I fatti salienti della settimana
USA-Cina, accordo vicino. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump vuole un accordo con la Cina per sostenere la Corporate America e, di riflesso, il mercato azionario. E il suo team sta lavorando in tal senso. “I colloqui con la Cina stanno andando molto bene!”, ha twittato Mister President in settimana. Secondo Bloomberg, i colloqui tra funzionari USA e cinesi a Pechino si sarebbero conclusi mercoledì.
Più deficit per il 2019. Intanto il ministero delle Finanze cinese si sta preparando a proporre un lieve aumento del deficit di bilancio per quest’anno, nell’ottica di bilanciare il sostegno all’economia con la necessità di mantenere il debito sotto controllo. Il ministero starebbe pensando a un obiettivo di deficit/PIL del 2,8%, a fronte del 2,6% del 2018: proposta che sarà presentata per l’approvazione al Congresso Nazionale del Popolo a marzo.
Cattive notizie dal colosso coreano. Samsung, il più grande produttore mondiale di semiconduttori di memoria, ha comunicato un utile trimestrale inferiore di oltre il 20% rispetto alle stime degli analisti. Un gap massiccio, che peraltro mette in evidenza la vulnerabilità dell’economia sudcoreana al rallentamento delle esportazioni di semiconduttori.
Ansia per la produzione industriale tedesca. Il dato è sceso inaspettatamente a novembre, esponendo l’economia al rischio di scivolare in una recessione tecnica alla fine del 2018. Il calo dell’1,9%, guidato dai beni di consumo e dall’energia, ha infatti seguito il -0,8% di ottobre, innestandosi in una serie di numeri deludenti per la maggiore economia europea. Su base annua, la produzione è diminuita del 4,7%. Secondo il ministero dell’Economia, questa performance è stata esacerbata dagli effetti di calendario.
May contro tutti. Strada più che mai in ripida salita per il primo ministro britannico Theresa May. Dopo il rinvio deciso a dicembre, il Parlamento UK si esprimerà sulla bozza di accordo su Brexit martedì 15 gennaio. Ma le speranze di ottenere un’approvazione sembrano ancora più esigue rispetto a un mese fa. Peraltro, nella serata di martedì la Camera dei Comuni ha votato per prendere provvedimenti finalizzati a limitare lo spazio di manovra della May e rendere potenzialmente più difficile lasciare l’UE senza un accordo.
Come si sono mossi i mercati
Dalle stelle allo stop. L’azionario asiatico ha dato il via alla settimana con forti guadagni, dopo i commenti rassicuranti della Federal Reserve (il governatore Jerome Powell ha dichiarato che la politica monetaria è flessibile e che i funzionari “ascoltano attentamente” i mercati) e un allentamento della politica monetaria in Cina, fattori che hanno alimentato un rinnovato appetito per le attività rischiose.
Nei giorni seguenti gli investitori hanno tirato il fiato, anche in attesa di dettagli concreti sui negoziati fra Cina e Stati Uniti. Intanto, dalle minute della Fed, è emerso che alcuni componenti del board erano contrari all’aumento dei tassi operato a dicembre e suggeriscono “pazienza” su eventuali nuove strette: gli “inviti” di Trump hanno trovato terreno fertile?
Il ritorno dei Treasuries? In tutto questo, secondo BlackRock i Treasuries hanno riconquistato il loro status di bene rifugio, mettendo fine a un calo che nel 2018 aveva portato i rendimenti ai massimi di sette anni (il decennale benchmark aveva superato il 3,25% a ottobre).
Non particolarmente eclatante la situazione in Europa: lo spread BTP-Bund si avvia a chiudere la settimana sui 260 punti. In settimana il Tesoro italiano ha emesso 7 miliardi di BoT a 12 mesi con un rendimento in calo rispetto all’asta del mese precedente.
Lo slancio dello yuan cinese. A parte il dollaro USA, che lunedì è sceso ai minimi da oltre due mesi nel cambio con le altre valute – effetto Fed anche qui – protagonista della settimana è stato lo yuan cinese, che ha registrato il maggior incremento settimanale dal 2005 – quando il Paese abbandonò il cambio fisso con il dollaro USA – in scia appunto ai commenti accomodanti di Powell e ai progressi nel dialogo Stati Uniti-Cina.
L’Arabia Saudita non va per il sottile. Riad ha confermato l’intenzione di abbassare le esportazioni di petrolio, a 7,2 milioni di barili al giorno a gennaio e a 7,1 milioni a febbraio (a fronte dei 7,9 milioni di barili al giorno di novembre), confermandosi così in prima linea nel riequilibrio del mercato. In termini di quotazioni, sul finire della settimana siamo a 61 dollari USA al barile per il Brent e a 52 dollari USA per il WTI.
Da segnare in agenda
Gran Bretagna – Come accennato, qui la giornata campale sarà martedì 15 gennaio, con il voto del Parlamento sulla bozza di accordo su Brexit.
Europa – L’indice dei prezzi al consumo, atteso stabile all’1,6%, sarà reso noto giovedì 17 gennaio. Prima ancora (15 gennaio), occhio alla bilancia commerciale.
Stati Uniti – Grande attenzione, lunedì 14 gennaio, alla testimonianza del presidente della Fed Jerome Powell. Focus anche sulla bilancia commerciale, attesa in miglioramento: secondo le attese, il deficit dovrebbe ridursi a -54 miliardi di dollari USA, dai precedenti 55,5.
Nello stesso giorno si conosceranno anche gli ordini di beni durevoli e le vendite di nuove case. Segnaliamo poi, fra gli altri dati, la spesa per costruzioni (14 gennaio), l’Empire Manufacturing (15), la produzione industriale e il sentiment dell’Università del Michigan (18).
Cina – Lunedì 14 un dato attesissimo sarà quello sulla bilancia commerciale, con i dettagli sulla variazione annuale di import ed export a dicembre. Secondo le stime, le esportazioni dovrebbero mostrare una crescita del +2% appena, a fronte del +5,4% precedente, mentre le importazioni sarebbero salite del +4,5% rispetto al +3% precedente.