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Donne e uomini, due mondi diversi (anche) negli investimenti

Donne e uomini hanno un approccio diverso al mondo del risparmio e della finanza in generale. Per restare in tema di inflazione, che ultimamente è un argomento parecchio caldo, le donne tendono ad avere aspettative più elevate sull’aumento dei prezzi al consumo rispetto agli uomini. Un divario che, secondo i risultati del nuovo Consumer expectations survey (Ces) della Bce, è abbastanza consistente: quasi un punto percentuale.

Per quale motivo? Stando allo studio, le donne pongono – in media – una maggiore attenzione all’inflazione alimentare percepita, mentre gli uomini sembrano essere più influenzati dalla percezione dell’andamento dei prezzi dei trasporti, dell’abbigliamento e degli alloggi. Inoltre, gli uomini sono più fiduciosi riguardo alle loro aspettative di inflazione.

Tuttavia, quando le donne e gli uomini ricevono nuove informazioni sulle variazioni di prezzo, anche se possono variare a seconda delle esperienze personali, entrambi adeguano le proprie aspettative di inflazione a un tasso simile.

 

Uomini e donne: l’approccio al rischio e agli investimenti

Va detto che, in generale, le donne sembrano avere un approccio più cauto e prudente al mondo degli investimenti rispetto alla controparte maschile. Tanto per cominciare, investono meno. E su questo influisce anche la quantità di reddito da gestire: secondo un’indagine di Banca d’Italia del 2020, condotta prima dello scoppio della pandemia da coronavirus, casalinghe e pensionate sono i sottogruppi più impreparati in tema di educazione finanziaria, mentre le lavoratrici autonome risultano più preparate degli omologhi uomini. E la scarsa conoscenza è un grosso ostacolo all’investimento.

Tipicamente, inoltre, le donne sono meno impulsive degli uomini quando investono. Per esempio, uno studio condotto per Aipb (che si focalizza su una clientela private) conferma come le donne raramente si impegnino in attività di trading, mentre una percentuale maggiore della loro ricchezza è detenuta in immobili e altri asset reali. E nel momento in cui investono, mettono al primo posto la sicurezza di non perdere una parte rilevante del capitale e al secondo il rendimento che si ottiene in un periodo di oltre cinque anni, mentre è piuttosto irrilevante il rendimento a breve termine.

 

 

Le differenze tra risparmiatori e risparmiatrici, tra l’altro, appaiono evidenti già tra gli studenti. Secondo un’indagine condotta dall’associazione nazionale dei consulenti finanziari Anasf nell’ambito del suo progetto di educazione finanziaria “Economic@mente”, su un campione di quattromila ragazzi delle scuole superiori, le studentesse mostrano maggiore propensione alla pianificazione e alla ricerca della sicurezza economica.

Quanto alle varie opzioni disponibili per integrare la propria pensione, le ragazze sembrano prediligere metodi di accantonamento (31%), mentre i ragazzi preferiscono metodi più “proattivi”, come l’investimento (40%).

Infine, lo studio rileva una tendenza delle studentesse a dichiarare di voler proseguire gli studi in misura maggiore rispetto ai maschi e una maggior conoscenza da parte dei maschi di strumenti e prodotti del mercato.

 

Più pazienti e disciplinate: ecco perché le donne investono meglio

Naturalmente sono tutti dati medi, che non considerano il singolo caso. Ma la realtà che riflettono conferma un dato di fatto: il mondo degli investimenti, ancora oggi, è percepito come un terreno più “maschile”. E su questo incidono diversi fattori: in parte, è perché esiste ancora una forte disparità di genere sugli stipendi, il che porta le donne ad avere meno reddito da gestire; in parte – come emerge da queste indagini – si tratta anche di una propensione “naturale” (o culturale?), con gli uomini che, in media, tendono a essere più ottimisti e propensi a rischiare.

Eppure – proprio grazie alle caratteristiche appena illustrate – le (ancora poche) donne che operano sui mercati finanziari mediamente investono meglio rispetto agli uomini.

Una ricerca (del 2018) della Warwick Business School ha analizzato le performance di investitori donne e uomini su un periodo di tre anni. Ebbene, le donne hanno fatto decisamente meglio: non solo hanno avuto rendimenti superiori a quelli degli uomini di circa l’1,8%, ma hanno anche superato il rendimento del mercato (il benchmark era il Ftse 100).

Come mai? Le “investitrici” sono mediamente più pazienti – quindi orientate al lungo periodo – e sono meno attratte da attività come trading e market timing.

Inoltre, evitano scelte speculative, preferendo portafogli più diversificati e meglio bilanciati. Infine, se sentono di non sapere qualcosa, sono più propense rispetto agli uomini a cercare di informarsi. Detta in due parole: sono più disciplinate e metodiche. E negli investimenti, questo paga.

 


 

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Ultimi commenti
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    Non sono molto d’accordo che “esiste una disparità di genere negli stipendi”.
    Se sono il presidente del consiglio maschio o femmina lo stipendio è sempre lo stesso
    Se sono un maresciallo dei carabinieri maschio o femmina lo stipendio è sempre lo stesso
    Se sono ingegnere alla Fiat lo stipendio tra maschio e femmina è sempre lo stesso
    Non è maschilismo, ma mi chiedo allora da dove vengano i dati per una tale affermazione oppure è un luogo comune?
    Attendo cortesemente un vostro riscotro
    grazie

    • Diana Bin

      Buongiorno e grazie per il suo commento.
      Diciamo che in parte il suo ragionamento è corretto, nel senso che (fonte Istat), “parte delle differenze di retribuzione si possono spiegare con le caratteristiche individuali delle donne e degli uomini occupati (ad esempio, esperienza e istruzione) e con la segregazione di genere a livello occupazionale (ad esempio, ci sono più uomini che donne in alcuni settori/occupazioni con retribuzioni mediamente più alte rispetto ad altri settori/occupazioni)”. Questo, tuttavia, significa che il divario retributivo ha radici profonde: è legato a svariati fattori culturali, legali, sociali ed economici che vanno oltre la mera questione di un’uguale retribuzione per un uguale lavoro.
      In ogni caso, nel confronto sulla paga oraria delle diverse professioni donne mediamente guadagnano comunque meno degli uomini in Italia (e nell’Ue) – poi la differenza varia a seconda delle professioni e dei Paesi. Ad esempio, scrive Istat, nel 2018 “tra i dirigenti il Gender Pay Gap era pari al 27,3%; tra gli Artigiani e operai specializzati era del 18,5%, a fronte di retribuzioni orarie pari a 10,1 euro per le donne e 12,4 euro per gli uomini; per le Forze Armate era del 18,8%. Il gruppo delle professioni intellettuali e scientifiche si caratterizza invece per elevati livelli retribuitivi (secondi solo a quelli dei dirigenti, attestandosi a 22,9 euro tra le donne e a 25,6 euro tra gli uomini) e un basso livello del GPG (10,5%), anche per effetto di una massiccia presenza di lavoratrici donne, soprattutto nel settore dell’istruzione”. Insomma, il problema è reale: non si tratta di un luogo comune, né di femminismo. Ed è attuale, non un retaggio del passato – per quanto sicuramente oggi ci sia maggiore consapevolezza e attenzione sul tema.
      Un saluto e continui a leggerci!
      Diana

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