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Il mondo secondo Trump: i grandi interrogativi della nuova presidenza USA

La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali USA ha colto tutti di sorpresa, ma per ora la reazione dei mercati è stata positiva. Quali sfide aspettano il nuovo inquilino della Casa Bianca? quali saranno le sue posizioni negli ambiti più rilevanti? Ne parla la nuova pubblicazione dell’ISPI.

L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti sembra aver colto di sorpresa studiosi e osservatori: per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale, a vincere le elezioni è un candidato che declina il suo messaggio facendo leva su populismo, nazionalismo e isolazionismo. In un contesto internazionale di globalizzazione e interdipendenza, l’eventuale ripiegamento su se stessi degli Stati Uniti rischia di aprire prospettive inedite, tanto sul piano politico quanto su quello economico-commerciale.

E adesso cosa ci aspetta? Che ne sarà dell’eredità di Obama e quale sarà l’impatto sulle relazioni tra Stati Uniti, Europa e Russia? Come si muoveranno gli USA nel complicato puzzle mediorientale, tra Siria, Israele, Arabia Saudita e Iran?

L’unicità di Trump sta nel fatto che il prossimo presidente degli Stati Uniti non ha mai ricoperto un incarico elettivo, al contrario ha sfidato apertamente buona parte dei pilastri dell’ortodossia repubblicana e si è circondato di un limitato manipolo di fedelissimi i cui profili, soprattutto in politica estera, non sono affatto utili per tentare di comporre una visione coerente di ciò che potrebbe avvenire.

Da qui l’incertezza, e l’oscillare confuso fra due scenari estremi: quello che attribuisce alla Presidenza Trump un ruolo di rottura radicale e quello che prevede invece semplici aggiustamenti di tiro rispetto a una traiettoria peraltro già tracciata negli ultimi anni. Quale dei due prevarrà?

Trump con un ruolo di rottura

Secondo il primo scenario, Donald Trump, forte del controllo repubblicano sia della Camera che del Senato, sarà in grado di attuare una parte significativa della sua piattaforma elettorale, mettendo in discussione i principali pilastri dell’ordine liberale delineatosi dopo la seconda guerra mondiale: il sostegno al libero commercio (con la cancellazione di accordi esistenti e il blocco di quelli in corso di negoziazione) e un sistema di relazioni internazionali incentrato sulla presenza e l’impegno USA in Europa, Asia e Medio Oriente (con un ridimensionamento del ruolo della NATO e maggiori spazi di manovra per la Russia e alcune potenze regionali).

L’allineamento con l’establishment

Lo scenario alternativo accredita invece un “Trump-presidente” significativamente diverso dal “Trump-candidato” non tanto per la gravitas connessa con l’assunzione di ruolo, ma soprattutto in virtù dei condizionamenti degli organi e degli apparati del sistema democratico americano: le pressioni delle lobby, del Pentagono, della CIA e soprattutto del Congresso, controllato sì dai repubblicani, ma da repubblicani non necessariamente allineati sulle posizioni di un presidente che in molti ambiti sfida apertamente la linea storica del partito. Nessuna rivoluzione dunque, per il prevalere di quelle che il giornalista di origine indiana Fareed Zakaria definisce le “forze d’inerzia” del sistema americano che “normalizzeranno anche Trump” e si tradurranno in meno sanzioni alla Russia (magari con qualche alleanza tattica e di breve durata in chiave anti ISIS), qualche dazio in più ai prodotti cinesi (ma senza drastiche rotture con la seconda potenza economica mondiale), qualche riluttanza in più a pagare i conti della NATO e una prosecuzione in Medio Oriente del leading from behind inaugurato da Obama in Libia.

Scenari possibili

Alla luce di questi due scenari estremi, abbiamo cercato di tratteggiare le traiettorie più probabili della presidenza Trump negli ambiti di maggior rilevanza: l’agenda interna; i rapporti con l’Europa, la Russia, l’Asia, l’America Latina e il Medio Oriente; il commercio internazionale e il multilateralismo.

L’enfasi primaria sarà sull’agenda interna (America first), soprattutto sulla difesa dei posti di lavoro degli americani. Sono quindi altamente probabili:

  • misure per contrastare l’afflusso o la permanenza di lavoratori irregolari;
  • politiche di contrasto alla delocalizzazione produttiva;
  • la rinegoziazione di accordi commerciali;
  • un allentamento delle normative sulla tutela ambientale, già evidente con la nomina di Scott Pruitt, convinto negazionista del cambiamento climatico, a capo dell’agenzia di protezione ambientale.

In politica estera tenderà a prevalere un approccio jacksoniano, ovvero di un mondo visto più come “arena di minacce” da contenere (terrorismo, immigrazione, conflitti) che come “arena di opportunità” per diffondere l’ordine economico o i valori americani. Al concetto di pace come lo intende l’ONU – incentrato sulla legittimità del diritto – subentrerà in modo marcato quello di peace through strength, già reso esplicito dalle numerose nomine nell’Amministrazione di generali interventisti e dalle proposte d’incremento delle spese militari. Ma anche dall’annunciata disponibilità ad alleanze tattiche con paesi (Russia, Egitto, Turchia) disponibili a contribuire con la loro forza a portare la pace e dalla simmetrica insofferenza nei confronti di paesi (Europa in primis) restii a condividere i costi della sicurezza.


Le voci degli esperti sono state raccolte in un dossier dal titolo “Il Mondo secondo Trump”, che passa in rassegna le principali questioni di carattere politico e non. Clicca per scoprire di più.
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