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Cosa c’entra la crisi russo-ucraina con i prezzi dell’energia?

Crisi russo-ucraina, abbiamo scritto nel titolo. Suona un po’ come gli epici conflitti che (per fortuna) abbiamo conosciuto solo attraverso i libri di storia: la guerra dei 30 anni, la guerra greco-turca, la guerra franco-prussiana e altre “amenità” del genere. Il problema è che la crisi russo-ucraina è attuale, attualissima. E sta avendo un impatto non di poco conto sui prezzi dell’energia.

In questo post vedremo perché, alla fine dei conti, il batter d’ali di una crisi geopolitica ai confini dell’Europa provoca un effetto sui costi delle bollette di aziende e famiglie, anche in Italia.

 

Domanda numero uno: cosa succede in Ucraina?

Uno dei motivi di scontro – ciliegina sulla torta avvelenata di anni di tensioni, tenendo conto che nel 2014 s’è aperto lo squarcio a est con la Guerra del Donbass e le rivolte filorusse – è l’ambizione del Paese di entrare in area Nato.

Piccolo problema: Kiev è stata per anni sotto la sfera di influenza russa – era, ai tempi dell’Urss, una delle Repubbliche socialiste sovietiche. Ecco perché già da un po’ gli Stati Uniti temono come imminente un’invasione del Paese da parte di Mosca.

E in effetti al confine tra Russia e Ucraina sono state schierate frotte di soldati, e non certo allegre famigliole per il picnic della domenica. Quella dell’invasione è un’eventualità che gli Stati Uniti sono prontissimi a contrastare – e infatti anche loro hanno schierato militari, e non certo orsetti peluche.

Al centro, nel non facile ruolo di mediatori, ci sono Francia e Germania: mentre vi scriviamo, il presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin, mentre il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è visto con il presidente Usa Joe Biden.

 

Una situazione molto antipatica: ma perché ci interessa?

Ok, ma questo cosa interessa a noi, che tutto sommato siamo un blog di finanza? In realtà ci interessa molto e il motivo si può riassumere in una parola: energia.

Sì, perché Mosca – tramite il colosso nazionale Gazprom – è il principale esportatore di gas naturale (composto in larga parte da metano) verso l’Europa. Ed è ben consapevole della sua posizione di potere, tanto da sfruttarla come arma nella disputa geopolitica (e non solo). Ormai sono mesi che la Russia si sta limitando a rispettare gli obblighi contrattuali, senza però consentire esportazioni aggiuntive.

In realtà, la Russia sta centellinando le forniture di gas naturale anche per far pressione sull’Ue e accelerare così l’approvazione del suo nuovo gasdotto, Nord Stream 2, ancora al vaglio della normativa europea. Insomma, diciamo che la minaccia di chiudere i rubinetti del gas – usato principalmente per riscaldare gli ambienti – vale un po’ per tutto.

E gli effetti si sono già ampiamente visti: questa condotta, infatti, è una delle cause principali – anche se non l’unica – del fortissimo aumento dei prezzi del gas in Europa, che ha avuto come riflesso un aumento delle bollette, anche in Italia. Già da qualche giorno, comunque, il lavoro diplomatico sembra aver dato finalmente qualche frutto, con la Russia che ha usato toni più distensivi riguardo alle forniture all’Europa.

Intanto, il clima mite e l’arrivo di diversi carichi di gas naturale liquefatto nel Vecchio Continente hanno contribuito a un parziale riassesto delle quotazioni.

 

 

E se Mosca passasse dalle parole ai fatti?

Ma cosa succederebbe se la Russia interrompesse davvero le forniture di gas all’Europa (ipotesi forse più teorica che reale, a questo punto)? Be’, sicuramente non sarebbe una bella situazione, ma – almeno stando ai calcoli dell’Economist – il Vecchio Continente potrebbe sopravvivere senza il gas di Mosca per un periodo piuttosto prolungato.

L’avvicinarsi della primavera poi, potrebbe contribuire ad allentare la pressione sul settore, grazie a una riduzione della domanda di riscaldamento.

 

 

La dipendenza dell’Europa dal gas russo

Stando agli ultimi dati Eurostat, nel 2019 l’Unione europea ha importato il 41,1% del suo gas naturale dalla Russia. E anche per l’Italia la dipendenza è marcata, con il 43,3% del gas importato da Mosca nel 2020 (dati del ministero della Transizione ecologica).

Gli altri esportatori di gas su cui l’Italia fa affidamento (anche se in misura nettamente minore) sono l’Algeria (22,8%), la Norvegia e il Qatar (10% circa). La produzione interna, invece, corrisponde a meno del 10% del gas utilizzato.

Ma i Paesi europei più dipendenti in assoluto dalle forniture russe sono Finlandia e Lituania, entrambe con oltre il 90%, seguite da Austria (65%) e Germania (49%). Quelli più autonomi sono invece la Francia (meno del 25% di gas importato dalla Russia, grazie anche alle centrali nucleari) e i Paesi Bassi (11%, grazie allo sfruttamento delle riserve domestiche).

Quindi via la Russia l’Europa rimarrebbe rapidamente a secco di gas? Non proprio. Rispetto, per esempio, alla crisi del 2009, oggi il sistema energetico europeo ha guadagnato forza, complici anche le misure per la concorrenza che hanno indebolito il legame del Vecchio Continente con il colosso Gazprom, favorendo i rapporti con altri Paesi esportatori.

In caso di necessità, l’Europa potrebbe oggi attingere alle proprie scorte, o cercare fornitori alternativi di combustibile. Gli Stati Uniti, per esempio, si sono già mobilitati per mettere insieme una coalizione globale di produttori di gas liquefatto (gnl) in grado di rifornire gli alleati europei.

 

E la Russia com’è messa, in termini di dipendenza?

La dipendenza funziona in entrambe le direzioni: se è vero che l’Europa dipende (fino a un certo punto) dalla Russia per riscaldare le proprie case, è anche vero che la Russia fa affidamento sulle consistenti entrate in arrivo dal Vecchio Continente: secondo i calcoli dell’Ocse (aggiornati in questo caso al 2017), i ricavi derivanti da gas e petrolio contribuiscono per circa il 36% al budget dello Stato russo.

In buona sostanza, stima l’Economist, se Mosca dovesse optare per l’interruzione delle forniture di gas all’Europa, Gazprom subirebbe perdite economiche tra i 203 e i 228 milioni di dollari al giorno. Nel caso in cui il blocco durasse tre mesi, quindi, le perdite per la società arriverebbero a 20 miliardi di dollari.

Anche la Russia, tuttavia, sarebbe in grado di gestire questi mancati introiti nel breve termine, visto che può fare affidamento sulle consistenti riserve della banca centrale (attualmente intorno ai 600 miliardi di dollari).

Insomma, se la situazione dovesse arrivare veramente a un punto di rottura, ci si potrebbe trovare ben presto a un nuovo punto stallo, con un braccio di ferro a chi resiste di più. E un’unica certezza: le quotazioni del gas in Europa potrebbero risentirne ulteriormente.
 
 

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