L’argomento è particolarmente caro agli italiani, tradizionalmente legati all’acquisto della casa: parliamo del mutuo, ovvero il prestito ipotecario concesso dalle banche ai (numerosissimi) privati che desiderano acquistare un immobile pur non potendosi permettere di pagare “sull’unghia” l’intero ammontare richiesto dal venditore.
Partiamo da una considerazione generale: come succede per tutti i prestiti, anche nel caso dei mutui il denaro che la banca ci anticipa ha un prezzo. Questo prezzo si chiama tasso di interesse ed è formato da due componenti: l’indice di riferimento e lo spread (approfondiremo il discorso nei prossimi paragrafi). Ogni mese, dunque, il sottoscrittore del mutuo deve corrispondere alla banca una rata, composta da una parte di capitale che viene man mano restituito e da una quota di interessi.
L’indice di riferimento – di solito Euribor o IRS, a seconda della tipologia di mutuo – è il tasso a cui la banca si finanzia sui mercati finanziari per concedere il prestito e che viene dunque trasferito come costo in capo al mutuatario. Lo spread invece è una sorta di ricarico che ogni banca decide di aggiungere al tasso di base quale proprio compenso.
Come si calcola lo spread?
Lo spread esprime essenzialmente il rischio attributo a chi richiede il prestito. Per questo motivo, nel calcolarlo, viene preso in considerazione, tra gli altri fattori, il rischio Italia, rappresentato dalla differenza di rendimento tra il BTP decennale e il Bund tedesco di pari durata (anche questo indicatore si chiama spread): ogni cittadino italiano incorpora tendenzialmente un rischio più elevato del rischio Italia. In aggiunta, concorrono alla definizione dello spread anche gli indicatori di rischio relativi al singolo finanziamento, come la durata e l’entità del mutuo richiesto, la solidità del mutuatario ecc.
Lo spread sommato all’indice di riferimento dà il TAN, ovvero il Tasso Annuo Nominale con cui vengono calcolati gli interessi delle rate del mutuo (altra cosa è il TAEG, Tasso Annuo Effettivo Globale, che indica il costo globale del mutuo e comprende anche le spese obbligatorie ai fini di apertura e pagamento del finanziamento).
Il tasso di interesse non è uguale per tutti, ma varia a seconda della tipologia di mutuo che si sceglie. Le principali sono il tasso fisso e il tasso variabile, ma nel mezzo esistono alcune soluzioni ibride. Vediamo cosa cambia.
Mutuo a tasso fisso
Nel caso del mutuo a tasso fisso, il tasso di interesse viene stabilito al momento della stipula del contratto e rimane fermo per tutta la durata del finanziamento. Questo tasso si basa sull’IRS (Interest Rate Swap), ovvero il tasso interbancario che viene comunicato ogni giorno dalla Federazione Bancaria Europea, a cui si aggiunge uno spread (diverso dallo spread che spaventa tanto i mercati): si tratta come detto del guadagno della banca.
Naturalmente questa soluzione dà maggiore tranquillità al sottoscrittore, che paga il prestito a un prezzo tendenzialmente più elevato rispetto a quanto previsto per il tasso variabile, ma si assicura un riparo dalle fluttuazioni del mercato e, quindi, da eventuali brutte sorprese. Certo, la protezione vale sia al rialzo che al ribasso: anche nel caso in cui le condizioni dovessero migliorare rispetto al momento della stipula, il tasso di interesse rimarrebbe infatti invariato, precludendo al sottoscrittore l’opportunità di beneficiare della nuova situazione.
Mutuo a tasso variabile
Come suggerisce il nome, nel caso del mutuo a tasso variabile il tasso di interesse (e quindi la rata mensile) può cambiare nel tempo. Per il tasso variabile, l’indice di riferimento, su cui si calcola il tasso di base, è di solito l’Euribor: si tratta di un parametro stabilito giorno per giorno, che indica il tasso medio a cui avvengono i prestiti tra le banche dell’eurozona e che risente fortemente dell’andamento del mercato finanziario. Anche in questo caso al tasso di base va aggiunto poi uno spread, deciso da ciascuna banca.
