Si può misurare il valore economico della violenza e della pace? Secondo il Global Peace Index sì. Ecco quanto si potrebbe risparmiare riducendo la violenza del 10%.
Nel day after della strage di Capodanno a Istanbul, può sembrare cinico parlare di costo della violenza, riducendo a una mera grandezza economica un concetto nobile come la pace. Eppure la pace, così come la violenza, un suo peso economico ce l’ha, ed è anche piuttosto significativo. Secondo il Global Peace Index (GPI) messo a punto dall’Institute of Economics and Peace e pubblicato la settimana scorsa, nel 2015 l’impatto della violenza sull’economia globale è stato quantificabile in 13.600 miliardi di dollari statunitensi. Si tratta di un valore pari al 13,3% del PIL mondiale, equivalente a 1.876 dollari per ogni persona presente sul Pianeta.
Questa stima fa sembrare quasi inesistenti gli investimenti a sostegno del mantenimento della pace, che rappresentano solo il 2% delle perdite economiche causate dai conflitti in tutto il globo. Il costo della violenza, secondo lo studio dell’Institute of Economics and Peace, si compone di diverse voci: oltre al già citato costo dei conflitti, anche le spese militari, quelle legate alla sicurezza interna e il costo dei crimini e della violenza interpersonale. Se il mondo riuscisse a ridurre la violenza del 10%, stima il report, si guadagnerebbe l’equivalente di 1,36 trilioni di dollari USA l’anno, pari al valore delle esportazioni globali di cibo nel 2014.
Ma andiamo a vedere più da vicino la composizione dell’indice globale della pace, anche per capire come sono messi i singoli Paesi del mondo. Innanzitutto va detto che il GPI, giunto alla sua decima edizione, considera 163 Stati (da quest’anno anche la Palestina) valutandoli in base a 23 indicatori qualitativi e quantitativi, che sono fondamentalmente riconducibili a tre macro aree:
- livello di sicurezza di una società;
- livello di conflitto domestico o internazionale;
- grado di militarizzazione.
Dall’edizione 2016 dell’indice è emerso che la pace è leggermente diminuita a livello globale – dello 0,53% rispetto all’anno precedente – e che si sta ampliando il divario tra i Paesi pacifici e quelli in conflitto.
In particolare, i due indicatori che hanno registrato il peggioramento più significativo sono stati “impatto del terrorismo” e “instabilità politica” – non c’è da stupirsi granché, purtroppo. Le morti causate dal terrorismo sono infatti aumentate dell’80% su base annuale e solo 69 Paesi su 163 non hanno registrato incidenti terroristici. I Paesi in cui l’indice di pace ha visto il calo maggiore sono stati Gibuti, Guinea-Bissau, Polonia, Burundi, Kazakistan e Brasile.
Venendo alla classifica vera e propria, le prime posizioni sono ampiamente dominate dall’Europa: il Paese più pacifico al mondo è l’Islanda, seguita da Danimarca, Austria, Nuova Zelanda e Portogallo, mentre l’Italia si posiziona 39esima su 163, dietro il Madagascar e subito prima dello Zambia. Gli Stati più conflittuali sono invece Siria, Sudan del Sud, Iraq, Afghanistan e Somalia.