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#ABCFinanza: Bolla finanziaria, che cos’è e perché nasce

Ogni tanto, in un’area geografica più o meno circoscritta, una frangia più o meno numerosa di popolazione perde la brocca per qualcosa: azioni tecnologiche, Bitcoin, un certo venditore di videogiochi di Grapevine, Texas. E compra. Comprando, spinge al rialzo i prezzi finché, a un certo punto, i prezzi non possono più andare oltre. A volte queste fiammate divampano senza lasciare attorno a sé eccessivi disastri; altre, invece, causano sconquassi tali da far tremare l’intera economia.

Genesi di una bolla finanziaria: come nasce e perché? A fare le pulci al fenomeno è, in una recente newsletter, Quartz, piattaforma di informazione e approfondimento che tante volte abbiamo ripreso sul nostro blog perché, a nostro modestissimo parere, merita. Cos’è una bolla, quindi?

 

Bolla finanziaria, una definizione

Devi immaginare un palloncino: lo gonfi di gas e questo aumenta di dimensione finché, a un certo punto, esplode. La fregatura delle bolle, in genere, è che ti accorgi di averne una davanti solo dopo che è esplosa. Il che complica e non poco la vita ai regulators e agli investitori, specialmente quelli piccoli.

Ora, la domanda che Quartz si fa – e che noi riprendiamo – è: siamo nel mezzo di una bolla? Se guardiamo alle azioni tech (Tesla, per esempio) o al Bitcoin, qualche dubbio in effetti ci viene. Il prezzo del Bitcoin era a 19.650 dollari il 17 dicembre 2017, al picco del precedente boom.

E oggi? Questa è la situazione mentre scriviamo: segnando un nuovo record, il Bitcoin ha appena superato i 50.000 dollari per la prima volta. Di seguito, una tabella che dà un’idea dei tumultuosi rialzi finora registrati.
 

1 settimana 1 mese 6 mesi 1 anno
+3,07% +33,06% +302,22% +382,96%

 

Ma ti sei mai chiesto come e perché si forma una bolla finanziaria? Quartz sì, se lo è domandato. E anche noi, a dire il vero.

 

Perché si formano le bolle finanziarie?

Il professore di Economia di Yale Robert Shiller, vincitore di un Premio Nobel per il suo lavoro sul tema, elenca due fondamentali ingredienti di una bolla:

  • una storia dai connotati virali;
  • uno strumento che le consenta di propagarsi.

Non a caso, Shiller sottolinea come nessuna bolla finanziaria si sia mai consumata prima che prendesse piede la stampa di Gutenberg, nel 1600. E in effetti la “mania” olandese dei tulipani s’impose nel 17esimo secolo, passando alla storia come una delle bolle finanziarie più famose di sempre: il delirio febbrile che assalì gli investitori fu di portata tale da spingerli a pagare somme folli per un bulbo, equivalenti al prezzo di un’abitazione. E quando la bolla esplose, più d’uno si gettò nel canale. L’episodio è divenuto famoso nei termini arrivati fino a noi dopo il travolgente successo del libro del giornalista scozzese Charles Mackay “Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds”, uscito nel 1841.

Occorre però precisare che attraverso la sua ricerca Anne Goldgar, professoressa di Storia moderna al King’s College di Londra, ha un po’ ritratteggiato il quadro, smorzandone i toni: sì, i bulbi di tulipano furono per un periodo molto popolari; e sì, i prezzi salirono; ma furono pochi quelli scambiati a prezzi davvero astronomici. Quando questa bolla esplose, l’onda d’urto investì principalmente quelle persone – non tantissime – abbastanza ricche da potersi permettere di pagare cifre veramente di tale portata.
 

Le bolle non sono accidentali

Dal canto loro, William Quinn e John Turner, autori di “Boom and Bust: A Global History of Financial Bubbles”, dicono che la maggior parte delle bolle sono tutt’altro che accidentali, rivelandoci che hanno inizio nel momento in cui investitori più o meno speculativi reagiscono alle nuove tecnologie oppure a iniziative politiche.

Politiche, hai letto bene. Nel 18esimo secolo, per esempio, la Francia provò a lasciarsi alle spalle i debiti contratti per la guerra di successione spagnola permettendo agli investitori di scambiare il debito pubblico con azioni della Compagnia del Mississippi, che il governo assicurò sarebbero aumentate di prezzo. Rese quindi le azioni facili da scambiare e fornì molto credito per consentire l’acquisto delle stesse. Funzionò per un po’, dopodiché l’inflazione andò in tilt e fece crollare la mania.

E poi, appunto, c’è la tecnologia. Poche cose catturano l’attenzione degli investitori più della promessa di un nuovo “aggeggio”, sia esso un mezzo di locomozione fisica o di esplorazione virtuale: treni, auto, bici, fino ad arrivare all’internet dei nostri giorni. Le aziende più “appealing” in questo momento storico sono tutte tecnologiche, sia che si occupino di auto elettriche ed e-commerce, sia che il loro business siano smartphone e affini.

Nuove tecnologie e mosse politiche, quindi: riassumendo all’osso, secondo Quinn e Turner la nostra capacità di prevedere le bolle future sta tutta nella capacità di intravedere per tempo i lampi di novità da questi due fronti.
 

 

Ma le bolle sono tutte brutte e cattive?

Le peggiori lo sono: causano profonde recessioni, capaci di far affondare il sistema bancario, e ci impiegano anni per levarsi di torno. “Se gli effetti colpissero soltanto gli azionisti, si potrebbe sostenere che ogni azionista dovrebbe essere libero di correre questo rischio”, ha detto Eric Rosengren, presidente della Federal Reserve di Boston, durante una conferenza virtuale a novembre. “Il fatto è che anche clienti, fornitori e dipendenti sono danneggiati da questo modo di assumersi rischio azionario”.

Ma le bolle non sono necessariamente sempre cattive, soprattutto quando lasciano indenne il sistema bancario. Secondo Bill Janeway, venture capitalist di lunga data, alcune bolle sono addirittura “produttive”, dal momento che spingono il denaro verso nuove industrie, dalle ferrovie a internet, creando così una nuova economia.

 



1. Bubbles

 

 

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