a
a
HomeECONOMIA E MERCATIECONOMIA, POLITICA E SOCIETA'Il web, i mercati finanziari e il referendum: una relazione “segreta”

Il web, i mercati finanziari e il referendum: una relazione “segreta”

Google sa praticamente tutto di noi: dai dati anagrafici alle nostre ricerche. Che cosa ci può dire, quindi, sulla strana relazione che lega il web, i mercati finanziari e l’imminente referendum costituzionale?

Quanto pesa l’incertezza del voto referendario sui mercati finanziari?

A prescindere dai risultati dei sondaggi (considerati piuttosto inaffidabili ultimamente), la situazione è incerta e sui mercati questo è noto. La probabilità del risultato finale, “Sì” o “No”, si è modificata nel tempo, secondo i sondaggi. Ma proviamo a cambiare prospettiva: che cosa si dice sul web? E in che modo i mercati finanziari hanno tenuto conto delle opinioni che circolano online?

Per rispondere a queste domande abbiamo considerato la relazione esistente tra due grandezze:

  • il saldo dell’interesse sul web, tra il “Sì” e il “No” al referendum (dati ottenuti utilizzando Google Trends, uno strumento gratuito di Google che permette di misurare l’interesse pubblico rispetto a una parola);
  • un indicatore di turbolenza finanziaria, il famigerato spread tra BTP e Bund, ovvero il titoli obbligazionari decennali di, rispettivamente, Italia e Germania.

Se il motivo per cui si usa lo spread come indicatore di turbolenza finanziaria è abbastanza chiaro, l’utilizzo dell’interesse sul web potrebbe destare qualche perplessità. Spieghiamolo meglio.

Perché scegliere il saldo dell’interesse sul web come proxy dell’incertezza sul voto?

Imparando dalla Brexit (e non solo) abbiamo visto che i sondaggi d’opinione vanno presi con le pinze e che ci sono anche fonti informative alternative. In occasione del voto su Brexit, andando ad analizzare le ricerche effettuate su Google sulle parole leave e remain – ossia “andarsene” o “restare” -, ho trovato qualcosa che valeva la pena riportare:

 

Valutando l’interesse registrato dal leave rispetto al remain, ossia andando a digitare queste due parole su Google Trend per vedere quante volte sono state ricercate dai vari utenti, si riscontra una percentuale sorprendentemente vicina all’esito ufficiale del referendum. Ripeto, prendiamo questi dati per quello che sono. La domanda naturale che qualcuno potrebbe porsi è: 

“Come si può legare la semplice ricerca di informazioni effettuata su Internet con il voto vero e proprio effettuato?” 

Una possibile risposta può essere offerta dal cosiddetto fenomeno psicologico del “bias di conferma: le persone tendono a cercare informazioni che possano convalidare le loro idee e convinzioni preesistenti, usando la ricerca su internet solo come conferma di ciò che pensano. Questo, ovviamente, non vuol dire che i risultati del web siano necessariamente meglio dei sondaggi; diciamo però che sono un dato interessante da prendere in considerazione.

E sul referendum costituzionale?

Considerando le ricerche “referendum costituzionale si” (ndr: l’accento manca volutamente) e “referendum costituzionale no” su Google Trends, limitando la ricerca all’Italia, ecco i risultati degli ultimi 30 giorni:  

 

Mi astengo dal fare commenti sconclusionati ma osservando i dati possiamo dire che:

  • anche se non si vede direttamente da questo grafico, l’interesse con il tempo è aumentato (chiaramente tutti si stanno informando all’ultimo momento);
  • la situazione pare non essere proprio in linea con i sondaggi;
  • in base al saldo d’interesse sul web tra “Sì” e “No”, si può ottenere una rozza stima della probabilità di vittoria, come evidenziato per il caso Brexit sopra citato;

Occhio, Google Trends è molto sensibile: la ricerca di “referendum costituzionale si” (senza accento) offre risultati diversi dalla ricerca di “referendum costituzionale sì”. Questo ci ha fatto anche capire che molti italiani si sono dimenticati come scrivere correttamente la frase, il che è comunque significativo [sic].

Come reagiscono i mercati all’opinione del web?

Spiegati i retroscena dell’approssimazione della misura dell’incertezza sul voto, passiamo a paragonare l’interesse del web con lo spread Btp-Bund. Ecco i risultati: più utenti ricercano il “Sì”, più lo spread tende a diminuire. Viceversa, una maggiore propensione a ricercare su Google il No spinge ad un aumento dello spread. Come conferma, anche se non viene mostrato nel grafico, si avrebbero risultati analoghi se al posto dello spread avessimo preso la volatilità (deviazione standard dei rendimenti giornalieri) dell’indice di Borsa italiano FTSEMIB.

 


Esiste quindi una relazione tra il web e i mercati: a confermarlo è anche Tobias Preis, professore di scienza del comportamento e finanza della prestigiosa Warwick Business School. Qualche anno fa ha pubblicato uno studio sul rapporto tra l’andamento dei mercati finanziari e le ricerche su Google. Perciò il giorno dopo il referendum è probabile che lo spread continui a riflettere l’opinione dei mercati in base all’esito del referendum. Questo sarà oggetto di un prossimo post dove tenterò di spiegare le probabili reazioni dei mercati conseguenti ai probabili scenari futuri associati al referendum.

Quindi attenzione: i mercati sanno che cosa cerchi su Google!


Acquista i nostri eBook dedicati al risparmio personale

Acquista su Amazon
Tag Articolo
Scritto da

Con www.adviseonly.com la finanza non è mai stata così semplice. La nostra missione è spiegarvi il mondo degli investimenti in modo chiaro e senza giri di parole, per rendervi investitori più informati e consapevoli.

Ultimo commento

lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.