e disinnescare l’aumento dell’IVA per il 2019 – 2020 (12,4 miliardi nel 2019 e circa 19 miliardi nel 2020);
- Politica europea. In Europa è partita la discussione sul bilancio europeo 2021-2027, discussione in cui l’Italia è completamente assente. Si parla di come allocare circa 1.000 miliardi di euro di risorse europee in 7 anni, non bruscolini. Inoltre, nel prossimo Consiglio europeo (in agenda i prossimi 28 e 29 giugno), verranno messe a punto le raccomandazioni specifiche per ogni Stato Membro, e si parlerà ulteriormente del progetto di riforma della governance dell’Eurozona.
L’aumento degli spread dell’ultima settimana non deve sorprendere, le principali proposte di politica economica annunciate durante la campagna elettorale (reddito di cittadinanza, abolizione Legge Fornero e flat-tax) hanno ottime probabilità di aumentare il rapporto debito pubblico/PIL e di conseguenza gli investitori stanno cominciando a chiedere un premio al rischio più alto. Nulla di più semplice.
Tuttavia, da qualsiasi angolazione si voglia guardare il rischio Italia (spread, CDS, indici di borsa) siamo decisamente lontani dai livelli di guardia del 2011.
I mercati non sono impazziti: è il contesto internazionale che è completamente diverso grazie alla triplice alleanza tra la crescita sincronizzata, il Quantitative Easing e l’effetto PIR.
Sul fronte della crescita, il primo trimestre è stato meno entusiasmante del previsto, ma è ancora troppo presto per rimettere mano alle previsioni. Ci sono buone probabilità che la fase di spinta del ciclo economico sia dietro le spalle ma pur sempre di crescita si parla.
Per quanto riguarda il mercato obbligazionario, l’Italia può godere dello scudo della BCE ancora per un po’. In base, all’attuale scenario macroeconomico, la Banca Centrale Europea dovrebbe terminare il suo programma di Quantitative Easing a settembre, e alzare i tassi non prima dell’anno successivo (settembre 2019).
In questo periodo di transizione, l’aiuto della BCE non verrebbe meno per via del reinvestimento delle obbligazioni a scadenza che garantiscono una certa liquidità. Tra gli altri aspetti interessanti, bisogna notare che secondo il capo economista della BCE, Benoît Cœuré, viviamo in un mercato in cui l’offerta di bond è più che compensata dalla domanda, perciò la pressione sui rendimenti sembra essere strutturalmente bassa.
Poi ci sono i Piani Individuali di Risparmio. Nel corso del 2017 la raccolta dei Pir ha superato tutte le attese (10,9 miliardi di euro rispetto ai 2 previsti dal Governo), ed ha notevolmente contribuito a sostenere le quotazioni degli indici azionari italiani.
Per varie ragioni, i PIR si vendono bene e questo trend dovrebbe continuare.
L’Italia di domani
Parliamoci chiaro: l’Italia ha bisogno di aumentare la produttività e nessuna delle misure annunciate in campagna elettorale va in questa direzione anzi, si impiegano in maniera inefficiente le scarse risorse che abbiamo. Ma gli annunci fatti in campagna elettorale sono annunci, e noi dobbiamo concentrarci sui fatti.
Nel breve termine, ci aspettiamo un allargamento degli spread ma tutto sommato contenuto. Per quanto riguarda i portafogli, siamo fuori dal mercato obbligazionario italiano da tempo, e sul fronte azionario abbiamo una piccola quota nei portafogli tattici che per il momento manteniamo.
Non bisogna illudersi, la stabilità del rischio Italia è funzione del favorevole contesto internazionale, e non della nostra forza. Alla prossima crisi, l’Italia rimane uno dei paesi più a rischio.