Nei primi mesi del 2017 lo scenario di rischio si è ridimensionato e tutto è andato nel migliore dei modi, per ora. I rischi che avevamo ipotizzato ad inizio non si sono concretizzati, e il mercato ha premiato chi se ne è assunto qualcuno.
La secca vittoria di Macron ha impedito che l’Euro venisse rimesso in discussione dai movimenti populisti, togliendo pressione alla divisa europea. Negli USA la FED ha alzato i tassi d’interesse e deciso come ridurre il “peso” del suo bilancio senza troppo scalpore, come da programma. E, ad oriente, la Cina non ha scatenato fasi di risk-off, come temuto da molti analisti a fine 2016 (e come accaduto in passato) – nonostante rimanga tutt’ora uno dei principali tail risk (cioè fonte di brusche e violente correzioni) secondo gli investitori intervistati da Bank of America Merrill Lynch nella loro Fund Manager Survey.
Per quanto il clima finanziario sia decisamente favorevole (il Barometro del Rischio AdviseOnly, un indice di rischio sistemico a livello mondiale, ha toccato quota 60 – cosa che non accadeva da molto tempo), la storia ci insegna che l’incertezza fa parte del gioco. Bisogna accettarla e saperla gestire. La prima cosa da fare, dunque, è identificare i rischi maggiori creando una vera e propria mappa.
Ecco quindi la nostra lettura dello scenario finanziario, in termini di rischi, mappati qualitativamente secondo probabilità d’accadimento e di impatto potenziale sui mercati e gli investimenti. Rispetto all’ultima revisione, lo scenario di rischio (almeno per quelli identificabili ex-ante, quindi per definizione sono esclusi i “cigni neri”) è migliorato sia per quanto riguarda le probabilità di realizzo, sia per i potenziali effetti sui mercati. Nonostante il ritrovato ottimismo la zona euro rimane l’area geografica dove si concentrano i rischi maggiori. Analizziamoli uno per uno:
- Si riduce il rischio della zona euro, ma occhio all’Italia. La vittoria di Macron in Francia ha ridato fiducia al progetto europeo che, nel 2018, dovrebbe concretizzarsi nella revisione dei trattati europei all’insegna di un maggiore integrazione fiscale, politica e di difesa. La Grecia ha ottenuto una nuova tranche di aiuti e, pur non avendo affatto risolto la sua situazione, dovrebbe quantomeno rimanere fuori dai guai fino a luglio 2018, inoltre, sempre parlando di Paesi Periferici, il sistema bancario spagnolo sta risolvendo molti suoi guai. Tutto bene allora? No, purtroppo; in questa fase l’anello debole è l’Italia. I mercati hanno accolto positivamente l’intervento sulle banche venete, ma dal nostro punto di vista il sistema bancario rimane fragile e ciò non migliora le prospettive di lungo termine sulla crescita, anzi appesantisce (anche se non di molto) di qualche miliardo il debito pubblico. Alla fine i problemi in Italia sono sempre gli stessi: bassa crescita, alto debito pubblico e un quadro politico poco convincente. In sintesi: l’Eurozona è l’epicentro del rischio sistemico, e l’Italia è l’epicentro dell’epicentro.
- Rischio inflazione. Stando alle previsioni della FED, la banca centrale dovrebbe raggiungere i propri obiettivi di politica monetaria (pieno impiego e inflazione al 2,0%) entro il 2018. Questo vuol dire che i salari dovrebbero salire e l’inflazione riportarsi intorno al target. Considerando il crollo delle aspettative d’inflazione che si è osservato, i mercati obbligazionari non sembrano pronti ad alcun serio incremento d’inflazione nel medio termine, e potrebbero reagire male. Inoltre, stando alle previsioni di Powell, membro influente del Board della FED, la riduzione di bilancio potrebbe essere un’altra forza che peserebbe sulla parte sulla curva (si parla di circa 85 punti entro il 2020). Ciò comporterebbe un calo dei prezzi delle obbligazioni.
- La Brexit si avvicina. I conservatori britannici escono dalle elezioni con le ossa rotte e Theresa May non gode più di una maggioranza solida. La posizione dell’Inghilterra appare oggi più debole rispetto ad appena un anno fa, dopo il voto sulla Brexit: i consumi stanno decelerando e i membri della Bank of England si stanno interrogando sull’evoluzione futura dell’inflazione. Per ora l’impatto sul mercato è limitato – eccezion fatta per la sterlina, dalla quale da tempo per prudenza ci teniamo alla larga – ma i veri effetti si vedranno nella seconda metà dell’anno e nel 2018.
- In Giappone, la congiuntura economica è migliorata: ci sono dei buoni segnali sia sul fronte della crescita dei consumi e che dei salari. La Bank of Japan potrebbe quindi ben presto unirsi al coro delle altre Banche Centrali, riducendo la quota del QE. E, dopo anni di politica monetaria e fiscale aggressive, nessuno sa veramente cosa accadrà. Al momento, però, il mercato azionario giapponese gode di buone valutazioni fondamentali, con un momentum favorevole sul fronte degli utili.
- La Cina fa paura, ma regge. La Cina ha avuto una buona prima parte dell’anno ed il Governo ha deciso di stringere i rubinetti del credito per limitare l’indebitamento eccessivo del settore privato (Moody’s ha abbassato il rating della Cina proprio per questa ragione). La Cina sta vivendo una delicata fase di aggiustamento e, per il suo peso economico, può compromettere la tenuta della crescita mondiale. Tuttavia lo yuan ha smesso di deprezzarsi e i recenti dati sulla crescita sono nel complesso buoni. In autunno ci sarà il 19° Congresso del partito Comunista ed è verosimile che il Presidente Xi Jinping consolidi il suo consenso, portando avanti l’azione riformista.
- Rischio protezionismo. Pur restando nell’aria, l’ondata di protezionismo attesa con l’elezione di Trump non ha trovato granché riscontro nei fatti: ad esempio, l’accordo appena siglato con la Cina mira ad aumentare la quota di export americano, anziché ridurre quello cinese. E poi, a livello globale, i dati sul commercio internazionale sono positivi, con l’Europa che sigla nuovi accordi commerciali con Canada, Vietnam e Giappone.
Tenuto conto dei rischi e soppesandoli, il nostro atteggiamento è favorevole agli attivi rischiosi. Ma senza esagerare, perché le valutazioni non offrono “eccellenti” opportunità d’investimento.