Come accennato, la rata del mutuo a tasso variabile può cambiare sull’onda delle oscillazioni dell’Euribor. Di solito il tasso iniziale è più basso rispetto al tasso fisso, ma il sottoscrittore deve accettare un certo margine di rischio e incertezza, mettendo in conto che in alcune fasi la rata potrebbe salire anche notevolmente.
E chi non sa decidersi?
Per chi proprio non riesce a scegliere tra tasso fisso e tasso variabile, esistono diverse opportunità: una è rappresentata dal cosiddetto tasso misto che, a un prezzo più alto rispetto al variabile, consente al mutuatario di passare dal fisso al variabile e viceversa nel corso della durata del finanziamento per un limitato numero di volte: solitamente, le banche permettono di cambiare tasso solo in finestre temporali pre-concordate.
Un’altra soluzione è il mutuo a tasso variabile con cap: si tratta di un variabile che consente di fissare una soglia massima al tasso di interesse, quindi una sorta di tetto oltre il quale la rata non può aumentare. In pratica, se il tasso di interesse supera la soglia stabilita con la banca, il cliente non dovrà pagare quella percentuale in più. Se invece resta al di sotto di quella soglia, tutto funziona come in un normale mutuo a tasso variabile. Naturalmente la protezione si paga (con uno spread più alto).
Infine, esiste il mutuo variabile a rata costante: in questo caso, se i tassi aumentano si allungano i tempi di rimborso, ma l’importo della rata resta invariato (anche qui bisogna capire la convenienza economica, perché comunque la tranquillità di una rata sempre uguale ha un prezzo).
Quale mutuo conviene oggi?
Partiamo da una premessa doverosa: sia l’Euribor sia l’IRS sono influenzati dalle politiche monetarie della Banca Centrale Europea, quindi occorre guardare a Francoforte per capire come muoversi. A questo proposito, recentemente il presidente della BCE Mario Draghi ha fatto sapere che il tasso di riferimento rimarrà pari a zero almeno fino alla metà del 2019, dipingendo uno scenario di stabilità favorevole a chi volesse aprire un mutuo nei prossimi mesi.
Oggi il tasso Euribor a tre mesi è fermo al -0,32% (è sotto lo zero da tre anni). Quanto al futuro, attualmente i tassi futures prevedono un aumento sopra la soglia psicologica dello zero nel corso del 2020 e una successiva costante crescita fino a quota 0,50 entro il primo trimestre del 2021 e sopra l’1% nel 2022.
Anche l’IRS rimane stabile: in agosto si sono registrati i minimi del 2018 e le scadenze 20, 25 e 30 anni oscillano tra l’1,40% e l’1,50%. Le banche, da parte loro, vista la situazione di calma piatta sul fronte dei tassi BCE, tendono a non toccare gli spread, come sottolinea Il Sole 24 Ore. Morale della favola, se su orizzonti temporali abbastanza brevi, diciamo 10/15 anni, la differenza tra fisso e variabile è trascurabile, su scadenze più lunghe conviene il fisso: è difficile infatti che nei prossimi anni si possa assistere a tassi ancora più bassi dei livelli attuali.
Nel grafico qui sotto, l’andamento del tasso Euribor a tre mesi e del tasso IRS a 20 anni (fonte: mutuionline.it).
Mutui e mercati finanziari: qual è la relazione?
Lo spread di rendimento tra BTP decennale e Bund tedesco di pari durata è una misura del livello di allerta sui mercati circa il “rischio Italia”: un aumento di questo spread non ha un impatto immediato sui mutui, ma un innalzamento del rischio Italia percepito potrebbe, con il tempo, andare a influire sulla parte di rischio che le banche attribuiscono al mutuatario e quindi, in definitiva, provocare un aumento della rata del mutuo (anche se magari occorrerà un po’ di tempo perché questo si verifichi).
Di seguito, l’andamento dello spread tra BTP e Bund negli ultimi 5 anni (dati aggiornati al 8 ottobre 2018).
Il rischio dunque esiste: se le turbolenze sul mercato obbligazionario, iniziate lo scorso maggio, dovessero protrarsi, le banche a un certo punto – probabilmente nel giro di qualche mese – potrebbero decidere che, alla luce dell’aumentato rischio legato ai finanziamenti concessi, sia il caso di aumentare i propri margini di guadagno – quindi lo spread del mutuo.