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#IlGraffio: il treno corre veloce sui binari verso la privatizzazione?

Ferrovie dello Stato, dove portano i binari della privatizzazione?

Il governo italiano ha annunciato la prossima “privatizzazione” delle Ferrovie dello Sato, che prevede la quotazione in Borsa del 40% della società, mentre sta valutando  se attuare lo scorporo della rete dal gruppo. Per capire fino in fondo questa decisione, è necessario porsi alcune domande (a cui cercheremo di dare una risposta): cosa sono oggi le Ferrovie? Le attività che svolgono sono davvero “privatizzabili”? Chi sono oggi i principali concorrenti della società? E quale posizione di mercato ha oggi e avrà domani, una Ferrovie “privatizzata”?

La storia delle Ferrovie

Partiamo con una breve sintesi della storia del gruppo. Le Ferrovie dello Stato (FS) sono nate nel 1905 all’epoca della nazionalizzazione delle ferrovie esistenti in Italia, per diventare poi Azienda Autonoma sotto il controllo del Ministero dei Trasporti e, in seguito, ente pubblico economico. Infine il 12 agosto 1992 le Ferrovie dello Stato divennero una società per azioni posseduta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (oggi MEF).

Ad oggi il MEF possiede la totalità di FS (holding), che a sua volta possiede la società proprietaria della rete (RFI, al 100%; inclusa la linea ad alta velocità, a suo tempo in TAV), la società di gestione passeggeri e merci (Trenitalia, al 100%), una società di ingegneria ferroviaria (Italferr, al 100%), il 59,99% di Grandi Stazioni, partecipazioni italiane ed estere (Francia, Germania, Rep. Ceca, Romania, Serbia, Montenegro, Serbia, Polonia, Africa, Asia, America del Sud) operanti nel trasporto sia ferroviario che su gomma. Accanto alla “filiera FS” esiste poi una Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria (ANSF) che sotto il controllo del Ministero delle Infrastrutture si occupa di riordinare il quadro normativo in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria, verificare l’applicazione delle norme adottate, validare processi autorizzativi e omologativi dei sistemi, rilasciare i certificati di sicurezza alle imprese ferroviarie e le autorizzazioni di sicurezza ai gestori dell’infrastruttura. Sostanzialmente dunque, all’interno di FS coesistono due anime: proprietà della rete e concedente la rete in gestione operativa (RFI) da un lato; concessionario che gestisce il traffico passeggeri e merci (Trenitalia) dall’altro.

Quanto alla (piuttosto timida) concorrenza, nel trasporto passeggeri e merci si segnalano NTV, Deutsche Bahn, SNCF, Trenord (che opera in regime di concessione esclusiva nell’hinterland milanese).

Che cosa fa e quanto vale FS?

Un po’ di numeri. La rete ferroviaria nazionale si estende per 16.723 km, che i gestori terzi utilizzano per il 15,1% della sua capacità (in particolare, operatori di alta velocità). I dipendenti del gruppo sono in tutto  69.347 (erano 71.930 nel 2012) con un’incidenza del 47% sui ricavi, attesi a fine 2015 intorno 8.500 milioni di euro. FS ha chiuso il 2014 con un risultato netto di 303 milioni, e prevede di arrivare a 500 milioni nel 2015. Gli investimenti sono costantemente diminuiti fra il 2007 (quando furono 5.600 milioni) e il 2012 (2.700 milioni), mentre sono cresciuti a 2.800 nel 2013, a 2.900 nel 2014 e a 3.400 milioni nel 2015. Il capitale investito netto è di circa 47.000 milioni, di cui 30.500 milioni rappresentato da terreni, fabbricati, infrastrutture ferroviarie e portuali (nel bilancio non sono specificati i valori di ammortamento di tali asset).

L’EBITDA dei primi 6 mesi del 2015 è stato di 948 milioni (1.027 nel primo semestre 2014), mentre i mezzi propri (capitale e riserve) erano 37.836 milioni, con un indebitamento netto di 7.966 milioni. Ma i numeri da soli non riescono a rappresentare quanto “pesi” FS nell’economia nazionale: basti pensare al valore delle attività connesse, dai posti di lavoro diretti a quelli indiretti, ai servizi collegati alla movimentazione, ecc. Secondo uno studio del think tank IBL, “la spesa pubblica ferroviaria dell’Italia nei 21 anni trascorsi dalla trasformazione di FS in società per azioni (1992-2012) è stata enorme: 207,7 miliardi di euro, di cui 84,8 di parte corrente e 122,8 in conto capitale, ricostruiti sommando i dati storici, senza alcuna rivalutazione monetaria”; si tratta di trasferimenti fatti dalle casse dello stato alle Ferrovie, in varie fasi e con modalità diverse.

