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Spread, CDS e Borse: i numeri dell’Italia che va al voto

Fatto salvo per un’eventuale, ennesima, micidiale cantonata di sondaggisti, politologi, giornalisti, commentatori e analisti di ogni estrazione e fazione, il risultato più probabile del voto del prossimo 4 marzo per il rinnovo di Camera e Senato – e, quindi, del governo italiano – appare il sostanziale pareggio: nessuno tra centrodestra, centrosinistra e Movimento 5 Stelle dovrebbe essere in grado di governare se non con una coalizione di larghe intese.

Calma e gesso sui mercati

Non è la prima volta che l’Italia si trova in una situazione di incertezza (e non sarà probabilmente l’ultima), ma con buona pace del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, che ha invitato tutti a prepararsi “allo scenario peggiore, cioè un governo non operativo in Italia“, i mercati non sembrano particolarmente allarmati.

Ce lo dicono tutti i principali indicatori di rischio sistemico, ovvero spread, CDS e Borse, sintetizzati nel nostro Barometro del rischio : ebbene, a pochi giorni dal voto tali indicatori restano su livelli non allarmanti (oggi segna 56, per l’Europa, e quando il Barometro è sopra 50, il rischio sistemico è nella norma).

C’è sì stato un aumento degli spread, recentemente, ma non è dipeso da un incremento del rischio Italia: a determinarlo è stato piuttosto un riprezzamento del rischio obbligazionario complessivo. In buona sostanza, gli investitori non stanno (ancora) scappando dal rischio rappresentato dal nostro Paese.
 

La pausa di riflessione che non durerà in eterno

Quando la macchina economica riparte e c’è il quantitative easing a fare da scudo, la politica può anche prendersi una “pausa di riflessione”: la Spagna è stata senza governo per un anno e sta affrontando una crisi istituzionale senza precedenti; in Germania la Merkel non ha ancora formato un governo; nel 2017 l’Olanda non ha avuto un governo per sette mesi. In tutti questi casi, la macchina economica non ha mai smesso di funzionare e i mercati non hanno fatto mancare il loro supporto.

In questa fase, l’Italia – come il resto dei Paesi della zona euro – può contare sulla forza del ciclo economico internazionale e sulla compressione dei tassi d’interesse. Tanto per dare qualche numero, una buona fetta della nostra capacità futura di stabilizzare (o far scendere) il rapporto tra debito pubblico e Prodotto Interno Lordo dipende in larga parte dalla crescita nominale del PIL, dal saldo primario (differenza tra entrate e uscite) e dal contenimento della spesa per interessi.

Lo scudo della BCE, per ora

Quasi ovunque si sta facendo leva su manovre di bilancio in deficit, e l’Italia non fa eccezione. Quasi tutti i partiti hanno le idee chiarissime su come spendere le risorse e molto meno su come trovarle (in merito segnaliamo il libro di Roberto Perotti, “Falso!”). A queste condizioni, il meglio che ci possiamo aspettare per il prossimo biennio (2019-2020) è una stabilizzazione del rapporto debito/PIL.

Ma questo “magico mondo fatato” non durerà per sempre: perché i nodi, quando ci sono, prima o poi vengono al pettine. La spinta alla crescita economica impressa dal quantitative easing verrà progressivamente meno, insieme con lo stesso quantitative easing. E man mano che questo succederà, variabili chiave come la produttività, l’occupazione, la crescita e i conti pubblici torneranno ad acquisire sempre più rilevanza.

Insomma, nell’immediato la politica può ancora contare sullo scudo della Banca Centrale Europea e sulla forza del ciclo globale. Ma il tempo si sta esaurendo e chiunque avrà la responsabilità di governare l’Italia dovrà interrogarsi seriamente su cosa fare dopo.


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Segue tematiche economiche e finanziarie per il team financial strategies group di Advise Only. Dopo aver conseguito una doppia laurea in Management all’Università di Torino e all’ESCP Europe, ha deciso di proseguire i suoi studi con un master in Economia Internazionale a Paris Dauphine. Dopo 4 anni di vita parigina ed esperienze lavorative come economista e strategist, sbarca in Advise Only con l’obiettivo di sviluppare la parte di analisi economica e congiunturale.

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