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Come proteggersi dall’inflazione? C’è chi punta molto sulle materie prime

Nell’ultimo anno l’inflazione, dopo un lungo periodo in cui è rimasta silente, si è ripresa il centro della scena. In una situazione di questo tipo, per chi vuole investire l’obiettivo non è più soltanto quello di ottenere i rendimenti maggiori ma anche proteggersi dalla corsa dei prezzi. Il problema, però, è come riuscirci.

 

2022: l’anno nero del portafoglio 60/40

Per molti anni si è pensato che lo strumento migliore fossero le azioni. Anzi, lo si è pensato fino ad oggi. Già, perché stando al Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook 2023, le azioni non costituiscono una copertura quando i prezzi si mettono a correre.

In altre parole, secondo gli autori del rapporto – gli economisti Elroy Dimson, Paul Marsh e Mike Staunton – che le azioni forniscano una protezione adeguata contro l’inflazione è un falso mito. Per sfatarlo, basta guardare i dati sui rendimenti dei principali strumenti finanziari negoziati in 35 Paesi a partire dal 1900, riportati nel celebre studio di Credit Suisse, giunto alla 15esima edizione.

 

 
Ebbene, negli ultimi 123 anni, l’arco temporale analizzato, la crescita dei prezzi ha avuto un impatto negativo sia sulle obbligazioni sia sulle azioni. Certo, queste ultime ne hanno risentito di meno, ma non si può dire che, solo per questo, possano rappresentare una vera copertura contro il caro prezzi. Il 2022, del resto, lo conferma: entrambe le classi di attività, a causa dei repentini rialzi dei tassi varati dalle banche centrali di tutto il pianeta, hanno registrato forti cali.

Insomma, il tradizionale portafoglio 60/40, quello composto dal 60% di azioni e dal 40% di obbligazioni, ha avuto qualche difficoltà, come vi abbiamo recentemente raccontato. Diversamente da quanto avvenuto in passato. Come sottolineano gli autori dello studio, per due decenni, fino al 2021, il portafoglio 60/40 ha funzionato: in quel periodo, infatti, la correlazione tra azioni e bond è stata negativa.

Detto altrimenti, le due asset class si proteggevano reciprocamente: quando una diminuiva, l’altra aumentava (e viceversa). Questo vale però in assenza di fiammate inflazionistiche. Se i prezzi iniziano a lievitare, le cose cambiano.

 

I futures sulle materie prime

E allora cosa fare quando i prezzi corrono? Gli autori dello studio segnalano i futures sulle materie prime, e cioè quei contratti a termine con cui le parti si impegnano a scambiare una certa attività (in questo caso le materie prime) a un prezzo prefissato e con liquidazione differita a una data futura. Dalla loro parte, Dimson, Marsh e Staunton hanno i dati sui rendimenti dal 1871.

Risultato? I futures sulle materie prime sembrano essere un mezzo molto efficace per diversificare il portafoglio. E il motivo è che, come scrivono gli autori, tali contratti sono “correlati negativamente con le obbligazioni, scarsamente correlati con le azioni e (rappresentano, ndr) statisticamente anche una copertura contro l’inflazione”.

Al contrario di bond, immobili e azioni, nei 151 anni analizzati le materie prime risultano muoversi nella stessa direzione dell’andamento dei prezzi. Non solo. Il settore delle commodities è molto articolato e questo consente di trovare protezione nei confronti dei diversi tipi di inflazione. Nello studio di Credit Suisse si legge quanto segue.

 

I portafogli di futures sulle materie prime forniscono gli strumenti necessari per proteggersi da diversi tipi di inflazione. I futures sull’energia si comportano bene durante l’inflazione spinta dai costi guidata dall’energia; i metalli industriali durante l’inflazione da domanda; i metalli preziosi, in particolare l’oro, si comportano bene quando viene messa in discussione la credibilità della banca centrale.

 

Inoltre, dal 1871 i rendimenti dei futures sulle commodities sono stati buoni (con un premio al rischio rispetto ai titoli del Tesoro Usa pari in media al 4,4%), anche se inferiori rispetto alle azioni (+5,1%).

 

 

Il potere della diversificazione

Tuttavia, bisogna fare attenzione: se è vero che questi contratti tutelano dall’inflazione, è anche vero che tendono a sottoperformare quando i prezzi si raffreddano. Durante una recessione, infatti, la domanda di materie prime tende a calare rapidamente, portandosi dietro anche l’inflazione.

Insomma, quando l’attività economica si contrae, i futures non funzionano per niente bene come copertura. Certo è che, sul lungo termine, a patto di avere un paniere ben diversificato di materie prime, garantiscono rendimenti migliori rispetto agli strumenti di liquidità.

Un portafoglio ponderato in modo equo di quegli stessi contratti futures ha dato un extrarendimento annualizzato di oltre il 3% rispetto ai buoni del Tesoro (Usa, ndr), dimostrando ancora una volta il potere della diversificazione.

 

Futures contro mercato spot

La domanda, però, ora sorge spontanea: perché investire in futures e non sulle singole materie prime sul mercato spot? La risposta è semplice: i rendimenti. Quelli forniti dalle materie prime sul mercato a pronti sono molto bassi, addirittura negativi nell’arco di tempo studiato dal report di Credi Suisse, che va dal 1900 al 2022, quando la perdita media annua è stata pari allo 0,5%.

Su 29 materie prime analizzate, soltanto otto sono infatti riuscite a battere l’inflazione. Le migliori sono state il nickel (+1,2%) e il carbone (+0,91%), mentre l’oro ha segnato un +0,76%. Tuttavia, anche in questo caso, la diversificazione fa la differenza: un portafoglio ben bilanciato delle stesse materie prime, stando ai calcoli degli autori, avrebbe restituito un rendimento reale del 2%.

I futures, del resto, hanno fatto molto meglio. Dal 1877, il rendimento medio in eccesso rispetto a quello dei buoni del Tesoro Usa è stato positivo e pari all’1% annuo mentre per un portafoglio diversificato di contratti è stato del 3,28%.

Di contro, l’extrarendimento messo a segno da un portafoglio di materie prime sarebbe stato pari allo 0,82% annuo. Oltre ai maggiori ritorni assicurati, i futures sono più convenienti anche per un altro motivo: acquistando i contratti si evita di dover comprare, e custodire, tonnellate e tonnellate di merce, con costi logistici e assicurativi notevoli.

Attenzione, però: i futures sono strumenti complessi da maneggiare con cautela, per questo vengono utilizzati soltanto da investitori istituzionali. Per i piccoli risparmiatori che vogliono proteggersi dall’inflazione il suggerimento è sempre lo stesso: valutare fondi ed etf.

 


 

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