FS è un “animale” complesso, con diverse anime:

– Il gruppo è proprietario della rete ferroviaria (RFI), che viene data in concessione (a lungo termine) al “carrier” Trenitalia sia per la rete ad alta velocità che per quella a medio e lungo raggio e regionale; i “carrier” che operano nell’alta velocità (NTV) e nel medio e lungo raggio (operatori esteri presenti anche in Italia, operatori minori) operano anch’essi sulla base di accordi di concessione, che possono avere durata variabile; gli investimenti sulla rete (ordinari, straordinari, nuove reti) sono a carico di RFI; a fronte di tali concessioni, FS incassa annualmente circa 2.400 milioni, sia da Trenitalia che da terzi (stima 2015: 1.300 milioni)

– FS è gestore della attività di trasporto passeggeri, sia ad alta velocità (ex-TAV, ora in Trenitalia), sia a medio e lungo raggio;

– Gestisce il servizio di trasporto regionale, sulla base di accordi di durata variabile con le singole regioni, che contribuiscono al costo del servizio con trasferimenti finanziari concordati fra le parti, sula base di specifiche Convenzioni e relativi Contratti di Servizio; FS riceve contributi diretti dallo stato per servizi resi in regime di sussidiarietà e dalle regioni per il servizio passeggeri reso localmente, storicamente intorno ai 2.000 milioni annui complessivi.

– Opera nel trasporto merci su rotaia, mare e gomma (Trenitalia ed altre partecipate).

La valutazione di FS si presenta dunque molto complessa, come in altri casi di grandi operatori nei servizi di pubblica utilità, per esempio Poste Italiane (dove il governo ha preferito mantenere l’unitarietà delle varie attività, aprendo il capitale a terzi sino al 40% circa) ed Enel (dove si è optato invece per la separazione fra rete infrastrutturale, conferita in Terna, e produzione elettrica). Il mantenimento in una unica entità, a mio avviso, costituisce un freno a una concorrenza ad armi pari, dove tutti gli operatori (collegati al concessionario, come Trenitalia, e non) usino l’infrastruttura ferroviaria pagandone l’utilizzo con le stesse regole e modalità.

Riteniamo dunque che una privatizzazione avrebbe senso solo nel caso prevedesse effettivamente la separazione tra infrastruttura (che potrebbe restare a maggioranza pubblica, come nel caso Terna sopra citato) e gestione della rete: quest’ultima potrebbe così operare in regime di concorrenza con soggetti terzi, nel trasporto passeggeri ad alta velocità e medio e lungo raggio, e nel trasporto merci. I relativi canoni di affitto (concessione) andrebbero parametrati su chiari criteri, tenendo conto dell’effettivo valore della rete, degli investimenti previsti, della disponibilità di “slot” orari (ad esempio, canoni superiori per l’utilizzo in ore di picco, e viceversa).

Tre problemi

Aprendo il capitale di FS intesa come un un “unicum”, i possibili investitori si troveranno invece di fronte ad alcune difficoltà:
1) non sarà facile identificare dei “comparable” da prendere a riferimento per valutare la proposta di partecipare all’IPO;
2) Altrettanto complesso sarà riuscire a conoscere in dettaglio il “Piano industriale”, settore di attività per settore di attività, di FS per i prossimi 3-5 anni, con chiarezza sui punti di forza, di debolezza, sulle previsioni di sviluppo del fatturato e di redditività per singola attività, di investimenti richiesti, così da comprendere la redditività attesa e prospettica dell’investimento. A maggior ragione in una operazione che non è una privatizzazione, ma solo l’apertura del capitale a soggetti terzi che resteranno in minoranza con la mano pubblica al comando;
3) Assenza di una preventiva liberalizzazione del settore.

I futuri investitori dovranno quindi domandarsi in quale parte la redditività della società sia dovuta effettivamente alla capacità di stare sul mercato e quale ai sussidi statali (trasferimenti dalle casse dello stato, integrazioni di tariffe da parte delle regioni). E la risposta non potrà essere un generico “lavoriamo per trasportarvi nel futuro”.

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